lunedì 17 dicembre 2018

Loricati in bianco e nero

La bellezza, nel bianco e nero, emerge nei contrasti vividi delle due antitesi, il buio e la luce... l'armonia dei contrari. 
(Indio)
















giovedì 27 settembre 2018

Diario 25-26 settembre 2018

Traversata del Cozzo del Pellegrino e della Mula

Le superbe pareti rocciose di Cozzo dei Pellegrino all'uscita del ripido canalone nord




Cozzo del Pellegrino e La Mula erano da tempo nei nostri programmi. Con l'amico Maurizio avevamo visto che le previsioni in questi giorni non erano malvagie, a parte l'arrivo di aria fredda, perciò un paio di giorni prima decidiamo di partire per questa nuova avventura; non eravamo ancora saliti su queste montagne. 

Primo giorno

La località di partenza dell'escursione è Piano di Lanzo, dopo aver superato il paese di San Donato di Ninea. La prima parte del percorso si svolge in un ambiente già incontrato quando andammo sulla Montea: i boschi di ontani napoletani (verna in dialetto). Per noi è una novità che siano così estesi, tali da sembrare una specie di foresta, caratterizzati da un sottobosco di felci e "falso sambuco" (sambucus ebulus), dall'odore sgradevole che ci accompagna per questo tratto; ci sono anche rose canine, rovi e pruni selvatici: una specie di giungla che piano piano lascia il posto alla faggeta. 


I faggi in questa zona non sono un granché, quasi tutti giovani e quindi fitti. Ma ogni tanto si incontra qualche esemplare vetusto. Ci colpisce un inghiottitoio molto ampio, che magari potrebbe condurre a qualche cavità sotterranea se esplorato bene. Il tempo oggi è nuvoloso. Una cappa di nuvole avvolge oggi queste montagne, mentre nelle valli lontane il tempo appare più soleggiato. Viene anche una pioggerellina leggera che termina subito. Incontriamo un pianoro di cui ignoriamo il nome e il panorama comincia ad aprirsi. Si vede la catena del Massiccio del Pollino illuminata dal sole. Poi cominciamo a salire, verso la cresta che ci condurrà alla vetta. 





Superata la cima c'è forse il tratto più bello dell'intera escursione: il punto dove sbuca l'impressionante canalone nord-ovest di Cozzo Pellegrino, luoghi veramente "wilderness". Lungo i canaloni del Pellegrino si svolgono alcune tra le vie alpinistiche più impegnative del Parco, non tanto per la pendenza quando per il pericolo di cadute di sassi, molto frequenti in questa zona. Le pareti rocciose che scendono giù da un tratto della linea di cresta sono spettacolari, caratterizzate da una roccia liscia e levigata Maurizio in prospettiva sembra un piccolo puntino. Sulle pareti rocciose in basso che delimitano il canalone si notano anche degli esemplari di pino loricato aggrappati agli strapiombi. 





In lontananza noto un posto a me caro, uno dei più belli dell'Orsomarso: Valle della Sepe, che offre lo splendido panorama di Cozzo del Pellegrino e dei suoi due impressionanti canaloni del versante ovest.



I canaloni di Cozzo del Pellegrino visti da Valle della Sepe
Le onde del mare lontano (ma non troppo, in linea d'aria) sono illuminate dalla debole luce del pomeriggio. Di fronte a noi verso sud si vede la meta di domani, la Mula, ammantata dalle foreste: notiamo anche che dovremo superare un'estesa faggeta che ricopre cocuzzoli e valloni, prima di giungere alle pendici della montagna e ai pascoli scoperti (La Cresta, Cozzo di Valle Oscura, Serra Paratizzi, Piano di Zazzera... i nomi). La cresta scendendo diventa boscosa, ci dobbiamo fare strada tra una fitta boscaglia di bassi faggi contorti, seguendo i segnavia, perché il sentiero qui scompare. I pendii si fanno sempre più ripidi e notiamo che salire da questo versante non è proprio uno scherzo! Individuiamo anche il posto più adatto (o meglio, l'unico!) per bivaccare. E' un bel pianoro ai piedi del Pellegrino di cui ignoriamo il nome. Sotto di noi avvertiamo un rumore assordante e lontano e ci rendiamo conto che probabilmente è il fruscio del vento che sale dai valloni sottostanti.


La cappa di nuvole non accenna a diradarsi. Il sentiero ci porta in un canalone popolato da faggi monumentali, poi valichiamo un crinale boscoso e arriviamo nel fondovalle. Scesi al pianoro individuiamo un posto adatto per montare la tenda, sotto alcuni faggi. Montata la tenda e sistemata la roba, facciamo un giro nei dintorni, individuando dei tratti molto belli di faggeta, probabilmente vetusta. Il vento non accenna a diminuire, l'aria è fredda ma intanto il cielo si rasserena. Domani dovrebbe essere una giornata serena e tersa, ottima per godere dei paesaggi che si vedranno dalle sommità scoperte della montagna. 




Consumiamo una cena frugale ma sostanziosa a base dell'immancabile soppressata (il nostro pemmicam degli Indiani d'America!) e un buon bicchiere di vino. La notte è fredda, la temperatura percepita è molto bassa a causa del vento e dobbiamo coprirci bene, indossando tutto quel che abbiamo per stare al caldo nel sacco a pelo. Riesco a dormire abbastanza bene, nonostante mi svegli ogni tanto. A notte fonda qualche brivido di freddo si sente nella schiena: probabilmente la temperatura è scesa a zero o anche sotto. Si avverte il rumore del vento e il verso di qualche allocco nella profondità fredda della notte... 




Secondo giorno

Alle sette di mattina la temperatura è di soli due gradi e il vento non accenna a diminuire. Ma il cielo è limpido e il sole comincia ad inondare di luce i pascoli. Smonto per primo la tenda e vado a mettermi subito nella parte del pianoro in salita, già illuminata, poi Maurizio mi raggiunge e facciamo colazione. Le mani sono gelate, siamo infreddoliti e il sole ci appare come un caldo focolare grazie al quale riscaldarsi per un po'. Ma ci riscalderà anche la marcia, che rimetterà in circolo il sangue. 



Seguiamo un sentiero nell'estesa faggeta, poi, basandoci sulla cartina di Locus Maps, lo abbandoniamo salendo un ripido pendio. Molto utile in questi casi anche la bussola. Senza gps, cartina e bussola sarebbe impossibile proseguire lungo la direzione giusta. Siamo inghiottiti dalla faggeta, senza un qualsiasi punto di riferimento. Orientandoci sempre con la cartina dello smarthphone arriviamo ad un bellissimo pianoro carsico, di cui ignoriamo il nome. Si nota l'erba ricoperta da brina nelle parti in ombra: qui la temperatura è scesa evidentemente sottozero.




La traccia della cartina adesso porta a sud, lungo il crinale di Serra Paratizzi, caratterizzata da alcuni faggi particolari che si incontrano lungo il percorso, dalle forme contorte, che ricordano le descrizioni fantastiche delle foreste dello scrittore J. R. Tolkien. 




La prossima tappa è il Piano di Zazzera, superato il quale incontreremo i crinali della Mula che ci porteranno sulla cima. La caratteristica che più ci colpisce di questa montagna sono gli estesi pascoli d'alta quota, perché La Mula ha una tipica forma rotondeggiante, a cupola. Le mucche ci osservano incuriosite e se ci avviciniamo si spaventano. Forse non sono così abituate alla presenza di turisti... Il panorama è superbo: l'aria è limpida e il mar Tirreno domina l'orizzonte, le onde lontane luccicano alla luce del sole; le creste selvagge e gli spaventosi canaloni della Montea e di Monte La Caccia chiudono l'orizzonte a sud. 








Raggiunta la cima, ci fermiamo un po' per il selfie di rito e per mangiare qualcosa. Il vento freddo non accenna a placarsi. Adesso la direzione è lungo la cresta sud e poi costeggiando la montagna ad est, seguendo sempre la mulattiera. Sotto di noi si staglia la bella forma a piramide della Muletta e lo spendido "Campo di Annibale", che ricorda vagamente Piano Ruggio. Ciò che più mi colpisce dell'escursione di oggi sono proprio i pascoli d'alta quota e i pianori carsici. Scendiamo sempre e incontriamo una zona popolata da piante di stregonia siciliana: nei versanti rocciosi esposti a sud ce ne sono tantissime e notiamo che forse non abbiamo mai visto popolamenti così estesi! 






La mulattiera continua e poi si interseca con il Sentiero Italia, che ci porterà fino a Piano di Lanzo, consentendoci così di chiudere il lungo anello. La vegetazione cambia continuamente e attraversiamo zone esposte al sole e valloni in ombra, dove non arriva la luce del sole. Nell'ultimo tratto dell'escursione incontriamo un bosco interessante di faggio misto ad ontani, querce, aceri di monte ed opali, con esemplari davvero monumentali. Numerosi i pruni selvatici: raccogliamo i frutti giallognoli a terra, che sono maturi e quindi squisiti. Ce ne sono in grande quantità, la frutta non ci è mancata durante il tragitto. Il sentiero attraversa zone del bosco coperte da felci e rovi che ogni tanto devo tagliare con il coltello per aprirci la strada. Il sentiero (parte del Sentiero Italia, come dicevo) però è ben segnalato, è stato fatto davvero un bel lavoro e non c'è il rischio di perdersi nella fitta giungla appenninica di questa parte dell' Orsomarso. Ad un certo punto sentiamo distinto "l'abbaiare" del capriolo: l'esemplare è vicino, ma nascosto tra gli alberi e non riusciamo a vederlo. Il suo era un verso d'allarme e quindi l'animale si allontana subito da noi. 




E così giungiamo finalmente a Piano di Lanzo, un po' delusi dall'ultimo tratto a causa dei lavori di un cantiere forestale che ha lasciato numerose piste di esbosco ed aree di tagli che hanno "diradato" fin troppo la faggeta, i quali stridono con la desolazione selvaggia della foresta incontrata in precedenza. Abbiamo camminato oggi ben nove ore e anche questo trekking rimarrà nella nostra memoria di camminatori...


by Indio e Maurizio Lofiego









                                                                                                                           

domenica 23 settembre 2018

Diario - 22 settembre 2018

Negli anfratti selvaggi delle Gole di Iannace


Giro pomeridiano in solitaria, nelle Gole di Iannace, costeggiandole dall'alto. Il terreno è molto accidentato, con pareti di roccia a strapiombo in alcuni punti, che bisogna aggirare. Non è una passeggiata! Si nota il cavo dell'antica teleferica usato per il trasporto del legname. Attraverso anfratti selvaggi, dominati da esemplari monumentali di varie specie: dai faggi all'abete bianco, ai carpini, agli aceri; noto anche esemplari di leccio e varie specie di sorbi. Numerosi i tronchi marcescenti, lasciati alla decomposizione delle larve e segnati dalle cavità create dai picchi. La sensazione è quella di luoghi dove la presenza umana è assente, dove la natura è predominante. Facendo vari saliscendi per aggirare gli strapiombi arrivo in una zona scoperta del crinale, dove incontro la colonia di pini loricati che si può notare facendo il sentiero classico e attrezzato coi ponticelli lungo le gole. Alcuni esemplari sono abbarbicati sugli speroni rocciosi che sovrastano le gole: sono quelli più interessanti. La maggior parte sono piante giovani: tra "giovani" e "vecchi" questa colonia è formata in totale da una settantina di esemplari. Il portamento di alcune piante ricorda quello dei pini loricati dell'Orsomarso: alcuni sono alti e dritti. Negli esemplari maturi la corteccia è già suddivisa in scaglie: facendo una stima molto approssimativa,  si potrebbe dire che i più vecchi avranno un centinaio di anni al massimo... L'interesse di questa colonia, già segnalata nella cartina 1:10.000 del Pollino lucano, riguarda la quota altimetrica e soprattutto l'isolamento in mezzo alle foreste di faggio e abete bianco che circondano l'area delle Gole. Non sono facili da raggiungere perché ci sono punti molto esposti, raggiungibili solo da escursionisti esperti. Il Pollino, anche se non si va lontano,  sa suscitare sempre meraviglie, e non si finisce mai di scoprire...