sabato 13 agosto 2011

La Montagna - di Mauro Corona




Mauro Corona, alpinista, scultore, scrittore, ma soprattutto "montanaro"; sotto: copertina de: "Il volo della Martora", il suo primo libro e il più bello per chi scrive; Mauro in arrampicata; un'immagine delle Dolomiti Friulane (fonte internet); il Campanile di Val Montanaia, in un disegno di Corona; Veduta di Val Montanaia e del "campanile".

(fonte articolo: http://www.wildworld.it/index.php?option=com_content&view=article&id=66:la-montagna-di-mauro-corona-leggetelo-tutto&catid=23:storie-e-articoli-di-montagna&Itemid=81)

"Io credo che la montagna abbia la voce e ci parli. Parla, sì parla. Siamo noi che non vogliamo più sentirla perché oggi ci mette a nudo. Molti l’hanno uccisa - dentro di loro prima di tutto - ma la montagna parla ancora. Perché la montagna è dio, è il mare, è il deserto è la vita che ci ha dato da mangiare. Dio, siccome non poteva farci da mamma, con la sua presenza, ha fatto la montagna. Essa ci aiutava a tenerci in vita ma, con la sua energia, anche ad ascoltare, a sentire. E’ questo che abbiamo ucciso. Era ricca la montagna, noi ne abbiamo spento le risorse proprie. E la montagna prova dispiacere, si vede. E’ chiaro che parla ancora a chi la vuol sentire. Ma oggi la spremono solo per fare soldi, per accumulare questi maledetti soldi: quindi non ce la fa più.
E’ spremuta. Hanno illuminato la Tofana: lasciate piuttosto che la illumini la luna. La montagna deve essere come una medicina, che ci aiuta a stare un po’ meglio. Non risolve tutti i nostri problemi, ma ci aiuta. Invece la vogliono fare diventare una fabbrica di soldi. Non ce la fa, è chiaro che non ce la fa. A nche l’alpinismo e i suoi club hanno spesso rovinato la montanga. Sport, fretta, prendi e getta, conquista, moda. Invece bisogna insegnare ai bambini, a scuola, a percorre la montagna, anche piano. Occorre introdurre le guide alpine nelle scuole, che insegnino a camminare i primi cento metri, i più difficili, a fare un mucchietto di sassi, a rompere un rametto, in modo che se ti perdi sai come tornare indietro. La montagna è stata sempre vissuta in maniera naturale, ora la preconfezionano. Così parla a quei pochi, ormai, che hanno l’antico sentire, ma sempre meno ai giovani. Che sono isolati: sono stati isolati dalla montagna. Vanno con tute che non fanno nemmeno sentire la neve addosso ai bambini, non glielo permettono. Invece la neve era un massaggio cardiaco, fresca, faceva magari freddo alle mani, ma scaldava il cuore. I ragazzi si fortificavano. Oggi invece la montagna viene isolata dall’uomo, si cancella il freddo, il buio, la fatica, la paura: c’è una mancanza assoluta di naturalità nel rapporto fra l’uomo e la montagna. Lei si avvilisce e non parla più. Per questo dovrebbe essere tutti gli anni «l’anno delle montagne». Per me lo è, da tutta la vita e per sempre: altro che una botta e via, qualche miliardo di pubblicità, manifestazioni e poi tutto resta com’è. Il rischio è di fare l’ennesimo «anno contro le montagne» parlandone bene. Se manca la naturalità, la montagna è muta, chiusa in se stessa. Ogni scusa è buona. Il centenario di questo, l’anno di quell’altro. Hanno illuminato il campanile di non so che cosa, quel pinnacolo di Montanaia o le torri del Vajolet, vogliono fare delle cose che non sono naturali per la montagna: concerti rock sulle piste, rally attraverso i pascoli abbandonati dalle vacche. Deve invece restare la luna a illuminare la montagna, non le lampadine, o i fari lungo le piste per sciare di notte sulla neve artificiale. Ma ci rendiamo conto della realtà? E questo lo fanno perchè? Per far tirar fuori dalle tasche l’euro al turista. E’ il tempo per tornare a educare i bambini, l’alta quota non può essere solo divertimento.

Non va bene. Se non nevica non si va a sciare, ecco. E non si va avanti a miliardi: perché allora devono fare la neve, devono attingere alle fonti d’acqua per fare la neve, già ce ne era poca di acqua. Ma lo vogliamo capire che le cose si fanno quando si possono fare? Se non nevica più perché l’uomo ha devastato il cielo e l’atmosfera dove abita dio, pazienza: non si va più a sciare. Un castigo, ma l’avete voluto voi. Io credo invece che si possa vivere in montagna senza trasformarla in questa spaventosa macchina per fare soldi. Certo che si può rimanerci, ma la verità è che non si vuole più solo vivere. Si vuole qualcosa di più. Chi vive in montagna ce la farebbe. Vivo pure io, o i boscaioli. Felici. Ma troppi vogliono invece solo arricchirsi: non quanto basta, molto. Allora il boscaiolo non si accontenta più dei tre milioni al mese che potrebbe guadagnare lavorando, ne vuole trenta, come succede a un boscaiolo qui, che porta giù dodici camion al giorno di legname. L’arricchimento: è questo il punto di cui si fatica a parlare. Non è più avere ciò che basta per mangiare con la propria famiglia, per avere una casa. Quello che conosco io va in giro in Ferrari, assassinando i boschi. E lo permettono, perché lo permettono. La mia speranza sono i bambini. Ad essi bisogna cominciare fin dall’asilo a introdurre nel cuore la montagna, la naturalità del vivere in montagna, l’amore. Insegnare anche ad usarla con i sensi, con l’olfatto, con l’udito, i rumori, i colori. Hanno girato un film sul Vajont: nessuno degli attori mi ha mai parlato dei colori della montagna. Non li vedevano. E a questo vanno educati i piccoli nelle scuole. Anche introducendo la figura della guida alpina come maestro di supporto. Ma lo vedete che attraversano i torrenti ingrossati e non capiscono che il torrente gli parla? E annegato uno scout. Ha attraversato il torrente, ma lui dopo otto giorni che pioveva gli stava dicendo: guarda che sono ingrossato, sono pericoloso. I bambini guardano un albero che si muove fuori dalla stanza e non sanno capire che c’è il vento.

Pensano che sarà qualcuno che lo muove, o le pale del Mulino Bianco. Dobbiamo pensare a queste cose. Oppure decidiamo di uccidere la montagna, ma diciamolo chiaramente, non facciamo finta di fare gli ecologisti o di promuovere gli anni internazionali che ingrassano chi se ne occupa e inpoveriscono chi vive sui monti. Non è possibile che in un parco, dove prendono miliardi di finanziamenti, come nel parco delle Dolomiti friulane, scorazzino in macchina due trecento maleducati al fine settimana e possono fare ciò che vogliono impedendo il silenzio, o di guardare gli animali. Mentre ai cacciatori, se onesti amanti profondi della natura, tutto è vietato. In montagna vanno per prendere, non più per ricevere un dono, un’energia, una medicina per la vita, un po’ di tranquillità. Perché è medicina anche l’energia degli alberi, soprattutto in primavera: senti che stai bene, che ti lasci alle spalle le magagne. Non sanno più usarla, la montagna, e non riescono più a lasciare a casa la città. Così arrivi in un rifugio e ti trovi con una radio a tutto volume. Non vi proibisco di portare la radio, se proprio la volete, ma tenetela bassa. E se ascoltate la radio o guardate le tivù, non sentirete la montagna, gli alberi, il vento. Sarete altrove, dove siete sempre. La montagna poveretta, vede tutto questo e si è avvilita a morte, proprio avvilita. Adesso ha bisogno di essere rimeditata. E’ un dono di dio e non è retorica falsa. E’ spiritualità perché la montagna è anche un compagno di viaggio, è un grembo materno. Naturalmente ogni tanto la mamma si stiracchia e butta giù qualche pulcino, come accade ad una chioccia. E’ sì, soprattutto spiritualità, è un messaggio divino vedere queste cose di bellezza, di potenza, anche questi messaggi di rimprovero: ma tutto al fine di farci stare meglio. In mancanza della mamma ci si affida a questa natura. Ma bisogna avvicinarsi con l’educazione del sentire e oggi non te la danno più. Anche i programmi televisivi e i libri sulla montagna, sulla natura, sono solo tecnici: nessuno parla di dio, della consolazione, della serenità che può infondere un bosco o un sentiero. E’ tecnica. C’è il geologo con il martellino che ti dice che questa pietra è del giurassico, 300 milioni di anni. No: trecento milioni di preghiere, di anime, non di anni. La vogliono ridurre a pietra, e non va. E poi è assolutamente una scuola di vita. E’ una scuola se tu la frequenti e qui torno a insistere, in maniera naturale. E’ scuola sì. Quando hai camminato dieci ore per arrivare su una cima (e non scalare, quello è un esercizio che va al di là), quanto arrivi su un cima e poi torni giù, quella è scuola. Perché ti insegna, la montagna, che da una vetta non vai in nessun posto, puoi solo scendere. Quindi anche nella vita, ti fa capire, che chi raggiunge dei traguardi deve poi solo imparare a scendere da essi. Ed è difficile, perchè si è stanchi e spesso l’ora è tarda. Dopo di che insegna la fatica, poiché la montagna è in salita, come la nostra vita.

Ti consuma energie, ma quando arrivi in un rifugio o a casa tua e mangi un panino, capisci e che il tonno non deve tagliarsi con il grissino, per essere buono. Deve prima di tutto essere vero. Così la montagna ti mette a nudo la naturalità, ti impegna a essere in rapporto con le cose autentiche, con la verità delle cose fisiche. Ed è qui che la spiritualità si salda alla fisicità, che la spiritualità moltiplica la percezione di tutti i sensi. Quando dopo le ore di cammino trovi una sorgente che butta acqua capisci quanto dio è stato il dio che ha inventato l’acqua e quanto preziosa è. E nella fatica apprezzi non solo il bicchiere d’acqua, o il pane, ma anche l’amicizia, gli incontri. La montagna manda questi messaggi: anche gli odori, i rumori. Ma avete mai sentito il torrente correre? Chi si ferma a sedersi per sentire che l’acqua non fa differenze come noi, ma bagna tutti i sassi? Quelli neri e quelli bianchi, quelli limacciosi e quelli lucidi? Però bisogna essere umili per capire. Bisogna ascoltare. Spogliarsi di tutto quello di falso e apparente che c’è. Quando ascolto l’acqua di un torrente non mi importa niente della Ferrari, ma quando mancherà l’acqua - e mancherà - tutti questi Soloni che parlano di petrolio e di automobili avranno il terrore, perchè avranno ucciso il bene più prezioso del pianeta. Allora, con la montagna, avranno ucciso anche un pezzo di dio".


Mauro Corona




1 commento:

  1. Purtroppo quello che scrive Mauro è tristemente vero. La Montagna dovrebbero insegnarla a scuola, come si fa in quelle svizzere, dove l'educazione ambientale è materia di studio (in modo serio, alla svizzera si intende). Invece dalle nostre parti chi frequenta la montagna e cerca di avvicinarla anche agli altri è facile sentirsi rispondere: "ti ciabbachiri", "a prima ci jijimu a pasci i pecuru", oppure "a prima ci jijimu a linni". Cosa trasmettono queste persone ai loro figli? Ignoranza, mancanza di cultura, mentalità sbagliata, eppure quello che succederà alla Natura prima o poi succederà anche a noi. Un grosso abbraccio. Ciao

    RispondiElimina