domenica 26 ottobre 2025

"Pollino" - libro di Saverio De Marco


“Affacciato su due mari e due regioni, il massiccio del Pollino è un mondo da esplorare passo dopo passo, tra pini loricati, crinali battuti dal vento e panorami che si perdono all’orizzonte. Un viaggio tra Basilicata e Calabria alla scoperta della natura più autentica.”


È uscito in edicola il libro di Saverio De Marco "Pollino", 21° volume della collana "In montagna", con la Repubblica, La Stampa e TV sorrisi e canzoni. I volumi dell’intera collana e quindi anche il libro “Pollino” sono disponibili sul sito: https://repubblicabookshop.it/


Il libro Pollino è disponibile al seguente link diretto: https://repubblicabookshop.it/POLLINO/010532250820
Il libro, patrocinato dal CAI ed edito dal gruppo GEDI in collaborazione con "Idea Montagna", si compone di circa 140 pagine e contiene:
una parte introduttiva generale sul Massiccio con geografia, geologia, flora e fauna, storia, aree protette, alpinismo;
una seconda parte, quella più consistente, con una scelta di 10 escursioni sui sentieri del Pollino, principalmente di difficoltà media e adatte anche a non esperti.
La parte presa in considerazione è il cuore centrale del Parco Nazionale del Pollino, caratterizzata dalle vette che superano i 2000 metri che sovrastano i “Piani di Pollino”con un escursus nella contigua zona orientale delle “timpe”.


Saverio De Marco

Guida Ambientale Escursionistica, scrittore, ambientalista
e blogger. Appassionato da sempre
di natura, escursionismo e fotografia, frequenta
le montagne del Pollino fin dall’adolescenza,
compiendovi centinaia di escursioni. È uno degli
autori del Volume 3 delle Guide Ufficiali del Sentiero
Italia CAI.

Diario 12 ottobre 2025

 
L’ultima wilderness: girovagando sul versante est di Serra delle Ciavole







"Al mondo d'ombre che ricordavo a stento

Il demone mi avrebbe riportato;

Un pinnacolo svettante circondato

Da balaustre in marmo esposte al vento.

Ai suoi piedi si estendeva un labrinto

Di torrioni e cupole, sul mare sconfinato,

E io sarei rimasto lì, ammaliato,

Ascoltando la risacca da quel picco.

Come promesso mi accompagnò al tramonto,

Fra i laghi fiammeggianti oltre il bastione

Fra i troni rossi di déi senza più nome

Che strillano per il fato del mondo.

Poi un abisso nero, i rumori del mare:

"Era la tua casa", rise "quando avevi occhi per guardare!"


H. P. Lovecraft, "Ritorno a casa"




Non esiste un termine per etichettare il girovagare liberi per foreste, crinali e versanti montuosi, senza percorso obbligato. Non si segue né l’itinerario prestabilito e né la “via alpinistica” già percorsa da altri, non ci si preoccupa della linearità dei percorsi. É un girovagare che somiglia un po’ all’attività dei cercatori di funghi e dei cacciatori. Andare in montagna con questo approccio è ovviamente una pratica che si può fare occasionalmente da soli o in piccolissimi gruppi, la norma canonica da seguire dovrebbe essere, soprattutto se parliamo di fruizione turistica, per una questione sia di sicurezza che di impatto ambientale, di non uscire dai percorsi segnati. Sarebbe bene poi evitare le pareti nei periodi di nidificazione, seguendo le regole stabilite dal Parco.


È pur vero che la montagna in certe situazioni si difende da sé, solo pochissimi e poche volte all’anno ne frequentano i versanti più selvaggi e pericolosi.

Le pareti e i canaloni più impervi, non addomesticati da impianti di risalita e bivacchi, frequentati ancora oggi da sparuti gruppetti di alpinisti/escursionisti, rappresentano perciò la vera ultima e autentica “wilderness” montana.

Era da anni che mancavo sui versanti est di Serra delle Ciavole; complice l’inoltrarsi dell’autunno coi suoi colori, decido per una solitaria senza percorso obbligato; ciò che mi interessa non è seguire una via alpinistica predeterminata, ma cercare scorci selvaggi da fotografare, punti di vista inediti, contrasti di luci e di colori… in una parola visioni di wilderness. L’ambiente del versante est è impervio, sebbene i terrazzi e i pascoli erbosi siano luoghi rassicuranti rispetto ai sottostanti o sovrastanti salti a ridosso delle pareti a strapiombo.

La luna si inserisce, come un quadretto, sopra i pini loricati nel cielo azzurro, il mare nell’insenatura del golfo è uno specchio del sole e brilla così all’orizzonte, chiuso dai rilievi azzurri e scuri; la faggeta sottostante risplende del giallo e verde chiaro di inizio autunno. L’escursione è un continuo saliscendi, fatto di tentativi, a volte riusciti e a volte falliti, per superare un determinato passaggio e spostarsi altrove. Pini loricati dalle forme bizzarre, secchi o ancora vivi sono i dominatori di questi aspri pendii. Ma facendo attenzione si notano anche altre specie arboree che non ti aspetteresti di trovare in questi luoghi, come una colonia di pioppi tremuli sopra una sporgenza o un isolato abete bianco che cresce a ridosso di una parete di roccia. E ovviamente ecco i sempre “ignorati” ginepri, che con le loro sagome basse sembra quasi che vogliano tenersi in disparte, proprio per non essere vistosi.

Il sole risplende sopra di me, alle sue spalle la mia ombra è una sagoma scura che si proietta sul paesaggio selvaggio: un’ombra che assume quasi una valenza simbolica; siamo passeggeri fuggevoli, come fantasmi in un cosmo che ci sovrasta con le sue immani forze. E la geologia di questa montagna sembra ricordarlo ad ogni passo compiuto con attenzione sui ripidi pendii . E allora non c’è più verità e sostanza in quell’ombra dalle sembianze umane, apparizione fugace di un essere vivente, come tutti destinato al suo breve passaggio nel mondo e ad un destino di oblio? Ma, da un’altra e più radicale prospettiva, si potrebbe obiettare che anche la nostra semplice ombra è pur sempre una manifestazione dell’essere, e l’essere non viene dal nulla per tornare nel nulla... è un qualcosa che rimanda al concetto di eterno...

Questioni filosofiche a parte, scendo e risalgo, mi porto su spuntoni rocciosi che disvelano anfiteatri di aspre e alte pareti e vuoti di centinaia di metri sotto i miei piedi. Sono a pochi metri dall’aprirsi del baratro, è terribile solo pensare come sarebbe rotolare giù, cadere aspettando l’urto letale di un corpo molle e fragile sulla durezza impassibile e compatta della roccia. È difficile anche immedesimarsi con l’immaginazione in tale situazione...

Per aggirare dei salti rocciosi devo a volte interrompere la camminata in diagonale sul versante della montagna e portarmi a ridosso della cresta, per poi scendere di nuovo verso altri terrazzi erbosi, sfruttando passaggi agevoli, alla ricerca di pini loricati e altri scorci inediti. Incontro una zona con rocce instabili, devo scendere e poi risalire, ad ogni passo le pietre si muovono e appoggiandomi alle rocce ogni appiglio va testato prima di affidargli la tenuta del proprio corpo. Sono pochi metri per arrivare ai pascoli, ma procedo lentamente. Una pietra inavvertitamente mi sfugge sotto lo scarpone e rotola giù, per centinaia di metri, forse. Arrivato alla zona di pascolo scendo di nuovo giù lungo un canalone che mi porta nelle vicinanze di pini loricati pluricentenari, uno dei quali davvero mestoso.

Costeggio delle pareti rocciose e osservo un fenomeno curioso: centinaia di api ronzano vicino alla parete rocciosa, all’inizio pensavo trattarsi di un drone, ma il ronzio continuo e sommesso arriva dagli insetti. Cerco di non avvicinarmi troppo, non si sa mai, non vorrei infastidirle. Come mi spiegherà un apicoltore è probabile che negli anfratti rocciosi ci sia un alveare, mentre il comportamento delle api è relativo alla loro biologia, le fratture delle rocce sono mete ambite per le api che sciamano; le api in montagna nelle ore più calde ne approfittano per uscire, facendo piccoli voli per soddisfare le loro esigenze fisiologiche.

Continuo a girovagare sfruttando adesso un tracciolino creato dalle vacche, venute sin qui a pascolare, evidentemente perché hanno trovato erba buona o anche l’acqua di una vicina sorgente. La debole traccia dello stretto sentiero porta verso gli affacci di altri spettacolari dentoni e torrioni rocciosi e al margine dell’uscita da ripidi canali, si mantiene a mezza costa ed è come se fosse stato tracciato per ammirare i panorami che vi si aprono: mi sorprende sempre la “logicità” e la comodità dei sentieri creati dagli animali, domestici o selvatici che siano.

La luce si fa tersa, è giunto il primo pomeriggio. Mi affaccio dalla cima dei pinnacoli rocciosi, sotto di me centinaia di metri di pareti e canaloni scoscesi, colonie di pino inaccessibili dominano i crinali, la grande faggeta in basso si scurisce delle ombre delle nuvole. Sono a ridosso della cima meridionali delle Ciavole, noto qualche gruppetto lontano e degli amici (Mimmo con suo figlio e Fabio) che mi riconoscono, così salgo a salutarli.

Lo spettacolo è assicurato anche dalla prospettiva della sommità, la faggeta che ammanta le pendici del Dolcedorme brilla dei caldi colori autunnali alla calda luce del pomeriggio, che illumina le forme contorte dei pini loricati. È questa la wilderness più “accessibile”, frequentata da sempre dall’uomo, quasi accogliente rispetto all’impervio versante est. È così, non mi resta che scendere, mentre i colori e i contrasti di luce accompagnano il mio solitario cammino di escursionista errante sui sentieri del Pollino…




Saverio De Marco

Guida Ambientale Escursionistica

Consigliere Nazionale AIW, Associazione Italiana Wilderness

Presidente Gruppo Lupi San Severino Lucano





















venerdì 20 giugno 2025

Diario - 25 maggio - 5 giugno 2025 (Viaggio sulle Alpi Albanesi)

 Tra i pini loricati e le vette delle Alpi Albanesi


“Le cose percepite con la vista interiore, come quelle fuggevoli visioni che ci arrivano mentre stiamo per cadere nel buio del sonno, sono più vivide e significative di quando cerchiamo di arrivarvi razionalmente.”
(H.P. Lovecraft)








Il mio viaggio sulle montagne d’ Albania è cominciato con un sogno, fatto il 30 novembre 2024. Nel sogno ero assieme all’amico Quirino Valvano e la mattina gli mandai un messaggio per raccontarglielo: “Buongiorno. Ti voglio raccontare un sogno, vivido e realistico. Ho sognato che eravamo andati in Albania sulle montagne. Le montagne che vedevo avevano versanti selvaggi e impervi, sembrava esserci fisicamente. Ricordo che mi hai fatto vedere qualche pino loricato sulle rocce. Alla base di qualche parete di roccia chiara e levigata in alto si intravedevano delle grotte. C’era una valletta dove passava il sentiero e c'erano grotte grandi usate dall'uomo in passato come ripari/osterie. Ricordo anche muri a secco e fontanelle con abbeveratoi scavati in blocchi di roccia. Ma la cosa più vivida era il panorama sui versanti selvaggi, con pareti di roccia di centinaia di metri dalla forma concava e quindi inaccessibili. Insomma, sembrava di stare là su quelle montagne immaginarie. Sogni a parte comunque dovremo farcelo un giro.” Dal sogno, che evidentemente può esprimere anche un nostro recondito desiderio, si passò subito alla realtà, perché Quirino mi annunciò che aveva in mente da anni un viaggio in Albania tra le montagne, lo stava programmando, sarebbe andato a fine maggio, anche da solo, ma viste le circostanze mi chiese se volevo venire. Non me lo feci ripetere due volte, dovevo cogliere questa occasione per visitare le selvagge montagne dove erano presenti i pini loricati dei Balcani, che da sempre avrei voluto vedere… Senza l’amico Quirino Valvano (guida ufficiale del Parco, musicista e costruttore di zampogne), questo viaggio non sarebbe stato possibile e lo ringrazio anche pubblicamente. È lui la mia guida appena arriviamo in Albania: con la sua lingua arbereshe, antica di 500 anni, riesce subito a dialogare e a farsi capire con i tassisti abusivi e non di Durazzo, prima tappa del viaggio. Si fa avanti, per portarci a Scutari, l’autista di un pulmino che trasporta persone e merci varie durante il viaggio. Facciamo tappa anche in qualche campagna, potendo così vedere anche luoghi non turistici delle zone di collina e pianura. L’Albania mi appare subito come un paese avviato da tempo sulla strada della modernità e dei legami con il resto del mondo, anche se persistono visioni del vecchio mondo rurale che si è avviato al tramonto (i carretti di legno trainati dai cavalli ad esempio). Scutari è l’esempio di una città moderna e occidentale, il cui centro storico è strapieno di turisti provenienti da tutta Europa. Evidentemente qui c’è il culto di auto come BMW, Mercedes, Audi, si notano i segni del benessere, ma basta allontanarsi dalle strade principali del centro ed entrare nei vicoli per notare le contraddizioni: case vecchie e diroccate, qualche anziano che chiede l’elemosina. Moschee e chiese ortodosse sorgono una vicino all’altra, la sensazione è di una città dove le varie confessioni religiose convivono pacificamente. Qui parecchi albanesi parlano italiano e i gestori di bar e ristoranti si sorprendono quando capiscono che Quirino è arbereshe e riesce a comunicare con la sua lingua. Soggiorniamo in un ostello “alternativo”, “My casa es tu casa”, gestita da Alma, una donna colta che vive tra nord-Italia e Albania, un’oasi di tranquillità con giardini pieni di piante e salottini arredati da libri e oggetti vari, frequentata soprattutto da giovani escursionisti e viaggiatori che vengono da tutta Europa. Una piccola struttura che sorge nascosta, per contrasto, proprio vicino ad un grande Hotel. Scutari è una tappa obbligata da sud per chi come noi deve raggiungere Valbona, sulle montagne, all’interno del Parco Nazionale. Il viaggio è ben organizzato, tramite pulmini e un battello per il trasporto turisti, che si prende nei pressi di una diga e che risale il grande fiume Drin, circondato da montagne con alte pareti rocciose: è il primo assaggio con la natura selvaggia dell’Albania, che ci sorprenderà giorno dopo giorno. Ma non dimenticherò nemmeno il viaggio in pulmino verso Valbona, dal finestrino cominciavano a stagliarsi le alte e aspre pareti delle montagne, a picco sulle valli, e potevamo già scorgere le tante colonie di pino loricato che le popolano. E poi, arrivati a Valbona, una pianeggiante valle tra le catene montuose, ecco un panorama meraviglioso di alti picchi rocciosi che ricordano le Dolomiti, valli e circhi glaciali, torreggianti vette  e selvagge pareti con colonie di pino nero, pino loricato e più in alto macchie scure di popolamenti di pino mugo. Tanta è ancora la neve, soprattutto sui versanti esposti a nord. Alloggiamo in una guest house gestita da Skander e la sua famiglia, che conosce bene queste montagne. “Very very beatiful mountains”, dico subito al figlio di Skander, “It’s a paradise!”. Con queste montagne è stato amore a prima vista, ancor prima di scendere dal pulmino, È proprio Skander che ci dà delle dritte sugli imbocchi dei sentieri e sui percorsi escursionistici. Dopo un giro pomeridiano nella valle, troviamo comunque degli imbocchi con tabelle segnavia che indicano le località raggiungibili e con segnavia bianchi e rossi. Non troveremo cartine che ci aiutino nelle escursioni, né guide ufficiali. Sulle applicazioni come Locus Map sono presenti comunque degli itinerari che portano ai valichi e alle cime principali. Pur essendo montagne che arrivano max a 2694 m, (Cresta del Lago, Maja Jezerces, cima più alta), le Alpi Albanesi presentano una morfologia molto accidentata (di tipo alpino appunto) e i dislivelli sono importanti, perché si parte a piedi direttamente dalla valle a circa 900 m. e sia arriva intorno ai 2000 metri e oltre. Parecchie cime, come posso notare, sono torri rocciose raggiungibili solo tramite l’arrampicata su roccia, per cui le mete delle escursioni in parecchi casi sono le zone di valico, ai piedi delle vette di pietra. La prima escursione, che facciamo l’indomani (27 maggio), ci porta nei boschi e pascoli che costeggiano il versante ovest delle grandi pareti rocciose di Maja e Thate, fino al confine con il Montenegro, arrivando sulla cima di Maja e Rosit (2525 m). Si attraversano bei boschi di faggio, si incontra nelle radure la Peonia mascula, e poi cominciano i grandi pascoli d’alta quota e fanno la comparsa colonie di pino loricato: qui troviamo pochi esemplari centenari e con delle belle forme. Sorprendenti sono i panorami sulle vette circostanti, è un continuo spettacolo di wilderness montana, accessibile solo tramite i sentieri: nessun impianto di risalita, e un solo piccolo bivacco ricavato da strutture di pastori preesistenti, prima di arrivare al valico, al confine col Montenegro, tra varie cime rocciose, dove si apre una splendida veduta sulla grande valle di Guinje e i monti circostanti del Montenegro. E poi, una volta giunti sulla cima di Maja Rosit dove ancora resistono importanti nevai, altre visioni di pinnacoli rocciosi, valli glaciali, versanti scoscesi e pareti che digradano quasi verticalmente verso le strette valli abitate. È per me sempre una fortuna poter ammirare montagne ancora così selvagge, dove poter immaginare esplorazioni avventurose, per trovarsi, anche solo con il pensiero, tra canaloni e crestoni rocciosi o alla base di pareti di roccia o sulle alte cime che si osservano da lontano. Al ritorno abbiamo la fortuna di osservare un picchio nero in volo sopra gli alberi, qui è molto diffuso e Quirino riesce a comunicare con un anziano pastore che vive ai casolari-guest house del villaggio – guest house di Kukaj che porta le pecore nei pascoli alti, a cui spieghiamo l’itinerario appena fatto. É una razza di pecore dal mantello lanoso molto folto e i maschi presentano delle corna attorcigliate e lunghe simili a quelle di certe capre. Il giorno dopo (28 maggio) ci dirigiamo, percorrendo dei sentieri sassosi che risalgono un canalone, verso la base delle pareti di Maja Lugut Hujit, circondati da boschetti di pini neri e pini loricati. Una volta raggiunta la verdeggiante valle di Gropa Shkrele, che presenta ruderi di stazzi e baracche di pastori, ci dedichiamo all’esplorazione degli aspri pendii della montagna, popolati di pini loricati alti e monumentali, molto più belli di quelli visti il giorno prima e che ricordano quelli del Pollino che si trovano su versanti meridionali del Massiccio. Alcuni esemplari pluricentenari sono davvero maestosi e presentano la corteccia suddivisa in grandi ed evidenti placche poligonali. Rispetto ai pini loricati del Pollino possiamo notare che presentano in generale un portamento meno contorto, sono più slanciati, alti e dritti: la ragione è evidentemente dovuta al fatto di vivere a ridosso di alte pareti rocciose, la quota altitudinale massima si aggira a poco oltre i 2000 m, oltre dominano le nude pareti dei torrioni e picchi rocciosi delle vette. Sul Pollino invece, vivendo anche sulle creste rocciose sommitali presentano un portamento più contorto e forme particolari che derivano dall’azione congiunta di vento e neve… il pino loricato è poi abbondante anche a valle a bassa quota, boschetti di pino loricato si trovano persino lungo le fiumare e le strade delle zone abitate. Sorprendentemente, come ci dice Skander, che conosce bene questa specie e a cui facciamo vedere le foto dei loricati del Pollino, anche qui il pino loricato è chiamato Pioka, termine dialettale usato dalle comunità del Pollino per nominare la specie di Pinus leucodermis Antoine. Era usato qui come legname da costruzione, anche per realizzare le tegole di legno che ancora ricoprono i tetti delle vecchie case rurali albanesi. Anche il tavolo del bar, ci spiega, è stato fatto di legno di pino loricato: non bisogna scandalizzarsi perché qui come dicevo è abbondante anche a bassa quota. Non solo sulle scarpate ama anche poco sopra la valletta, andiamo a conoscere dei pini dai tronchi colossali, che crescono sui prati, alti e dritti anche questi e con la lorica ben definita. Per il ritorno facciamo un giro ad anello e, costeggiate aspre pareti rocciose, sbuchiamo in un bosco di faggio dove fa la sua presenza anche l’abete bianco, con esemplari adulti anche se non molto grandi che vivono vicino ai pini loricati, ai margini dei versanti rocciosi di Maja e Thate, sul versante che vedevamo ieri dal sentiero per Maja Rosit. Le esplorazioni delle montagne le cui pendici ricadono nella Valle di Valbona non sono finite qui. Dopo un giorno piovoso che ci obbliga a fare una semplice passeggiata nei boschi, il 30 maggio la copertura nuvolosa è sospesa minacciosamente sulle vette, ma non piove ed esploriamo le montagne a sud di Valbona. Dopo aver raggiunto delle radure con ruderi di stazzi di pastori, popolati da distese di aglio orsino, prendiamo il sentiero per Maja Cet Harushes. Possiamo ammirare alte e verticali pareti rocciose, popolate di colonie di pini loricati, che anche qui arrivano a poco oltre 2000 m. In prevalenza si tratta di esemplari alti e dritti, qualcuno dai tronchi colossali. Il passo che raggiungiamo, ancora innevato e sovrastato da uno spettacolare pinnacolo di roccia, si chiama Grika T'Hapta. Al valico, arriviamo in una zona ingombra di massi rocciosi in cui predominano i popolamenti di pino mugo. Altipiani rocciosi che mostrano il volto più austero e selvaggio delle Alpi Albanesi. Il sentiero, ripido e ingombro di pietrisco è scavato su sommità e cenge rocciose e soprattutto al ritorno dobbiamo fare attenzione perché si scivola. A differenza delle precedenti escursioni in cui abbiamo incontrato numerosi escursionisti, qui non vediamo anima viva, siamo gli unici a percorrere gli impervi versanti di questa montagna. Dal sentiero si può notare l’Alta Valle di Valbona, circondata da una cresta di monti che sembra una specie di barriera. Il giorno dopo facciamo tappa alla baracca-bar di Emanueli, visitiamo un’altra meraviglia naturale, la cascata Ujvara, alta svariate decine di metri e ci accampiamo con la tenda in un belvedere panoramico, con vista sulla catena di monti.

E' il 1 giugno ed è ormai arrivata l'estate, il sentiero di traversata che collega due grandi valli e due parchi nazionali, scavalca le montagne al passo di Quafa e Valbones. É la traversata da sempre sognata da Quirino. Il sentiero, facente parte del Peak of the Balcans (una specie di Sentiero Italia albanese) è molto frequentato da escursionisti da tutta Europa (e non solo), ma attraversa incantati paesaggi di wilderness montana: uno spettacolo per gli occhi, soprattutto a primavera. Il gestore della baracca Emanueli, offre il trasporto bagagli con la sua giumenta, ci permette di salire con lo zaino giornaliero di 30 litri e non con un grande zaino di 20 kg strapieno di roba! Emanueli con le sue scarpine eleganti e un tiro di sigaretta ogni tanto, è veloce sui sentieri ripidi e sassosi e dobbiamo pregarlo di rallentare un po', perché vogliamo goderci gli splendidi panorami lungo il percorso. Anche in questa zona saltano all’occhio degli esemplari vetusti e scultorei di pino loricato. La guest house dell’alta valle di Tethi dove ci fermeremo sorge in una specie di villaggio, circondato dalle montagne, immediatamente vicine con crestoni e pareti verticali. L’escursione successiva (2 giugno) è diretta proprio verso il valico che scopriremo essere quello di Quafa e Pejes, al confine del Montenegro, percorso da molti escursionisti che compiono la lunga traversata da Vusanje a Thethi. L’ambiente rupestre è spettacolare, il sentiero sale portandosi sotto alte pareti dove nidificano i balestrucci e poi prosegue su tratti di pietrisco, ai bordi di impressionanti dirupi e passando accanto ad esemplari pluricentenari di pino loricato, fino ad arrivare ai piedi di Maja Harapit, al passo di Quafa e Pejes, in uno spettacolare anfiteatro costituito da un paesaggio di pietra, tra elevati torrioni rocciosi. La meta è costituita dai Laghi di Pejes, due laghetti alpini che si trovano in fondo ad una conca, in cui possiamo avvistare ululoni dal ventre giallo e tritoni. Si nota una specie di trincea di pietra con i resti di una postazione in ferro che forse poteva servire al posizionamento di una mitragliatrice. Le Alpi Albanesi vengono dette anche “montagne maledette”, per i numerosi scontri armati che si svolsero su queste montagne. Del resto i molti bunker che abbiamo visto nelle valli di Valbona e Tethi risalenti al periodo del comunismo, testimoniano un passato tutt’altro diverso dalla situazione odierna, in cui l’Albania è diventata una meta turistica internazionale e non un paese chiuso nei suoi confini. Più oltre, salendo ancora, ecco un altro belvedere sul valico che scende verso le montagne lontane in direzione delle valli del Montenegro. Si notano nelle vallette ruderi di strutture pastorali. Il 3 giugno visitiamo il paese di Tethi, posto più a valle. Numerose sono le strutture ricettive, ne stanno spuntando anche di nuove. Il gestore della nostra guest house afferma che si sta costruendo senza regole, “si rovina il panorama, è uno schifo”. Sono purtroppo gli effetti collaterali, che riguardano però solo le valli antropizzate, dell’aumento dei flussi turistici. A Thethi conosciamo Pavlin Polia: una guida delle Alpi albanesi che gestisce una guest house. Egli comprende bene la necessità di gestire lo sviluppo turistico in modo che si concili con la conservazione della wilderness montana. Non poteva mancare il dono di una immagine dei pini loricati del Pollino che assieme alla lingua arbereshe di Quirino, rappresentano un ponte di fratellanza e interazione tra le rispettive montagne e culture. Un altro poster lo avevamo regalato ad Alma a Scutari e alla famiglia di Skander a Valbona. Visitiamo anche una bella cascata, raggiungibile da un sentiero che passa accanto a bellissime abitazioni rurali che hanno conservato lo stile architettonico tradizionale: casa ad uno o due piani, tetto spiovente e forma anteriore “trapezoidale”, finestre piccole, tetto coperto da tegole di legno di pino. Il 4 giugno facciamo un’escursione diretta ad una meta più turistica, lungo il fiume Teth e poi dirigendoci all’affluente che porta da un’altra meraviglia naturale, “Blu Eye”, occhio blu. È forse la destinazione che mi è piaciuta di meno di questo viaggio in Albania: troppi punti ristoro nei pressi del sito, molti bagnanti in costume, addirittura un tavolo da bar sul letto del fiume e ristorante bar proprio sopra la gola che sovrasta la cascata dell’occhio blu, pozza d’acqua chiamata così per il colore azzurro intenso. È purtroppo il destino di posti belli ma più accessibili, in cui spuntano come funghi punti ristoro che dovrebbero invece di regola sorgere lontano dai siti naturalistici più pregiati e vicino alle strade dove si trovano gli imbocchi dei sentieri. Ma una nuova immersione nella wilderness più autentica delle Alpi Albanesi è pronta il giorno dopo con l’Anello di Maja Harapit.

Quirino vuole fare un giro più tranquillo, perciò decido di compiere un’ultima escursione in solitaria di "raccoglimento" e addio (anzi, di arrivederci) alle Alpi Albanesi. Quirino, come mi racconterà al mio ritorno, preferirà fare un' escursione breve ripercorrendo il primo tratto del sentiero già percorso da me in precedenza, avvistando uno splendido camoscio! Mi avvio molto presto per salire all’ombra, sul sentiero poco battuto, seguendo la linea di un canalone roccioso e poi portandomi nel bosco, su ripidi pendii, a ridosso degli alti piloni rocciosi d'alta quota, fino ad arrivare in alta quota: un paradiso di roccia, aspro e selvaggio, che offre visioni di quella wilderness da sempre tanto cercata nella mia vita. Queste pareti e ripidi crestoni in cui fanno la comparsa i pini loricati così familiari, i picchi rocciosi inaccessibili e le ondulazioni di roccia calcarea dei rilievi, nevai e valli glaciali di una natura ancora indomita e selvaggia, rappresentano un groviglio di immagini, sensazioni, emozioni, che resteranno per sempre impresse nel mio mondo interiore. "La wilderness è sia una condizione geografica che uno stato d'animo". Arrivederci, montagne d'Albania!




Saverio De Marco

Guida Ambientale Escursionistica

Consigliere Nazionale Associazione Italiana Wilderness

Presidente Gruppo Lupi San Severino Lucano