giovedì 5 dicembre 2024

Diario - 2 dicembre 2024

 Il ritorno del silenzio bianco



E' l'alba e vedo dalla finestra una coltre di nubi sospesa sulle montagne vicine, che lascia trapelare la distesa dei faggi imbiancati dalla neve. Le nuvole si alzano e lasciano uscire il sole. Sulla Serra di Crispo persiste una striscia di nebbia bianca, lucente e abbagliante di luce. Parto più tardi, voglio fare un giro d'allenamento, calpestare l'ultima neve caduta stanotte e nel contempo fotografare gli alberi imbiancati. Li ho visti tante volte così, ma ogni volta le montagne coperte dalla prima neve sono un'attrazione per i sensi. La coltre nebbiosa ritorna a coprire foreste e creste, il tempo è umido, nella foresta le goccioline cadono dalla neve che si scioglie dai rami, gli abeti coi rami piegati dalla coltre nevosa si mostrano con la tipica forma cilindrica. Tutto è impregnato di umidità, la neve è acquosa e pesante. Procedo nella foresta speditamente, è una delle classiche giornate di solitudine del Pollino, sei immerso nella foresta, cosciente che non incontrerai nessuno. Nessun timore però, la lunga frequentazione di questi luoghi ti fa sentire a casa tua, a tuo agio. A Piano Iannace la copertura nevosa è alta una ventina di centimetri, posso osservare i magnifici abeti bianchi coperti di neve che si stagliano nella scura faggeta, ancor più evidenti in queste condizioni. La nebbia intanto è calata sulle creste di Serra Crispo; è un paesaggio in bianco e nero, e le foto non avranno bisogno di filtri e modifiche per renderlo tale. Abbandono la pista forestale e mi avvicino ai ripidi pendii rocciosi, comincio a salire "dritto per dritto"; le roccette che affiorano formano delle gradinate alte e ripide, la neve è scivolosa e si sprofonda dove questa copre le macchie di ginepro. L' umidità penetra dappertutto, la nebbia si è infittita invece di alzarsi. I pini loricati sono avvolti dal manto nevoso, qui la neve resiste sui ciuffi di aghi, sulla corteccia dei tronchi e sui rami, ricoprendoli soprattutto nelle parti della pianta esposti a ovest. Sotto gli alberi si ha la sensazione di stare sotto una capanna di ghiaccio e rami, si avverte quasi un senso di protezione. Bisogna fare attenzione sui pendii scivolosi, la neve scivola via facilmente sull'erba viscida come sulle rocce. Si sprofonda negli accumuli, la neve bagna tutto ciò che entra in suo contatto, i guanti leggeri sono inzuppati già (ma non posso indossare quelli pesanti perché ingombranti quando si fotografa), l'umidità penetra dappertutto, anche all'interno dello zaino. Il clima ostile è però sempre ripagato dai magnifici spettacoli creati dalle forme della neve, ora sulle rocce, ora sui rami degli alberi: i pini loricati sono avvolti in quella specie di veste "nuziale" glaciale, che li rende così unici agli occhi dell'escursionista. E la sommità di questa montagna, nei pressi della cima anche oggi ha qualcosa in più: qui i loricati creano forme al contempo fatte di materia vitale e non, sono alberi ma anche neve e ghiaccio, vento ed equilibrio di forze, in un'unica forma che li trasfigura in elementi di un paesaggio irreale. Una bellezza che non è mai statica, è colta dai nostri sensi immaginifici nel suo mutamento e nella materialità cangiante delle sue forme. L'annullamento del paesaggio, creato dalla nebbia, rende questi pini i protagonisti assoluti del palcoscenico invernale di oggi, 2 dicembre 2024. Particella di vita dell'universo, mi aggiro solitario, anche io perso nella nebbia e mi oriento proprio grazie a pini e spuntoni rocciosi che conosco ormai bene, verso la cresta che degrada in direzione di Timpa del Ladro. Qui molti pini monumentali sono abbarbicati agli spuntoni rocciosi levigati e rotondeggianti, altri sono giovani e dalle forme spioventi, che ricordano quasi degli abeti. I piedi sono freddi per l'umidità, ora bisogna attraversare i pendii della fitta, bassa e intricata faggeta, scostando i rametti davanti agli occhi e stando sempre attenti a non scivolare a causa della neve pesante e bagnata dei pendii. E' un disagio che ci rende vivi, che ci sprona a mettere alla prova il nostro corpo, le potenzialità di fibre muscolari, tendini e nervi, che si accordano con i riflessi del proprio cervello sulla base di anni ed anni di esperienze in montagna. I pendii sono abbastanza ripidi, percorro un ripido canalino sovrastato dalle rocce, che mi sembra ancora più ripido rispetto alla memoria che ho del luogo. Più sopra arrivo ai pini della colonia di Timpa del Ladro: qui il tempo è più umido, la neve si scioglie gocciolando dai rametti o casca in nuvolette bianche. In tutta la foresta oggi è un continuo frusciare della neve che si stacca dagli alberi e una continua pioggerellina: non si può non avere il cappuccio per proteggere la testa dal fastidioso ticchettio dell'acqua. Mi porto più sotto sull'orlo delle pareti di Timpa del Ladro e la nebbia si è infittita, non lasciando intravedere nulla della faggeta che sta alla base delle pareti rocciose, ed è come se le pareti sprofondassero in un vuoto di centinaia di metri, ma che è solo un vuoto creato dalla nebbia. Sceso dal crinale attraverso la foresta di faggi e abeti, il tramonto non è lontano, non seguo volutamente il sentiero e mi si rivelano angoli suggestivi che già avevo visto in passato, ma che mi appaiono da una diversa prospettiva, quella cioè della scarsa luce, della nebbia incombente e dell'assenza quasi di colore: come alte pareti rocciose e fossi che creano canalini rocciosi e di tanto in tanto abeti bianchi alti e massicci. Accelero il passo per tornare verso i sentieri segnati, è come se la foresta non finisse mai, si potrebbe vagare ore e ore senza mai uscirne, a contatto con le sole sagome scure degli alberi onnipresenti, che si stagliano ad ogni passo. Tornato sui sentieri il buio avanza, ma col chiarore della neve ci vedo ancora bene e proseguo senza lampada. Si fa vivo finalmente il verso di un allocco, che si è attivato al calare delle tenebre. Oggi ho visto solo qualche cincia mora sui pini loricati e nessun altro animale. La giornata è stata dominata dalla solitudine bianca di neve, nebbia e umidità.

Saverio "Indio" De Marco



















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