Tra i pini loricati e le vette delle Alpi Albanesi
(H.P. Lovecraft)
Si può dire che il mio viaggio sulle montagne d’ Albania sia cominciato con un sogno, fatto il 30 novembre 2024. Nel sogno ero assieme all’amico Quirino Valvano e la mattina stessa gli mandai un messaggio per raccontarglielo: “Buongiorno. Ti voglio raccontare un sogno, vivido e realistico. Ho sognato che eravamo andati in Albania sulle montagne. Le montagne che vedevo avevano versanti selvaggi e impervi, sembrava di esserci fisicamente. Ricordo che mi hai fatto vedere qualche pino loricato sulle rocce. Alla base di qualche parete di roccia chiara e levigata, in alto, si intravedevano delle grotte. C’era una valletta dove passava il sentiero e c'erano grotte grandi usate dall'uomo in passato come ripari/osterie. Ricordo anche muri a secco e fontanelle con abbeveratoi scavati in blocchi di roccia. Ma la cosa più vivida era il panorama sui versanti selvaggi, con pareti di roccia di centinaia di metri dalla forma concava e quindi inaccessibili. Insomma, sembrava di stare là, su quelle montagne immaginarie. Sogni a parte, dovremo proprio farcelo un bel giro in Albania...” Dal sogno, che evidentemente può esprimere un nostro recondito desiderio, si passò subito alla realtà, perché Quirino mi annunciò, nella risposta al messaggio, che aveva in mente da anni un viaggio in Albania tra le montagne e lo stava programmando, sarebbe andato anche da solo e viste le circostanze mi chiese se volessi aggregarmi. Non me lo feci ripetere due volte, dovevo cogliere l’occasione per visitare le selvagge montagne dove erano presenti i pini loricati dei Balcani, che da sempre avrei voluto vedere… Senza l’amico Quirino Valvano (guida ufficiale del Parco, musicista e costruttore di zampogne), questo viaggio non sarebbe stato possibile per cui lo ringrazio anche qui pubblicamente. È lui la mia guida appena arriviamo in Albania: con la lingua arbereshe dei profughi albanesi che fuggivano dalla dominazione ottomana, anche se antica di 500 anni e simile maggiormente all’albanese del sud, riesce subito a dialogare e a farsi capire con i tassisti di Durazzo, prima tappa del viaggio. Si fa avanti, per portarci a Scutari, l’autista di un pulmino che trasporta persone e merci varie durante il viaggio. Facciamo tappa in qualche campagna per scaricare dei pacchi, potendo così entrare in contatto con luoghi non turistici delle zone di collina e di pianura. L’Albania mi appare subito come un paese avviato da tempo sulla strada della modernità e legato ormai al resto del mondo, anche se persistono visioni del vecchio mondo rurale ormai avviato al tramonto (i carretti di legno trainati dai cavalli ad esempio). Scutari è l’esempio di una città moderna e occidentale, con molti locali, il cui centro storico è strapieno di turisti provenienti da tutta Europa. Vediamo sfrecciare molte auto di lusso come BMW, Mercedes, Audi... si notano i segni del benessere, ma basta allontanarsi dalle strade principali del centro ed entrare nei vicoli per notare le contraddizioni: case vecchie e diroccate, qualche anziano che chiede l’elemosina. Moschee e chiese ortodosse sorgono una vicino all’altra, la sensazione è quella di una città dove le varie confessioni religiose convivono pacificamente. Qui parecchi albanesi parlano italiano e i gestori di bar e ristoranti si meravigliano e ci prendono in simpatia quando capiscono che Quirino è arberesh e riesce a comunicare con la sua lingua. Soggiorniamo in un ostello “alternativo”, “My casa es tu casa”, gestita da Alma, una donna colta che vive tra nord-Italia e Albania, un’oasi di tranquillità circondata da giardini rigogliosi, con salottini arredati da libri e oggetti vari, frequentata soprattutto da giovani escursionisti e viaggiatori che vengono da tutta Europa. Una piccola struttura che sorge nascosta, per contrasto, proprio vicino ad un grande e lussuoso Hotel. Scutari è una tappa obbligata da sud per chi come noi deve raggiungere Valbona, sulle montagne, all’interno del Parco Nazionale omonimo. Il viaggio è ben organizzato, tramite pulmini e un battello per il trasporto turisti, che si prende nei pressi di una diga e che risale il grande fiume Drin, circondato da montagne con alte pareti rocciose: è il primo assaggio con la natura selvaggia dell’Albania, che ci sorprenderà giorno dopo giorno. Ma non dimenticherò nemmeno il viaggio in pulmino verso Valbona, dal finestrino cominciavano a stagliarsi le alte e aspre pareti delle montagne, a picco sulle valli, e potevamo già scorgere da lontano le tante colonie di pino loricato che le popolano. E poi, arrivati a Valbona, una pianeggiante valle tra le catene montuose, ecco un panorama meraviglioso di alti picchi rocciosi che ricordano vagamente le Dolomiti, valli e circhi glaciali, torreggianti vette rocciose e selvagge pareti con colonie di pino nero, pino loricato e più in alto macchie scure di popolamenti di pino mugo. Tanta è ancora la neve, soprattutto sui versanti esposti a nord. Alloggiamo in una guest house gestita da Scander e la sua famiglia, egli conosce bene queste montagne. “Very beatiful mountains”, dico subito al figlio di Scander, “It’s a paradise!”. Con queste montagne è stato amore a prima vista, ancor prima di scendere dal pulmino. È proprio Scander che ci dà delle dritte sugli imbocchi dei sentieri e sui percorsi escursionistici. Dopo un giro pomeridiano nella valle, troviamo comunque degli imbocchi con tabelle che indicano le località raggiungibili e segnavia bianchi e rossi. Purtroppo non si trovano cartine dettagliate che ci aiutino nelle escursioni, né guide ufficiali. Sulle applicazioni come Locus Map o Outdoor Active sono presenti comunque degli itinerari che portano ai valichi e alle cime principali. Pur essendo montagne che arrivano max a 2694 m, (Cresta del Lago, Maja Jezerces, cima più alta), le Alpi Albanesi presentano una morfologia molto accidentata (di tipo alpino appunto) e i dislivelli sono importanti, perché si parte a piedi direttamente da valle a circa 900 m. e sia arriva intorno ai 2000 metri e oltre. Parecchie cime, come posso notare, sono torri di pietra raggiungibili solo tramite l’arrampicata su roccia, per cui le mete delle escursioni in parecchi casi sono le zone di valico, ai piedi delle vette rocciose. La prima escursione, che facciamo l’indomani (27 maggio), ci porta nei boschi e pascoli che costeggiano il versante ovest delle grandi pareti rocciose di Maja e Thate, fino al confine con il Montenegro, arrivando sulla cima di Maja e Rosit (5525 m). Si attraversano bei boschi di faggio, si incontra nelle radure la Peonia Mascula e poi cominciano i grandi pascoli d’alta quota; fanno la comparsa anche colonie di pino loricato: qui sono pochi gli esemplari centenari e con delle belle forme che possono destare il nostro interesse. Sorprendenti sono i panorami sulle vette circostanti, è un continuo spettacolo di wilderness montana, accessibile solo tramite i sentieri: nessun impianto di risalita e un solo piccolo bivacco ricavato da strutture di pastori preesistenti, prima di arrivare al valico, al confine col Montenegro, tra varie cime rocciose, dove si apre una splendida veduta sulla grande valle di Guinje e i monti circostanti del Montenegro. Ho notato tante grotte che si aprono come buchi sulle pareti a strapiombo: ricordano proprio quelle viste nel mio sogno! E poi, una volta giunti sulla cima di Maja Rosit dove ancora resistono importanti nevai, altre visioni di pinnacoli rocciosi, creste frastagliate, valli glaciali, versanti scoscesi e pareti che digradano quasi verticalmente verso le strette valli abitate. È per me sempre una fortuna contemplare montagne ancora così selvagge, scrutarne col binocolo gli anfratti più inaccessibili, poter immaginare esplorazioni avventurose, per trovarsi, anche solo con il pensiero, tra canaloni e crestoni rocciosi o alla base di pareti di roccia o sulle alte cime che si osservano da lontano. Al ritorno avvertiamo il rombo terribile di una scarica di massi, che cadono proprio dalle lontane pareti strapiombanti di Maja Lugut Hujit. Più giù, mentre la luce tersa del pomeriggio illumina i dintorni, abbiamo la fortuna di osservare un picchio nero in volo sopra gli alberi, che in questi ambienti è molto diffuso. Quirino incontra un anziano pastore e vi riesce a comunicare. È del villaggio – guest house di Kukaj, porta le pecore nei pascoli alti ed è sempre vissuto tra queste montagne; gli spieghiamo l’itinerario appena fatto. Le pecore di queste valli presentano un mantello lanoso molto folto e i maschi hanno delle corna attorcigliate e lunghe simili a quelle di certe capre. Il giorno dopo (28 maggio) ci dirigiamo, percorrendo dei sentieri sassosi che risalgono un canalone, verso la base delle pareti di Maja Lugut Hujit, circondati da boschetti di pini neri e pini loricati. Una volta raggiunta la verdeggiante valle di Gropa Shkrele, in cui notiamo ruderi di insediamenti di pastori, ci dedichiamo all’esplorazione degli aspri pendii calcarei della montagna, popolati di pini loricati alti e monumentali, molto più belli degli esemplari visti il giorno prima e che ricordano quelli dei versanti meridionali del Massiccio del Pollino. È un paesaggio al contempo familiare (per i pini loricati) ed estraneao (per la diversa morfologia di queste montagne). Alcuni esemplari pluricentenari sono davvero maestosi e caratterizzati dalla corteccia suddivisa in grandi ed evidenti placche poligonali. Rispetto ai pini loricati del Pollino possiamo notare che presentano in generale un portamento meno contorto, sono più slanciati, alti e dritti: la ragione è evidentemente dovuta anche al fatto di vivere a ridosso di alte pareti rocciose, la quota altitudinale massima raggiunta dalla specie si aggira a poco oltre i 2000 m, più in alto dominano le nude pareti dei torrioni e dei picchi rocciosi delle vette. Sul Pollino invece, vivendo anche sulle creste rocciose sommitali presentano un portamento più contorto e forme particolari che derivano dall’azione congiunta di vento e neve… Il pino loricato in Albania è poi abbondante anche a valle a bassa quota e boschetti di pino loricato si trovano persino lungo le fiumare e le strade delle zone abitate. Sorprendentemente, come ci dice Scander, che conosce bene questa specie e a cui facciamo vedere le foto dei loricati del Pollino, anche qui il pino loricato è chiamato Pioka, termine dialettale usato dalle comunità del Pollino per nominare la specie di Pinus leucodermis Antoine. Era adoperato qui come legname da costruzione, anche per realizzare le tegole di legno che ancora ricoprono i tetti delle vecchie case rurali albanesi. Anche il tavolo del bar, ci spiega, è stato fatto di legno di pino loricato: non bisogna scandalizzarsi perché in Albania come già detto è abbondante anche a bassa quota. Posti poco sopra il valico, andiamo a conoscere dei pini dai tronchi colossali, che crescono sui prati, alti e dritti anche questi e con la lorica ben definita. Per il ritorno facciamo un giro ad anello e, costeggiate delle aspre pareti rocciose, sbuchiamo in un bosco di faggio dove fa la sua comparsa anche l’abete bianco, con esemplari adulti anche se non molto grandi, che vivono vicino ai pini loricati, ai margini dei versanti rocciosi di Maja e Thate. Le esplorazioni delle montagne le cui pendici ricadono nella Valle di Valbona non sono terminate. Dopo una giornata piovosa che ci obbliga ad una semplice passeggiata nei boschi, il 30 maggio la copertura nuvolosa è sospesa minacciosamente sulle vette, ma per fortuna non piove ed esploriamo le montagne a sud di Valbona. Dopo aver raggiunto delle radure con ruderi di stazzi di pastori, popolati da distese di aglio orsino, prendiamo il sentiero per Maja Cet Harushes. Possiamo ammirare alte e verticali pareti rocciose, popolate di colonie di pini loricati che anche qui arrivano poco oltre i 2000 m. In prevalenza si tratta di esemplari alti e dritti, qualcuno dai tronchi colossali. Il passo che raggiungiamo, ancora innevato e sovrastato da uno spettacolare pinnacolo di roccia, si chiama Grika T'Hapta. Al valico, arriviamo in una zona ingombra di massi rocciosi in cui predominano i popolamenti di pino mugo. Altipiani rocciosi come questi mostrano il volto più austero e selvaggio delle Alpi Albanesi. Il sentiero, ripido e ingombro di pietrisco è scavato su sommità e cenge rocciose e soprattutto al ritorno dobbiamo fare attenzione perché si scivola, anche sulle foglie e le radici di faggio. A differenza delle precedenti escursioni in cui abbiamo incontrato parecchi escursionisti, qui non vediamo anima viva, siamo gli unici a percorrere gli impervi versanti di questa montagna. Dal sentiero si può notare l’Alta Valle di Valbona, circondata da una cresta di monti che sembra una specie di barriera: è là che saremo diretti domani. Il giorno dopo facciamo tappa alla baracca-bar di Emanueli, visitiamo un’altra meraviglia naturale, la cascata Uijvara, alta svariate decine di metri e ci accampiamo con la tenda in un belvedere panoramico, con vista sulla catena di monti.
È il 1 giugno, splende il sole ed è ormai arrivata l'estate, il sentiero che collega due grandi valli e due parchi nazionali, scavalca le montagne al passo di Quafa e Valbones. É la traversata da sempre sognata da Quirino. Il sentiero, facente parte del Peak of the Balcans (una specie di Sentiero Italia albanese) è molto frequentato da escursionisti da tutta Europa (e non solo), e attraversa incantati paesaggi di wilderness montana: uno spettacolo per gli occhi, soprattutto a primavera. Il gestore della baracca, Emanueli, offre il trasporto bagagli con la sua giumenta, consentendoci di salire perciò con lo zaino giornaliero di 30 litri e non con un grande zaino di 20 kg strapieno di roba! Emanueli, con le sue scarpine eleganti e un tiro di sigaretta ogni tanto, è veloce sui sentieri ripidi e sassosi e dobbiamo pregarlo di rallentare un po', perché vogliamo goderci gli splendidi panorami che si aprono lungo il percorso. Anche in questa zona saltano all’occhio degli esemplari vetusti e scultorei di pino loricato. La guest house dell’alta valle di Teth dove ci fermeremo, gestita dall’energica Maria e dal marito, sorge in una specie di villaggio, circondato dalle montagne immediatamente vicine con crestoni e pareti verticali. L’escursione successiva (2 giugno) è diretta proprio verso il valico che scopriremo essere quello di Quafa e Pejes, al confine del Montenegro, percorso da molti escursionisti, che compiono la lunga traversata dal paese di Vusanje a Thethi. L’ambiente rupestre è spettacolare, il sentiero sale portandosi sotto alte pareti dove nidificano balestrucci e rondini e poi prosegue su tratti di pietrisco, ai bordi di impressionanti dirupi e passando accanto ad esemplari pluricentenari di pino loricato, fino ad arrivare ai piedi di Maja Harapit, al passo già citato di Quafa e Pejes, in uno spettacolare anfiteatro costituito da un paesaggio di pietra, tra elevati torrioni rocciosi. La nostra meta è costituita dai Laghi di Pejes, due laghetti alpini che si trovano in fondo ad una conca, in cui possiamo avvistare ululoni dal ventre giallo e tritoni. Si nota una specie di trincea di pietra con i resti di una postazione in ferro, che forse poteva servire al posizionamento di una mitragliatrice. Le Alpi Albanesi vengono dette anche “montagne maledette”, per i numerosi scontri armati che si svolsero su questi valichi montuosi. Del resto i molti bunker che abbiamo visto nelle valli di Valbona e Tethi risalenti al periodo del comunismo, testimoniano un passato completamente diverso dalla situazione odierna, in cui l’Albania è una meta turistica internazionale e non più un paese chiuso nei suoi confini. Più oltre, salendo ancora, ecco un altro belvedere sul valico che scende verso le montagne lontane in direzione delle valli del Montenegro. Si notano nelle vallette ruderi di vecchie strutture pastorali. Il 3 giugno visitiamo il paese di Tethi, posto più a valle. Numerose sono le strutture ricettive, ne stanno spuntando anche di nuove. Il gestore della nostra guest house afferma che si sta costruendo senza regole, “si rovina il panorama, è uno schifo”. Sono purtroppo gli effetti collaterali dell’aumento dei flussi turistici, che riguardano però solo le valli antropizzate. A Thethi conosciamo Pavlin Polia: una guida delle Alpi albanesi che gestisce un ristorante - guest house. Egli comprende bene la necessità di gestire lo sviluppo turistico in modo che si concili con la conservazione della wilderness montana. Non poteva mancare il dono di un’ immagine dei pini loricati del Pollino che assieme alla lingua arberesh di Quirino, rappresentano un ponte di fratellanza e interazione tra le rispettive montagne e culture. Un altro poster lo avevamo regalato ad Alma a Scutari e alla famiglia di Scander a Valbona. Visitiamo anche una bella cascata, raggiungibile da un sentiero che passa accanto a bellissime abitazioni rurali che hanno conservato lo stile architettonico tradizionale: casa ad uno o due piani, tetto spiovente e forma anteriore “trapezoidale”, finestre piccole, tetto coperto da tegole di legno di pino. Il 4 giugno facciamo un’escursione diretta ad una meta più turistica, lungo il fiume Tethi e poi dirigendoci all’affluente caratterizzato da un’altra meraviglia naturale, “Blu Eye”, occhio blu. È forse la destinazione che mi è piaciuta di meno di questo viaggio in Albania: troppi punti ristoro nei pressi del sito, molti bagnanti in costume, addirittura un tavolo da pic-nic sul letto del fiume e un ristorante-bar proprio sopra la gola che sovrasta la cascata dell’occhio blu, pozza d’acqua chiamata così per il suo colore azzurro intenso. È purtroppo il destino di posti belli e selvaggi ma ormai addomesticati perché più accessibili, in cui spuntano come funghi bar e ristoranti, strutture che dovrebbero invece di regola sorgere lontano dai siti naturalistici più pregiati e vicino alle strade dove si trovano gli imbocchi dei sentieri. Ma una nuova immersione nella wilderness più autentica delle Alpi Albanesi è pronta il giorno dopo con l’Anello di Maja Harapit.
Quirino preferisce fare un giro più tranquillo, perciò decido di compiere un’ultima, impegnativa escursione in solitaria di "raccoglimento" e addio (anzi, di arrivederci) alle Alpi Albanesi. Quirino, come mi racconterà al mio ritorno, preferirà fare un giro breve ripercorrendo il primo tratto del sentiero già preso da me in precedenza, avvistando uno splendido camoscio e ascoltando il suo “fischio” d’allarme! Mi avvio molto presto per salire all’ombra, sul sentiero poco battuto, seguendo la linea di un canalone roccioso e poi portandomi nel bosco, su ripidi pendii, a ridosso degli alti piloni rocciosi, fino ad arrivare in alta quota: un paradiso di roccia, aspro e selvaggio, che offre visioni di quella wilderness da sempre tanto cercata nella mia vita. Questi ripidi crestoni e pareti in cui fanno la comparsa i pini loricati così familiari, i picchi rocciosi inaccessibili e le ondulazioni di calcarei dei rilievi, nevai e valli glaciali di una natura ancora indomita e selvaggia, rappresentano un groviglio di immagini, sensazioni, emozioni, che resteranno per sempre impresse nella mia sfera interiore. "La wilderness è sia una condizione geografica che uno stato d'animo". Arrivederci, montagne d'Albania!
Saverio De Marco
Guida Ambientale Escursionistica
Consigliere Nazionale Associazione Italiana Wilderness
Presidente Gruppo Lupi San Severino Lucano
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