domenica 22 febbraio 2009

In memoria di Corbin Harney

(Dal sito www.nativiamericani.it) Corbin Harney, il Capo spirituale degli Shoshone occidentali che ha sfidato il governo federale, opponendosi alle sperimentazioni delle armi nucleari sulla propria terra, è morto all’età di 87 anni. Corbin era un veterano della seconda guerra mondiale ed era molto conosciuto per il suo attivismo contro la radioattività e le armi nucleari, Robert Hager, l’avvocato degli Shoshoni occidentali, ha dichiarato che la perdita ” È irreparabile per la Nazione degli Shoshoni occidentali. ” Ian Zabarte, ministro per il Consiglio Nazionale degli Shoshoni occidentale, ha ricordato che Harney era sempre attento e risoluto nel provare ad impedire la proliferazione delle armi nucleari ed a proteggere la sua gente contro le minacce ed i rischi che la tecnologia nucleare propone. Harney ha viaggiato intorno al mondo come relatore ed ecologista. Ha ricevuto premi nazionali ed internazionali ed ha partecipato come relatore alle Nazioni Unite a Ginevra. E’ autore inoltre di due libri, “The Way it is: One Water, One Air, One Earth” (Blue Dolphin Publishing, 1995, in Italia pubblicato dalla Xenia con il titolo “Una sola Madre Terra”) e “The Nature Way”. E’ stato sepolto nella Battle Mountain Indian Community, dove riposa già sua moglie Marge. Riporto qui la “Chiamata all’azione” di Corbin, tratta dal libro “Una sola Madre Terra”: “Come popolo nativo non stiamo cercando semplicemente di difendere noi stessi, poiché credo che molta gente in tutto il mondo sia già preoccupata di come stanno andando le cose. Ben presto tutti capiranno che dobbiamo fermare tutto questo. Mi piacerebbe vedere gente che inizia a parlare ad altra gente, che si unisce e che pone domande come “Che cosa faremo? Chi lo farà? Chi ne vuole parlare? Come possiamo unirci tutti insieme? Cosa possiamo dirci l’un l’altro?” Non vergogniamoci, non sentiamoci timidi. Anch’io una volta mi vergognavo, ma oggi eccomi qui a parlare. Non facciamo di questo mondo un mondo malato. Non abusiamone, non sfruttiamo troppo le risorse che vi sono là fuori, come il petrolio, i gas, il carbone e le altre cose. Usiamole con parsimonia. Anche l’energia elettrica dobbiamo utilizzarla il minimo necessario. Sostenete le vostre nazioni indiane, i vostri popoli nativi, in tutto il mondo, poiché esso è stato dato al popolo nativo ovunque perché ne avesse cura. Uscite la fuori e fate qualcosa per il popolo indiano, che oggi soffre, io vedo, in tutto il mondo. Soffre non solo in California, in Nevada e nello Idaho, ma in ogni altro luogo del mondo. Continuiamo a soffrire perché nessuno ci ha dato ascolto e nel frattempo ci hanno preso le nostre terre e le hanno usate per distruggere il resto del mondo. Spero che la gente pensi seriamente a queste cose scriva lettere e faccia altre cose indirizzate ai rappresentanti del Congresso, ai propri leader a Washington, per far loro sapere ciò che pensiamo. E la gente nativa: dobbiamo lavorare insieme e parlarci. I nostri anziani un tempo lavoravano insieme, parlavano insieme, cantavano insieme e così via. Noi non lo facciamo, ma ne abbiamo bisogno, così che possiamo cominciare a venir fuori da dietro il cespuglio e riconoscere che siamo i custodi di questa Madre Terra. Al sito dei test nucleari in Nevada, al Livermore Lab in California e ovunque lavoriamo, ogni giorno eseguiamo Cerimonie del Mattino e ricordo alla gente che è ciò che dovremmo fare insieme: che è molto importante pregare per nostra Madre Terra, così che possa continuare a darci acqua e aria pulite e dare di che vivere alle generazioni future. E dico loro: “se stessimo seguendo la via spirituale, non faremmo mai ciò che stiamo facendo oggi, abusare di Madre Terra, poiché il nostro modo di vita spirituale ci insegna ad avere cura di ciò che abbiamo”. Non vedo altro modo in cui possiamo cambiare questo mondo, se non unendoci tutti insieme e pregando la Terra e quindi risvegliando il resto di noi. Molto tempo fa gli anziani dicevano che sarebbe giunto un tempo in cui i nativi avrebbero dovuto guidare tutti gli altri fuori da questo caos ed è quello che stiamo cercando di fare ora.” Noi, molto umilmente, ringraziamo Corbin per aver lottato per proteggere il suo popolo, per aver custodito e onorato le tradizioni dei suoi Antenati, per il messaggio che lascia alle future generazioni: un messaggio di lotta per i propri diritti, di difesa della propria Terra, ma anche un messaggio spirituale forte di rispetto delle proprie Tradizioni culturali e spirituali, quale indiscusso e riconosciuto Capo spirituale tra la propria gente.

mercoledì 18 febbraio 2009

Progetti di avventure future

"Andiamo! Attraverso le lotte e le guerre!
La méta che è stata prefissa non può venire mutata!"
Walt Whitman
L'escursionismo è uno sport molto progressivo, poichè con l'esperienza accumulata è inevitabile spostare avanti sempre i propri limiti. L'escursionista autentico non si accontenta mai, vuole sempre di più e vuole sperimentare avventure sempre più esaltanti. Sto già progettando alcuni itinerari che riporto sul blog; in questo modo in futuro avremo modo di vedere se agli intenti dei programmi d'escursione è corrisposta poi la loro effettiva esecuzione. A lcune cose potranno apparire folli, altri effettivamente praticabili con un po' di buona volontà. Ma è sempre bello poter fantasticare, ideare cose nuove e avere nuovi stimoli che spingano all'azione... Monte Pollino canalone Nord-Est in solitaria invernale. E' un'itinerario che da un po' di anni ho in mente di fare. E' un percorso semi-alpinistico, per l'elevata pendenza del canalone. Dai Piani di Pollino si attraversa un tratto di bosco e poi si sbuca ai piedi del canalone. Il buon Giorgio Braschi l'anno scorso ad aprile mi sconsigliò di scalarlo, perchè con giornate primaverili soleggiate c'è il rischio, se la neve viene smossa, che si liberi qualche valanga. Ma in una giornata fredda, magari a fine marzo, penso che non ci siano problemi. La discesa vorrei attuarla lungo la dorsale nord-ovest scalata l'anno scorso. Gaudolino, sentiero di Valle Piana, Crestone sud del Dolcedorme; due giorni all'inizio dell'estate. Il percorso permette di non sconfinare necessariamente in Calabria., perchè partirei da Colle Impiso. In quest'escursione mi serve un compagno, perchè i miei da solo non mi permetterebbero di andare (vedremo che dirà il buon Vincenzo)! Da Gaudolino si arriva la Varco del Pollinello e da lì si prende la mulattiera che porta a Valle Piana. Da lì bisogna dirigersi lungo il crestone sud e salire fino alla cima. Ho potuto osservare la zona da Celsa Bianca: panorama pettacolare, un anfiteatro selvaggio e supremo... Gaudolino, scala di Gaudolino, Pollinello dal canalone sud, Monte Pollino, estiva. Ho osservato quest'estate il canalone, dove è morto tragicamente un turista tedesco anni fa. Scendendo dalla Scala di Gaudolino si dovrebbe procedere poi, senza percorso obbligato, lungo una crestina coperta di boschetti di pini loricati. Da lì si sbuca ai piedi del canalone e risalendolo si dovrebbe, anche se non facilmente, arrivare sulla cima del Pollinello. Il percorso del canalone è stato già attuato da altri (anche se pochi) e non dovrebbe presentare particolari difficoltà. Serra delle Ciavole dal versante est, invernale. Non so se c'è stato qualcuno che abbia tentato di trovare una via dal versante est. Forse pochissimi o nessuno. Inutile dire la selvaggia attrattiva che rappresenta per me questo versante dai dirupi spaventosi. D'estate la scalata sarebbe oltre che pericolosa anche antiecologica. In quel versante infatti, tra le rocce, nidificano i corvi imperiali e andare lì significherebbe di certo disturbarli. Ci sono canaloni di pietrisco e rocce ripide che rendono alquanto rischiosa la salita. In inverno invece, con ramponi e picozza si potrebbe però tentare l'impresa, appigliandosi alla neve ghiacciata dei canaloni e delle rocce. Osservando la montagna ho potuto comunque osservare alcune possibili vie. Su questo versante è evidente che sarebbe opportuno assicurarsi con chiodi da ghiaccio e corda. Io sono a digiuno di tecniche d'assicurazione ma in questo caso sarebbe necessario... istruirsi! Il delirio assoluto sarebbe comunque tentare l'impresa in solitaria... Anello degli Dei in solitaria invernale per sette giorni. Ed eccoci giunti al delirio supremo... E' il mio piccolo sogno che non so se e quando realizzerò. Trattandosi di un'escursione invernale i problemi di un trekking di più giorni si moltiplicano. La prima cosa da fare sarebbe individuare una settimana di relativo bel tempo, sgombra da nevicate eccessive, tormente e temporali. L'attrezzatura, per affrontare un'impresa del genere dovrebbe essere migliorata, con un sacco a pelo leggero e di buonissima qualità e una tenda monoposto anch'essa di qualità e molto leggera. Fondamentale sarebbe trovare un luogo dove nascondere le provviste, visto che sarebbe improbabile trasportarsi appresso tutto il cibo che serve per una settimana. A questo scopo bisognerebbe fare prima un'escursione al solo scopo di portare nel luogo stabilito le provviste di cibo e altro materiale. Fondamentale sarebbe poi portarsi parecchia biancheria di ricambio, soprattutto i calzini, per essere sempre asciutti e mantenere calde le parti del corpo. Come rifugio si potrebbe poi, in casi d'emergenza, utilizzare Casino Toscano, l'unico edificio presente nel raggio di chilometri di foreste e di montagne. Un'escursione del genere rappresenterebbe il massimo della libertà, ma anche parecchi rischi e la tanta solitudine del... silenzio bianco!

giovedì 5 febbraio 2009

Racconti - Il cammino invisibile

"...poi pensò al padre che era morto in quella terra e pianse nudo sotto la pioggia." (Cormac Mc Carthy )

La montagna che percorsi assieme a mio padre appare sempre la stessa, ma in realtà tutto viene mutato dal fluire del tempo. Spesso ho la sensazione che ciò che io posso vedere con i miei occhi sia tutto inafferrabile, transitorio, provvisorio… Ho ritrovato alberi maestosi abbattuti dai fulmini, o bruciati dagli uomini oppure in procinto di rinsecchirsi. Vorrei a volte fermare il tempo e altre volte vorrei che esso fosse già passato per rimarginare le ferite inferte alla terra. Sì, a volte vorrei fermare la bellezza del mondo, sottrarla alla paura della violenza del tempo. Ma in realtà questo eterno ciclo così tormentato dalla natura è per me anche fonte di consolazione. Mi rattristo se ritrovo un uccellino morto per terra, caduto dal nido, svestito della bellezza della vita, ma poi mi risollevo quando nello stesso momento posso ascoltare il cinguettio degli uccelli del bosco, con la loro armonia che ritorna ad ogni sorgere del sole. La morte ridiventa preludio alla vita, ma ad ogni ciclo qualcosa scompare per sempre. So che ritroverò gli stessi animali nel bosco, ma so anche che non saranno uguali a quelli che avevo visto tanti anni fa, se non per il loro mantello o il piumaggio. Tutto scompare e tutto ricompare, ma solo in apparenza sotto le stesse vesti. I sentieri di quella foresta che attraversai in compagnia di mio padre la prima volta scompaiono o si fa flebile la loro traccia… altre strade si creeranno, o verranno riscoperti gli antichi tracciati. Ma sempre potremmo avvertire che quei passi ci sono ancora, anche se invisibili. Il ricordo è un’immagine sfumata, inafferrabile, imprecisa. Ma esso rimane dentro di noi, e quello che vedremo in futuro lo vedremo sotto il riflesso di quell’immagine sfuocata. Il ricordo ci aiuterà a riconoscere ciò che avremo di fronte, sia le cose nuove e sia ciò che conoscevamo pur avendolo dimenticato... Il ricordo di chi ci ha dato la vita, di colui che non potremo più vedere né sentire accompagnerà sempre il nostro cammino, e la sua voce ci continuerà a parlare, anche senza poterla più ascoltare…

L’alba spuntò sulle valli, e il cielo cominciò a risplendere della luce del sole nascente, tingendosi di un azzurro cupo. La luce arrivò subito portandosi dietro di sé la meraviglia della sua improvvisa apparizione. Il padre aveva portato con sé il figlio, perché sapeva che al figlio piaceva la montagna, piaceva camminare per i sentieri e i boschi esplorando quel mondo vicino ma così sconosciuto. Alcune volte si era avviato da solo dandogli non poche preoccupazioni. Perciò aveva capito che era meglio se gli avesse permesso di venire assieme a lui. Era estate e i boschi si erano riempiti di funghi. Il padre disse al figlio di cominciare a rovistare in prossimità delle macchie di faggio, sotto i rami. Il ragazzo trovò dei porcini ma non era sicuro se fossero buoni, perché gli sembravano chiari e così li fece vedere al padre. “Certo che sono buoni, sono chiari perché crescono in prossimità ei faggi. Questo è il porcino dei faggi, un fungo molto delicato, forse migliore del porcino scuro dei querceti.” Continuarono a rovistare e contemporaneamente a salire verso la barriera della grande foresta di faggio e abete bianco. Era la prima volta che il padre lo portava con sé così lontano. Una volta a scuola il professore aveva domandato in classe quale fosse il desiderio immediato di ogni alunno. Alcuni avevano risposto una bella macchina, altri una bella casa... diventare pilota di formula uno. Ad egli , il primo desiderio venutogli in mente era stato “vorrei andare con mio padre sulle montagne” e gli altri e il professore lo avevano quasi ridicolizzato. Il ragazzo non aveva mai visto gli enormi abeti così da vicino. Da casa vedeva spuntare le loro cime nella foresta e gli sembravano appartenere ad un mondo bellissimo e misterioso. Procedettero nel salire verso una radura, nella quale uno zampillo d’acqua sorgiva rumoreggiava nell’aria. Gli disse il nome delle fontana. Tutto aveva un nome in quella foresta in apparenza dimenticata da Dio e dagli uomini. Il padre via via gli insegnava i posti migliori dove i funghi crescevano. “Ifunghi nascono sempre nello stesso posto. Perciò è inutile camminare per ore e ore senza meta. Devi ricordarti precisamente i posti dove crescono. Soprattutto il porcino poi è il fungo più abitudinario.” Attraversarono un fossato e una radura dove cresceva un tipo d'erba dagli steli sottilissimi: anche quella radura aveva il suo nome. “Quest’erba è molto scivolosa; stai sempre attento quando ci cammini sopra.” Si inoltrarono nella foresta dove gli abeti ormai dominavano con i loro tronchi secolari. Il loro cane da caccia si divertiva a scorazzare libero per la foresta. Ogni tanto il cane si perdeva di vista e il padre lo fischiava con il suo personale richiamo. Il padre stava sempre in apprensione se il suo cane da caccia si assentava per troppo tempo. Percorrevano dei sentieri che si districavano come labirinti nella buia foresta e ogni tanto il padre si fermava e dava un’occhiata in giro per orientarsi. Trovarono lungo la strada tante varietà di funghi. Il padre rivelava al figlio il loro nome popolare in dialetto e le loro proprietà. Ogni specie aveva una personalità, come del resto qualsiasi essere della terra. Alcuni come i porcini si mimetizzavano, altri si nascondevano a gruppi sotto le foglie; poi c’erano quelli che si vedevano in lontananza, come le mazze di tamburo. Il fungo che il ragazzo trovò più particolare era però il fungo dell’abete. Il padre disse al figlio che questo fungo si chiamava “abetino” perché cresceva sempre vicino agli abeti e aveva il loro stesso profumo. Le sue lamelle producevano un lattice rosso come il sangue. Il ragazzo amava scovarli sotto le macchie di abete, mentre risplendevano da lontano nella penombra, con il loro vivo colore arancione. Il figlio a volte si stancava a camminare e avrebbe voluto fermarsi. Ma non osava dirlo al padre, perché voleva dimostrargli che poteva portarlo con lui e che non si sarebbe stancato. Il ragazzo sarebbe voluto diventare forte e tenace e avrebbe voluto avere delle buone gambe come lui. Ormai erano saliti parecchio e respiravano la verginità dell’aria fredda dell’alta montagna. Il cane ad un certo punto aveva rizzato il pelo, senza né abbaiare né digrignare i denti. “Se il cane ha rizzato il pelo a quel modo è perché ha sentito la presenza del lupo. Altrimenti la cosa non si spiegherebbe.” Il fantasma si aggirava accanto a loro, solitario e pauroso. Il ragazzo ebbe la sensazione di trovarsi finalmente al cospetto del mondo selvaggio, quel mondo di cui leggeva nei romanzi d’avventura e sul quale amava fantasticare. Sbucarono in un pianoro bellissimo, baciato dalla luce dorata del sole e il ragazzo vide la cima della montagna ormai vicina. Ammirò la sua selvaggia bellezza e i suoi occhi si riempirono di stupore quando osservò i pini loricati aggrappati alla roccia come tanti guardiani remoti e misteriosi. “Ci siamo allontanati troppo salendo. Adesso dobbiamo scendere” disse il padre. Dalla foresta di faggio scesero costeggiando i fossati che portavano l’acqua a valle attraverso i boschi, raccogliendo i funghi che incrociavano per caso e parlando degli animali e delle piante del bosco. Il padre imitò il verso del colombaccio e disse che era un uccello molto selvatico. Poi parlò degli alberi enormi che esistevano una volta. Ricordò un acero colossale, poi abbattuto, sul quale si appollaiavano i colombi selvatici che lui non riusciva a vedere per quanto fosse alto. Si ritrovarono poi nei pressi di un abete fatto a pezzi dal fulmine. Gli enormi pezzi squarciati erano stati sparati come proiettili a lunga distanza dal luogo dove si ergeva il tronco. Il padre disse che era molto pericoloso trovarsi nel bel mezzo di un temporale in una foresta di abeti. Ritornarono a valle attraversando alcuni pascoli e raccogliendo i funghi prataioli che crescevano in mezzo ai prati e poi si diressero nei boschetti di cerro, dove raccolsero tanti porcini neri. Il padre disse al ragazzo di non dover pensare che, solo per il fatto di andare in posti lontani, avrebbe per forza di cose trovato più funghi. I boschetti vicini al villaggio nascondevano anfratti dove se ne potevano raccogliere tantissimi. Ma sapeva che il ragazzo più che cercare funghi desiderava cercare i paesaggi dell'alta montagna. Non era ancora mezzogiorno quando discesero gli ultimi boschi prima delle strade del villaggio. Poi arrivarono finalmente sulla soglia di casa…