lunedì 1 settembre 2008

Jeremiah Johnson: l'epopea delle Rocky Mountains

“Qui c’e il vero capolavoro di Dio, e non ci sono leggi per i coraggiosi, non ci sono rifugi per i dementi. Non ci sono chiese, ma c’è quest’immenso scenario; non ci sono preti, ma c’è la fede. Per giove, io sono un uomo delle montagne e ci vivrò finchè una freccia o un proiettile non mi fermeranno… E io farò di questa terra il mio monumento”

Le parole del trapper Del Gue dal film “Jeremiah Johnson”

Jeremiah Johnson - Corvo Rosso non avrai il mio scalpo

Ultimamente ho avuto l’occasione di rivedere uno dei miei film preferiti in assoluto, dopo ben dieci anni. Il film è “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo”, brutto titolo italiano del film di Sidney Pollack “Jeremiah Johnson”. E’ un film vecchio ma non può non avere un posto d’onore in questo blog sulla natura e la montagna. Il film si ispira alla figura storica del vero trapper con lo stesso nome, detto anche “Mangiafegato Johnson”, perché la leggenda vuole che mangiasse il fegato dei guerrieri Crow per vendicarsi dell’uccisione della moglie, un’idiana Flathead. Il film è proprio incentrato sull’epopea dei trapper, i primi esploratori delle selvagge regioni montuose dell’ovest americano. La parola allo storico William C. Davis: “I trappolatori provavano in quelle regioni esperienze mai vissute da altri prima di loro. La sopravvivenza esigeva coraggio, capacità di recupero, ingegnosità e una certa dose di fortuna. Per coloro che possedevano questi requisiti le ricompense erano a volte notevoli. Infatti, pochi americani hanno conosciuto l’indipendenza, il senso della scoperta e, talora lo stupore di cui godettero i “mountain man” durante il loro breve regno come padroni delle montagne”. I trapper, cacciatori e trappolatori diedero il via alla penetrazione dei bianchi in territorio indiano, tramite quello che era allora il commercio di pellicce. Questo scenario storico è raccontato magistralmente in questo flm. Jeremiah Johson è un giovane con un recente passato da soldato, che probabilmente non sopporta più la civiltà e i suoi orrori; così decide di andare sulle montagne e diventare un cacciatore. Qui farà il suo difficile apprendistato nella natura selvaggia, imparando via via, anche grazie all’aiuto di un anziano trapper, tutti i trucchi per sopravvivere nella natura. Sulle montagne incontrerà i segni di quel conflitto che trasformerà la sua vita: quello tra i coloni e gli indiani. Johnson porterà con sé un bambino sopravvissuto ad un massacro dei Crow. Tuttavia con gli indiani i trapper commerciavano e cercavano di stabilire rapporti cordiali; spesso portavano con sé una donna, di solito scambiata con pellice in un villaggio indiano. Anche Johnson involontariamente si trova a dover accettare una donna indiana. Si costruirà una capanna e lì comincerà la nuova vita assieme all’indiana e al ragazzo. Sembra che finalmente abbia raggiunto la felicità. Ma gli echi della storia, del conflitto violento che distrugge ogni possibilità di convivenza armonica, raggiungono persino la sua capanna, la sua isola felice. Sarà costretto a scortare una compagnia di soldati in soccorso ad una carovana e dovrà passare in mezzo ad un cimitero indiano, un luogo sacro ed inviolabile per gli indiani Corvi. Per i Crow, già suoi nemici, è un sacrilegio. Al ritorno Johnson troverà l’indiana e il bambino uccisi e scalpati. Brucerà la capanna e andrà a vendicare i suoi cari. D’ora in poi si trasformerà in un uccisore di Crow, che gli tenderanno continuamente agguati, ma che lo venereranno come un eroe. Nell’ultima scena sarà però un Crow, a cavallo conosciuto prima, a tendergli la mano alzata in segno di saluto, il segno della fratellanza tra popoli diversi. Il film è un’eccezione nel panorama del cinema westen “revisionista” degli anni sessanta-settanta. Vennero realizzati in quegli anni molti film pro-indiani, in cui si denunciava il carattere di genocidio che ebbe la colonizzazione dei territori dell’ovest. Questo film è molto più serio. In effetti in questo film il conflitto bianchi-indiani non è visto a tutto tondo, ma delineato realisticamente, in tutte le sue sfaccettature. Ma i pregi del film non finiscono certo nella trama. Sull’interpretazione di Robert Redford non mi dilungo, visto che è un attore da sempre celebratissimo a livello internazionale. La musica è davvero evocativa. Jeremiah Johnson è anche un film sulla montagna. La fotografia è eccezionale e le immagini mettono in rilievo la stupefacente maestosità dei paesaggi sconfinati delle Rocky Mountains. E’ poi un film sulla montagna perché mette in luce la durezza della vita dei montanari, i pericoli e le avversità che essi furono costretti a sopporare, la rudezza della loro vita, assieme alla sensazione di estrema libertà che essi ricevettero dal vagare liberi in terre selvagge ed inesplorate. Per chi ama i fumetti italiani (come me) c’è una curiosità: il film contribuì ad ispirare lo sceneggiatore Berardi e il disegnatore Milazzo nella realizzazione del loro fumetto: Ken Parker, un capolavoro della letteratura italiana a fumetti ed una delle testate più originali della Sergio Bonelli Editore…

2 commenti:

  1. Ho appena finito di vedere il film... per la seconda volta...
    Poco da aggiungere all'ottima recensione di Indio, solo una nota che riguarda il montaggio, davvero magistrale ed a tratti geniale...contro la confusionaria estetica del cinema contemporaneo è capace di raccontare i lunghi silenzi, il trascorrere lento delle stagioni, ed allo stesso tempo la dinamicità delle scene d'azione è sorprendente...
    Da rendere esempio obbligatorio di studio in ogni scuola di cinema.
    Vincenzo A.

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  2. hai ragione. si nota un montaggio magistrale a studiarlo bene...film come questi oggi ce li possiamo solamente sognare!

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