martedì 9 dicembre 2008

Racconti - Il demone bianco

Eppure io porto anche qui i miei antichi, soavi fardelli, Li porto, uomini e donne, li porto con me dove vado, Dichiaro che mi è impossibile riuscire a disfarmene, Io sono colmo di essi, e li colmerò a mia volta. (Walt Whitman) "...c'era al suo proposito un altro pensiero, o piuttosto un orrore vago, senza nome, che a volte soverchiava completamente tutto il resto con la sua intensità; eppure era tanto mistico e quasi indicibile ch'io quasi dispero di renderlo in forma comprensibile. Era la bianchezza della balena che sopra ogni altra cosa m'atterriva” (Herman Melville)
Mise la sveglia alle quattro di mattina. Preparò lo zaino, con tutti gli accessori. Era puntiglioso in questo, e divideva i vari reparti dello zaino così come indicavano i manuali. Le cose più pesanti al centro dello zaino, sopra, le provviste di cibo sotto, chiuse in sacchetti di plastica. Il telo termico di emergenza, l’accendino, la mappa e il taccuino degli appunti. La macchina fotografica protetta dal fagotto della giacca a vento. Non aveva sonno, ma sapeva che per affrontare l’escursione avrebbe dovuto dormire un po’. Quella notte si svegliò più di una volta. Aveva un po’ di tensione. Tutte le paure tornavano col calare delle tenebre, facendo la loro apparizione nei pensieri che gli si affollavano durante il sonno. Sognò distese di neve ghiacciate e vette mai viste prima. Sognò la foresta buia e quei sentieri che si sovrapponevano come un labirinto senza uscita. Si svegliò l’ultima volta prima dello squillo della sveglia, nel pieno della notte. Le paure sarebbero svanite quando egli si fosse levato dal letto e il suo corpo si fosse messo in movimento, per affrontare il freddo gelido della strada. Non fece rumore per non svegliare i suoi. Non gli aveva detto dove andava; gli aveva solo detto che sarebbe partito e poi ritornato la sera tardi. Non dovevano preoccuparsi, sarebbe tornato a casa. Questo poteva bastare. Si vestì, fece colazione e si mise lo zaino in spalla. Sentì la sicurezza delle sue forze, l’energia nei suoi muscoli, l’avventura di un giorno non vuoto, che sicuramente non avrebbe dimenticato. Uscì nell’aria gelida, nelle strade del villaggio deserte. Abbandonò la strada asfaltata e si avviò nell’oscurità di una stradina che portava verso i boschi. Quella era l’ingresso nel suo solitario mondo appartato, dal quale entrava e usciva ogni tanto. Tutto era oscurità e silenzio, e persino il rumore dei suoi passi e l’affanno della salita facevano parte di quel silenzio. Camminare in solitudine non significa essere solo, perché il cammino che si percorre è la compagnia della propria anima. E poi aveva il suo zaino, i suoi scarponi, che durante il cammino sono i compagni a cui fare riferimento. La sua macchina fotografica, che era l’occhio con cui avrebbe comunicato al resto del suo mondo ciò che avrebbe visto: alla fine nient’altro che dei miseri ritagli per farsi accettare dagli altri. Sentiva gli animali muoversi nel bosco. Sbucò su un promontorio e il richiamo squillante di una civetta lo fece spaventare. Il buio mette sempre paura, pensò, e si domandò perché. Ma non si può sconfiggere la paura senza provarla. Stava avvicinandosi alla foresta. Cominciò a camminare nel terreno coperto dal manto nevoso. Si era lasciato alle spalle il terreno scoperto e adesso si incamminava in un territorio ingombro da neve ghiacciata. La luna e il biancore della neve illuminavano il suo cammino. Incontrò finalmente la foresta ed entrò nei suoi meandri: era arrivato al secondo stadio del suo cammino di allontanamento dal mondo. Pensava intanto ai suoi affari quotidiani, al lavoro, agli amici e all’amore, al suo ruolo nella collettività e al suo posto nel mondo. Pensò che noi ci portiamo i nostri fardelli ovunque e liberarsene è impossibile. Ci allontaniamo dal mondo e il mondo si dilata dentro noi stessi, vi si espande e diventa anche opprimente. Ce ne vorremmo liberare, ma è come se volessimo liberarci di noi stessi… Arrivò in una radura ai piedi delle montagne. Il sole sorgeva alle sue spalle colorando di rosso il cielo, e gli enormi abeti vi si proiettavano come ombre nere. Sorrise all’apparizione di quelle rocce che dominavano le valli, con i pini secolari austeri e regali. Sembrava proprio di stare in uno dei suoi sogni. Nella neve si sprofondava e si mise le racchette ai piedi. Sbucò ai piedi delle montagne e cominciò a risalire la dorsale della montagna ammantata dai faggi piccoli e fitti. Impiegò tanto tempo per salire ed una fatica immane. Il sudore gli colava dalla fronte e gli faceva bruciare gli occhi. Sbucò dal bosco e si ritrovò sulla cresta ghiacciata. Tutta la fatica svanì alla vista dei pini secolari, aggrappati alla roccia. Il mondo civile in quell’istante si era fatto lontano, e ciò che contava era dimenticare per un momento il suo ruolo nella vita, sì, il mondo, il cui ricordo lontano prendeva la forma dei piccoli paesi inghiottiti dalla vastità di quel silenzio. Ciò che contava ora era contemplare quello spettacolo. Ciò che contava era salire sulla cresta innevata. I luoghi inospitali sono una casa ideale se ci si adatta alle loro regole. Il crestone era ripido e ghiacciato e non gli era permesso di scivolare, perché si sarebbe schiantato sulle rocce dei dirupi sottostanti. Aggrappato al ghiaccio come un puntino nero nella vastità della montagna, egli poteva fare affidamento solo sulla sicurezza dei suoi passi. Un passo dopo l’altro nella salita, era unicamente quello che poteva fare. La picozza affondava nel ghiaccio duro e il suo manico era l’unico appiglio che lo reggeva alla cresta. Poi finalmente sbucò sopra, tra le cornici di neve e gli apparve la cima della montagna. Dovunque si girasse c’erano solo le montagne a chiudere la visuale del mondo in un orizzonte di rocce, alberi e neve. I passi si erano fatti pesanti per la stanchezza. Procedette verso la cima e quando vi arrivò si ritrovò immerso nella nebbia. Sembrava che ormai stesse a camminare in un luogo remoto tra le nuvole. Tutto era bianco, dovunque volgesse il suo sguardo. Cominciò a scendere lungo l’altro versante, scavando coi talloni i gradini nella neve, adesso scivolosa. Non aveva ancora mangiato. Trovò un grosso masso libero dalla neve e si sedette. Prese dallo zaino della frutta secca e cominciò a mangiare, mentre il vento freddo gli accarezzava il volto. Le nuvole intanto scendevano sulla cresta che aveva scalato, e le sagome scure dei pini apparivano e sparivano come fantasmi. Mai come in quel momento si sentì così solo. Eccolo, un uomo sperduto, senza casa né legami di sorta, appoggiato sulla nuda pietra, a contemplare quella primordiale desolazione di bellezza e armonia. Se si cerca la solitudine è perché la si vuole combattere. E alla fine il demone si rivela, si nasconde in noi stessi e d’un tratto ce lo troviamo davanti… Ma quello fu solo un attimo, risistemò lo zaino, si guardò attorno e sorrise. Adesso non gli restava che scendere pazientemente l’altra dorsale per avviarsi sulla strada di casa…

1 commento:

  1. Ciao Indio
    Volevo informarti che il 26 organizziamo un'escursione su Montea (meteo permettendo).Se sei libero facci un pensierino.Fammi sapere.
    Un salutone
    Master

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