mercoledì 28 agosto 2013

Diario - 26-27 agosto 2013

Piano di Acquafredda, Passo del Vascello, Cresta est del Dolcedorme, discesa dal crinale nord

la panoramica cresta est del Dolcedorme - foto by Indio

L'amico Carlo (socio pugliese di Wilderness Italia) mi aveva proposto se volessi con lui fare un'escursione campeggiando in montagna all'aperto ed ho colto l'occasione per proporgli un percorso che avevo fatto altre volte in solitaria e che avrei volentieri ripetuto in compagnia: dal Piano di Acquafredda per il sentiero che sbuca  a Passo del Vascello e da lì scarpinando per la cresta est fino alla cima. Arrivati al Piano di Acquafredda notiamo lontani, nei pascoli a ridosso della sommità, delle palline chiare e dei puntini scuri... All'inizio penso a cinghiali e mucche ma poi con lo zoom della macchina di Carlo scopriamo che si tratta di un gregge... Il pensiero va alla foto del libro di Braschi, "Sui sentieri del Pollino", a pag. 57, dove si vede lontano un gregge sul Dolcedorme e la didascalia recita: "E' una foto quasi storica (23 luglio 1971), dato che ormai da diversi anni i pastori non salgono più coi loro animali sulle vette più alte del massiccio". Mi capitò solo un'altra volta, ai Piani, di vedere un gregge di pecore e capre (lontano 2001).

lontano a ridosso della cima, macchioline bianche e puntini neri: è un gregge
il gregge, fotografato con lo zoom - foto di Carlo Ursi
Dopo la "visita" agli "alberi serpente", che è d'obbigo per chi come Carlo non li aveva ancora visti, prendiamo il sentiero che conduce dalla parte alta del Piano di Acquafredda, al Passo del Vascello, posto alla confluenza tra la cresta della Manfriana e il Dolcedorme. E' un sentiero a cui sono molto legato, per averlo fatto varie volte, ed è anche poco conosciuto... la traccia negli anni si sta perdendo e nel bosco i rami dei faggi lo stanno un po' chiudendo ( questo mentre proprio al Piano di Acquafredda son presenti inutili e bruttissime fila di massi allineati per segnalare ciò che poteva essere segnalato con un semplice ometto di pietre...). La traccia taglia trasversalmente il versante est del Dolcedorme e passa accanto a monumentali pini loricati... uno di essi era slanciato e maestoso, era quello più alto presente nella bella foto a pagina 11 del citato libro di Braschi; lo trovai nell'estate del  2007 spezzato in due da un fulmine, con ancora presente la corteccia. Oggi è un albero abbattuto, secco e bianco come tanti altri che si trovano sulle cime...


 Arrivati a Passo del Vascello cominciamo ad inerpicarci lungo la panoramica e abbastanza ripida cresta est. Caratteristico il punto panoramico da cui è possibile osservare i dirupi meridionali del Dolcedorme: qui la salita sembra difficile, ma camminando sul crinale ci si accorge che la difficoltà è più apparente che reale.


 Arrivati in cima si dà un'occhiata al libro di vetta, uno dei tanti orpelli che si trovano in genere sulle cime e che sarebbe meglio se non ci fossero (accanto alle - ben più impattanti ovviamente - croci di ferro  e madonnine varie), come anche la targhetta che vedo affissa su una pietra, là vicino (questa è la mia opinione di conservazionista, senza volontà di polemica). Il gregge è sceso al Piano di Acquafredda, che visto da qui sembra punteggiato di "palline"...
Vortici di nebbia si accavallano verso la cima, e poi si librano nell'aria... Consumiamo una merenda al riparo dal vento e poi ci avviamo verso il sentiero del crinale nord, segnalato dal pino secco "segnavia" per raggiungere la caratteristica radura rocciosa popolata da grandi loricati mestosi.
 La luce del tramonto è l'ideale per fotografare questo posto, reso ancor più spettacolare dallo sfondo di Serra delle Ciavole e delle lontane Falconara e Timpa San Lorenzo...




Dormiremo in un boschetto del crinale, il terreno in piano è l'ideale e siamo al riparo di grandi faggi. Non montiamo la tenda, usando solo il sacco a pelo...dormendo quindi all'aperto nel bosco. Non dovrebbe piovere. Il vento durante la notte è forte e alle 4 e mezza mi arrivano sulla faccia delle gocce d'acqua.
Piove, anche se debolmente. Decidiamo di sgomberare tutto e di avviarci, alla luce delle nostre lampade frontali, verso la strada del ritorno. Il tempo migliora subito, arriva l'alba ai Piani di Pollino, mentre ci avviamo all'imbocco del sentiero per Vaquarro...


by Indio



martedì 27 agosto 2013

Diario - 25 agosto 2013

 Gole del Frido: da Bosco Magnano a Francavilla sul Sinni 



Le gole del Frido, che da Cropani - Bosco Magnano scendono fino a dove il fiume allarga il suo letto e va in direzione della confluenza col Sinni, rappresentavano da tempo un itinerario che avevo in mente. In solitaria ero un po' indeciso se farlo come percorso (si tratta pur sempre dell'esplorazione di un torrente selvaggio che può riservare - come appunto si vedrà - delle sorprese), ma poi ho colto l'occasione proponendolo a Vincenzo A., l'amico di tante escursioni che, abituato a trekking un po' "deliranti", non si tira mai indietro... Ero sceso solo un po' oltre le "Pietre Tonanti", località resa accessibile anche a famiglie con bambini dal ripristino di un sentiero per opera dell'amico Giorgio Braschi. Il resto è vera e propria wilderness: sia per l'isolamento dell'area che per l'assenza di segni umani.

Scendiamo "armati" di costume e bastone, indispensabile per mantenere l'equilbrio nel fiume. Io ho messo anche il casco, non indispensabile ma che non è male avere in questi casi... Una raccomandazione è di avere uno zaino resistente all'acqua e di mettervi cellulari e macchine fotografiche in una busta di plastica sigillata, quando l'acqua delle pozze supera la cintola.
 Si scende a volte attraversando pozze d'acqua anche profonde, e a volte mantenendosi sulla riva formata da massi rocciosi; in parecchi casi bisogna superare cascatelle e salti rocciosi arrampicandosi (facilmente) sui massi. Il letto è abbastanza tranquillo, ma a volte si restringe formando vere e proprie gole; si possono anche ammirare massi rocciosi enormi, incastonati lungo il corso del torrente. E' un ambiente selvaggio, dove la natura la fa da padrone... gli alberi sradicati che ingombrano il passaggio ne sono la testimonianza.

Vincenzo A. sullo sfondo, impegnato nel superamento di un tronco caduto
L'unico segno di "civiltà" è il ponte pericolante che incontriamo a metà strada (oltre a qualche isolato segno di "inciviltà" rappresentato da qualche bottiglia di plastica). Curioso l'incontro con un fiore di zucca, ovvero con una piantina di zucchina nata là da qualche seme trasportato dal fiume. Un regno naturale dove è possibile osservare le libellule, le tante trote fario che non abbiamo avuto difficoltà ad avvistare in qualche pozza, compresi gli esemplari "neonati", i piccoli pesciolini; e poi il merlo acquaiolo che abbiamo visto svolazzare tra i massi e le cascate... Per non parlare dell'ululone dal ventre giallo, che vedo saltare in una pozza. Ma questo è il regno soprattutto della lontra, difficilissima da avvistare...

libellula trovata morta nell'acqua

 E' un ambiente così intatto, che si ha quasi il timore di calpestare con i piedi il fondale del torrente. Un'area che, per la sua evidente qualità ambientale ma soprattutto per il suo valore wildereness, meno si frequenta e meglio è. Come ho già detto l'unico segno antropico di rilievo è un ponticello sospeso su una gola e ormai inagibile (uno dei piloni è sfasciato).

Il percorso è impegnativo ma non presenta particolari difficoltà. Unica difficoltà (ma solo per me) sorge quando incontriamo un'area del fiume che si rivelerà molto profonda, circa due metri... Proprio qui noto un animale peloso nuotare nell'acqua... "Che sia la lontra?", esclamo nella mia mente... No, non è una lontra ma un cinghiale che attraversa il fiume a nuoto! Be', ancora non mi era capitato di vedere i cinghiali compiere simili azioni...

in fondo, al centro della foto, il cinghiale approda alla riva dopo aver attraversato a nuoto una grande pozza
Per Vincenzo, abile nuotatore (come il cinghiale), non c'è problema... A me invece - dopo che Vincenzo "tasta" la profondità dell'acqua e si accorge che col bastone non riesce a toccare il fondo -  tocca arrampicarmi sul pendio sinistro della gola per raggiungere la sommità e ridiscendere al torrente più avanti, aggirando così l'ostacolo... Sono provvidenziali le radici dei lecci, appigli a cui mi aggrappo per risalire la ripida scarpata...Vincenzo mi aspetta e dopo avergli segnalato la mia presenza supera a nuoto la pozza...


Superato l'ostacolo si va avanti nell'esplorazione... Ritroviamo in cinghiale di prima sul corso del torrente, che, avvistatoci, si arrampica come niente fosse sul lato destro della scarpata coperta dal bosco...

Il corso del torrente invece di allargarsi si restringe, creando salti e cascatelle, con pozze profonde che riusciamo ad aggirare arrampicandoci sui massi... Spettacolari massi giganteschi si stagliano davanti a noi... Pensavo che avremo preceduto più in fretta ma siamo costretti ad andare a passo di lumaca. Ormai dobbiamo per forza uscire a Francavilla, tornare indietro risalendo  il torrente ci porterebbe via troppo tempo e sarebbe stressante...





Decidiamo di abbandonare il torrente quando davanti a noi si staglia una gola stretta, con salti e pozze forse molto profonde che ci porterebbero via altro tempo; a questo punto decidiamo di risalire gli accessibili pendii boscosi sulla sponda destra, portarci sulla sommità della gola e ridiscendere al fiume per attraversarlo successivamente, per accedere alla sponda sinsitra, in modo da andare in direzione della strada asfaltata che riporta  a Bosco Magnano.



Ormai è chiaro che dovremo tornare alla macchina o a piedi o in autostop... Il bosco è intricato (e aggiungo molto bello, con esemplari maestosi di leccio e quercia) e, soprattutto io, mi graffio le gambe; notiamo degli uliveti in abbandono... poi incontriamo una provvidenziale stradina sterrata che sembra scendere verso il fiume: così è e ritroviamo il nostro Frido, ormai cambiato: le gole sono finite, il letto si allarga sbucando in una caratteristica "piana". Noto sulla sabbia delle impronte che potrebbero essere di lontra...



Procediamo nel fiume bagnadoci i piedi, di fronte a noi si vedono delle frazioni di Francavilla S.S., poi prendiamo una stradina che però porta ad una proprietà privata recintata e con un alto cancello... Uno spaventapasseri "impiccato" a guardia di un campo incolto ci rimanda alle classiche visioni di una Lucania "apocalittica" e ci ricorda le fantasie artistiche di un nostro caro amico...

 Torniamo indietro, riprendiamo il fiume e poi lo abbandoniamo quando di fronte a noi si vedono le case isolate che si trovano nei pressi della strada che proviene da Francavilla... andando dritti si sbuca al ponte che dà accesso alla "sinnica", la strada statale... Passiamo vicino ad una casa di campagna isolata, posta proprio ai limiti della piana; una signora si affaccia e scuote la testa quando gli diciamo da dove veniamo...


Così ci portiamo sulla strada. Dopo tentativi di autostop andati a vuoto troviamo un uomo e i suoi figli in un furgone, che ci fa sistemare dietro, per terra e assieme agli attrezzi da lavoro... Arrivati a Bosco Magnano al bar offriamo da bere al signore e ritorniamo alla macchina... Con questa bella escursione esplorativa posso dire di aver ormai esplorato interamente, tranne qualche tratto, il corso del Frido: il mio fiume preferito...

by Indio

lunedì 19 agosto 2013

Diario - 12 /16 agosto 2013

Il Trekking dei Briganti (Natura e cultura sui sentieri dei briganti: da San Severino Lucano a Civita)

un escursionista del gruppo partecipante al "Trekking dei Briganti", presso il sentiero spettacolare della Gola di Barile. Sullo sfondo, lontane, le spettacolari pareti selvagge di Timpa di San Lorenzo - foto by Indio


Primo giorno

Da tempo i miei amici Giustiniano Rossi e l'instancabile Lorenzo Agrelli, rispettivamente Presidente e Vicepresidente dell'Associazione "I Ragazzi di San Lorenzo Bellizzi" di cui faccio parte dalla sua fondazione,   mi avevano chiesto di partecipare alla seconda edizione di "Natura e cultura sui sentieri dei briganti", sia per mettere a disposizione le mie esperienze di escursionista nell'aiutare la conduzione del gruppo e sia perchè stavolta era stato deciso di partire proprio da San Severino Lucano, il mio paese...
 L'intento di questo bel trekking a cui hanno partecipato persone diverse per provenienza e "status", è stato quello di coniugare la pratica escursionistica negli ambienti più suggestivi del Parco con una rievocazione e riflessione su un fenomeno, quello del brigantaggio, che ha insanguinato le valli del Pollino; una storia che è decisiva per la stessa nostra stessa identità di abitanti del Pollino e le cui reminescenze si innestano sui nodi attuali di quella irrisolta "questione meridionale" di cui parlava Gramsci. Come scriveva il Presidente Rossi: "L’Associazione “I ragazzi di San Lorenzo Bellizzi”, ripercorrendo i sentieri del Parco nazionale del Pollino percorsi dai briganti fra il 1860 e il 1865, non vuole mettere in discussione l’unità e l’esistenza dello Stato nazionale, ma piuttosto continuare una riflessione sul modo in cui quell’unità si è realizzata e sulle conseguenze che ne sono risultate e ne risultano per l’economia e la società del sud del nostro Paese."
Scrivevo in un mio articolo sul brigantaggio di qualche anno fa: " 'Brigante' era un termine di origine francese ed aveva una connotazione dispregiativa.
Con esso si identificarono tutti quei contadini che si ribellarono ai nuovi oppressori imbracciando le armi e dandosi alla macchia. La rivolta sociale nel sud assumerà i contorni di una vera e propria rivoluzione sociale, una guerra di liberazione contro gli invasori piemontesi e la borghesia rurale del sud che era passata a schierarsi con lo stato unitario. La vittoria inevitabile dell’esercito piemontese fu il risultato di una carneficina che non risparmiò né uomini, né donne, né vecchi né bambini (...)
Sia per l’efficacia delle misure repressive, sia per la stanchezza della popolazione, il brigantaggio fu sconfitto nel giro di pochi anni. Già nel 1865 le bande più importanti erano state isolate e distrutte.
Le bande erano favorite dalla conoscenza del territorio, ricco di grotte e boschi, poco percorso da strade carrozzabili che offre rifugi sicuri e vie di fuga percorribili a piedi e a cavallo. La complicità dei contadini offriva nascondigli insospettabili, cure ai feriti, rifornimenti di armi e viveri, informazioni. Le bande erano impegnate in scorrerie che fruttavano denaro e viveri, in sequestri di possidenti e nelle feroci vendette contro chi tradiva. Il grosso delle bande era costituito da braccianti, cioè contadini salariati esasperati dalla miseria; accanto ad essi lottarono anche ex garibaldini sbandati, ex soldati borbonici e numerose donne, audaci e spietate come gli uomini.
"Natura e cultura sui sentieri dei briganti" ha voluto rappresentare anche l'esempio di un tipo di fruizione turistica "sostenibile" che, ad una tipologia di turismo che rincorre unicamente il "brivido" o il "divertimento" fine a se stesso (magari tramite l'ausilio di cavi, passerelle e scivoli vari) o ai macroattrattori artistici della cultura urbana,  ne ribadisce uno che fa perno sul camminare a piedi, sulla conservazione e conoscenza delle bellezze naturali, sui prodotti tipici e il coinvolgimento di pastori e agricoltori nell'accoglienza dei visitatori, sul rispetto delle tradizioni locali, dell'identità territoriale e, appunto, sulla rievocazione storica delle vicissitudini della "nostra" gente.
Ci ritroviamo a San Severino Lucano la sera del 12 agosto, dove l'iniziativa comincia con un convegno sul brigantaggio, con un intervento del sindaco Saverio De Stefano, una relazione di Giustiniano Rossi, le rievocazioni della storia dei briganti locali di  Giuseppe Rizzo, (coautore tra l'altro, di un libro sulla banda del brigante Franco assieme ad Antonio La Rocca), una lettura del professor Civale. Il convegno, molto partecipato, è inframmezzato dai bei pezzi musicali del giovane cantautore Francesco Agrelli di San Lorenzo Bellizzi. Nel dibattito conclusivo ha spiccato un bell'intervento del dottor Leonardo Larocca, medico di San Lorenzo, dove è emersa l'importanza che ha la relazione con il territorio nei processi di partecipazione democratica...

Secondo giorno

Le due vette della Falconara, vista scendendo da Piano Cardone
La parete sud della Falconara al tramonto, vista dai pascoli di Colle di Conca
Il gruppo, formato da una quarantina di persone, sistematosi nelle scuole medie di San Severino, il giorno dopo, appena fatta colazione a base di ricotta e latte di capra portati da un giovane pastore locale, riparte verso il Santuario della Madonna di Pollino accompagnato dai pulmini della Protezione Civile di San Severino Lucano.
La prossima tappa è Piano Iannace, si attraversa il bosco "'u Purcaro" come dice la denominazione dialettale. Il bravo Lorenzo Sallorenzo di... San Lorenzo Bellizzi ovviamente, accompagna il gruppo con un canto devozionale alla Madonna di Pollino, suonando il suo organetto. Proprio sui toponimi e i nomi di flora e fauna si instaura un dibattito lungo il sentiero, che è l'occasione per mettere a confronto le varie denominazioni locali: ne sono un esempio il Piano di Iannace, che per i calabresi è "U Chiano e' gridd", il piano dei grilli, o l'erba della Madonna come si chiama al mio paese, dai sallorenziani e alessandrini detta invece "attagna sangh" per l'uso di tampone e disinfettante che veniva fatto in passato. Sull'origine di Colle Impiso si ritrovano due versioni: una, della quale son convinto io, che si riferisce alla ripidezza del pendio (impiso come "appeso") e un'altra di impiso come "impiccato", riferito ad un episodio del brigantaggio.


Giuseppe Rizzo rievoca le gesta dei briganti parlando anche del ruolo che ebbe Piano di Iannace e la Guardiola del Brigante, o la "Timpa del Ladro", come la chiamava il mio papà cacciatore, la timpa di Serra di Crispo posta sopra il pianoro di Iannace, avente all'epoca funzione di vedetta per la sua posizione panoramica e di nascondiglio per i briganti. Mi sono proposto come chiudi fila del gruppo e mi trovo a parlare con chi di volta in volta resta indietro; è un buon modo anche per fotografare i partecipanti nel paesaggio!

La "sorpresa" dei loricati della Grande Porta è un momento a cui sono abituato quando sono assieme a gente che viene qua per la prima volta... la meraviglia si legge nei volti dei partecipanti; è anche un momento di relax, la gente butta lo zaino e si riposa sotto i pini. Manuel, un disegnatore di fumetti di Torino, cerca di fare lo schizzo veloce di un pino loricato... Il gruppo è pieno di persone interessanti. C'è anche, come mi dicono mentre camminiamo,  Michelangelo Frammartino, giovane regista premiato a Cannes con il suo film "Le quattro volte", girato proprio sul Pollino... film tra i miei preferiti di quelli riguardanti il "rapporto uomo-natura", di cui ho scritto anche una recensione su questo blog ( http://leucodermis.blogspot.it/2010/06/le-quattro-volte-di-michelangelo.html). Raccolti sotto un pino loricato leggiamo un brano sui briganti...


Dopo la sosta alla Grande Porta qualcuno si stacca per andare alla sorgente del Frido, sotto Serra delle Ciavole, poi l'altra sosta si fa alla sorgente del Raganello, mentre siamo già scesi dalle "Porticedde 'e Puddino", ovvero mentre scendiamo dalla Grande Porta lungo il sentiero che aggira le rocce nel bosco e che può portare in varie direzioni: Casino Toscano, Pietra Castello, Piano Cardone... Scendiamo lungo un crinale ammantato dai faggi proprio verso Piano Cardone e dalle radure possiamo ammirare la Gola di Barile formata dalle Timpe di San Lorenzo e di Cassano, che si fa sempre più vicina, mentre la catena del massiccio del Pollino ci sovrasta alle nostre spalle.

Federico, di una frazione di Alessandria del Carretto, uno dei più giovani del gruppo raccoglie radici di cardi, quelli con il fiore grande al centro; la radice è commestibile e me la fa provare... non è una leccornia ma si può mangiare: ricorda un po' una zucchina cruda e forse cucinato sarebbe di sicuro saporito! La luce tersa del tardo pomeriggio comincia a  calare sulle montagne. Attraversiamo Piano Cardone e poi Piano di Jumento, purtroppo non più bello come una volta, per le varie installazioni della pista da sci e per la strada asfaltata che vi giunge, costruita qualche anno fa. Ecco la Falconara... bella soprattutto al tramonto come adesso, quando le luci rossastre colorano le pareti rocciose... qui natura selvaggia e agreste si coniugano in un ambiente suggestivo.

 Attraversiamo ruderi di ovili abbandonati e stalle ancora in funzione; i pascoli e la campagna con le masserie sparse si estendono ai piedi delle pareti rocciose delle timpe, e alla base delle grandi faggete che ammantano le lontane cime del massiccio del Pollino.


 Ci dirigiamo verso la chiesetta di Sant'Anna, costruita con pietra locale e immersa perfettamente nel paesaggio, a ridosso dei pascoli e delle pareti rocciose del versante nord-ovest di  Timpa di San Lorenzo, dove campeggeremo e consumeremo la nostra - di sicuro - poco frugale cena "pastorale". Preparo il mio materassino gonfiabile: dormirò all'aperto, senza tenda. I sallorenziani che si occupano di cucinare hanno preparato la tradizionale pietanza pastorale della pecora cotta, con patate e carote. Il vino scorre, e dopo cena le tarantelle degli organetti e i tamburelli rompono il silenzio di questi luoghi desolati...


Poi si va a dormire e mi metto nel sacco a pelo. Ogni volta che ho il cielo stellato sopra di me i pensieri che portano al sonno non possono che dirigersi verso le stelle e quelle striature bianche che son le nebulose, il firmamento che è la casa del nostro essere, che dà senso a questa esistenza mettendola a confronto con un infinito che ci sovrasta ed  è anche arduo accettare. Per tetto la volta del cielo, la cui oscurità infinita è accentuata da quelle stelle lontane,  che cullano le nostre inquietudini sopendole nel sonno... luci accese di conforto in una notte buia e senza fine...

Terzo giorno

Visione del versante nord-ovest della spettacolare Timpa di San Lorenzo, scendendo verso il Raganello
panorama dalla Scala della Lamia, con lo sfondo, da sinistra, di Timpa di Cassano, Timpa del Principe, Manfriana e Dolcedorme...
Vengo svegliato da Nino Larocca (avevo i tappi auricolari, perché ho il sonno molto leggero), che mi dà il buongiorno domandandomi se per caso ho suonato io la zampogna stanotte, ovvero, se ho russato. Non so, forse sì, quando bevo un po' di più russo...e il vino ieri sera non è mancato. Si fa colazione con ricotta e latte di capra, marmellata di miele e di more, rigorosamente fatti in casa, poi si riparte: il gruppo si divide in due, quelli che faranno il percorso per escursionsiti esperti e coloro che invece seguiranno Rizzo per un percorso più tranquillo.

Col gruppo EE da Sant'Anna scenderemo al Raganello per la bellissima Scala di Sant'Anna e poi prenderemo il sentiero che porta alla Scala di Barile da me percorsa nel 2007 (ma al contrario), sbucando a Palma Nocera. Un percorso che non avevo ancora fatto e che si rivela subito entusiasmante. Noto grandi alberi di ginepro, poche volte visti così grossi e al contempo così slanciati.

Si scende costeggiando le lisce e ripide pareti, con una corda di sicurezza che gli ultimi del gruppo slacciano. Più sotto si scende su un accumulo di detriti, fino ad arrivare al letto del torrente, qui ancora aperto. Da qui posso notare uno dei punti di vista più interessanti di Timpa di San Lorenzo, i cui picchi rocciosi del versante nord-ovest si innalzano lasciando intravedere l'enorme parete sud-ovest, inaccessibile e inesplorata .




Si fa una sosta vicino ad una sorgente consumando il pranzo al sacco preparato dai nostri bravi "massari". Capito in un discorso sull'agricoltura biologica il cui alfiere è Giuseppe Ventimiglia e lo stesso, ricordando i suoi trascorsi giovanili di cacciatore ci fa vedere come si preparava con un masso e qualche legnetto una trappola per uccelli...

Si sale lungo il sentiero coperto dalla macchia e si abbandona il Raganello. Arrivati sulla sommità la vista si apre sull'imponente parete che ci sovrasta...

Il sentiero è stato ripulito volontariamente dagli amici del Gruppo speleologico "Sparviere" e del Gruppo speleol. di Cassano ("curioso" notare come sentieri del genere non siano stati presi in considerazione mentre in altri luoghi del Pollino si opera con un tipo di segnaletica a volte anche invasiva).  Curiosamente ritrovo una pietra sul sentiero che già avevo fotografato sei anni fa, particolare per le stratificazioni geologiche evidenti! Resto indietro a chiudere la fila con Federico e Lorenzo... un altro Lorenzo (molti sono i Lorenzi), appassionato raccoglitore di origano si dà da fare a raccogliere qualche mazzetto di  "pulieiu", pianta officinale buona  in caso di raffreddore...


Prima dell'imbocco della "scala" vera e proprio ci raccogliamo a ridosso di una parete rocciosa mentre Nino Larocca (una delle guide del Pollino più appassionate e competenti che abbia finora conosciuto), ci parla della leggenda di Marsilia, la cui grotta è nelle vicinanze anche se è difficile accesso e che si ricollega alle storie dei briganti e dei loro tesori. Ecco come Nino la descrive (cito dal suo sito www.marsilia.ue.it): "Qui è ubicata una grotta che fu scelta come dimora dalla bellissima Marsilia, definita dalla cultura cattolica femminile “malafemmina“ ossia donna di facili costumi, e per questo invisa al gentil sesso. è però anche custode, in quella sua grotta, d’inestimabili ricchezze e tesori, in primis la famosa chioccia con i sette pulcini tutti d‘oro massiccio datale in consegna dal capo brigante Antonio Franco . Secondo il mio punto di vista, Marsilia, come la più famosa Circe e molti altri simili personaggi , è invece un‘ammaliante e seducente creatura. Di conseguenza chi la incontra se ne innamora pazzamente, sedotto dai suoi poteri che sono inoltre rafforzati dai così detti àrive du scùerde (alberi della dimenticanza), nel cui bosco Marsilia può apparire, e che vengono usati per far dimenticare agli uomini tutte le monotonie della vita quotidiana e l’eccessivo materialismo, rammentandoci nello stesso tempo che i veri valori, quindi gli effettivi tesori, sono l‘ambiente naturale e, soprattutto, l‘amore in tutti i sensi e verso ogni cosa."

 Per una maggiore sicurezza - il sentiero è scavato nella roccia e alcuni punti sono fortemente esposti - il buon Nino Reale, con la sua divisa fosforescente del soccorso alpino attrezza una corda di sostegno e si sale sl tratto più bello del sentiero. Ecco cosa scrissi io nel 2007 su questo stesso blog (http://leucodermis.blogspot.it/2007/09/di-san-lorenzo-dalla-gola-di-barile.html) quando lo scoprii la prima volta, con l'amico Vincenzo A., una situazione indimenticabile e che... non si ripeterà più: "Il primo tratto del sentiero è scavato nella roccia e anche molto ripido. Non ci sono parole né basta qualche foto per descrivere lo spettacolo a cui assistiamo lungo il tragitto. In fondo scorre il torrente Raganello e davanti a noi si mostra in tutta la sua imponente maestosità il versante scosceso della Timpa di San Lorenzo, (sulla cui sommità eravamo stati il giorno prima) che si erge dal fondo della gola per centinaia e centinaia di metri. Come sfondo musicale per questo scenario andrebbe bene una delle musiche dei Popol Vuh per i film di Werner Herzog (...) Qui crescono abbarbicati alle rocce alberi di leccio e di carpino. Soprattutto il leccio popola molti ambienti rocciosi del Pollino. In posti come questi la natura mostra il volto allo stesso tempo meraviglioso ed inquietante della sua grandezza e della sua supremazia … Poche volte e solo in posti come questi si possono avvertire quelle sensazioni estreme che ci fanno sentire al cospetto delle gigantesche forze naturali. Alla fine comunque, questo sentiero che visto da lontano faceva rabbrividire si rivela invece abbastanza comodo. Sicuramente bisogna stare attenti perché se si scivolasse si finirebbe direttamente in fondo alla gola, sui massi del Raganello."


Si arriva a Palma Nocera, sito archeologico di età bizantina riferito all'800 d.c. circa... Nino Larocca ci fa notare l'allineamento circolare delle pietre di quella che era  una Chiesa, con l'apertura rivolta a est, la direzione da cui erano arrivati i monaci basiliani. Lungo il percorso ho avuto modo di conoscere giornalisti e attitivisti che conoscono miei amici dei tempi dell'università... il mondo è davvero piccolo. Si va tutti a darci una rinfrescata al Raganello... Anche io mi do una sciacquata, mi scelgo un luogo appartato e resto con le caviglie  sotto una cascatella... è una sorta di idromassaggio naturale per i piedi mentre la mente divaga nella metafisica, si concentra sulle reazioni dell'acqua allo sbarramento del mio braccio, alla mia mano che stringe l'acqua o la schiaffeggia valutando la sua densità di liquido così comune ma pregno di una natura primordiale; l' intrinseca forza della sua discesa, tesa ad adattarsi ad ogni fessura che essa è in grado riempire... Detto banalmente dall'acqua, elemento tra gli altri, derivò la vita... ed ecco che le riminescenze scientifiche accrescono il mistero invece di sopirlo: non è in fondo questo il liquido del grembo di Madre Terra che ci cullava nell'attesa del risveglio alla vita? Non è allora vita anche questa, non è vita anche ciò che non è vita? 
Filosofia a parte mi rimetto gli scarponi e ci dirigiamo con gli altri vero la frazione Maddalena, dove pernotteremo. Dietro la Gola di Barile brilla la luce del sole al tramonto...

Arrivano i nostri zaini con i sacchi a pelo e altro, trasportati dal fuoristrada; le tende son state già montate da qualcuno e attendiamo affamati la nostra cena. Arriva un trattore col rimorchio, aiutiamo i massari a portare delle panche e capisco che sarà proprio il rimorchio sia il tavolo che il palco per la recita di stasera sui briganti. Ritorna la pecora, cucinata in un calderone all'aperto... stavolta anche con la pasta. Un peperoncino intero e la ricotta salata grattata danno una marcia in più. Si assaggia anche il "paddaccio" (detto anche "tuma") ovvero un residuo (chiamiamolo residuo) della lavorazione del formaggio, ovvero formaggio fresco "gommoso" che si usa fare a frittata o con gli asparagi. La ricetta sallorenzaiana di stasera è padaccio con peperoni, zucchine e uova. Particolarmente estasiato il regista Frammartino, a cui si concede l'onore del bis e anche del tris... 


La serata procede con il monologo del bravo Giuseppe Ventimiglia, ispirato alla storia di un "galantuomo" di nome Restrieri, che fu rapito dai briganti di "Peppe 'u nivuru". Si campeggia la notte in un campo mietuto... Mi sistemo all'aperto sotto un ulivo, il caldo è parecchio, siamo a bassa quota. Mi scoperchio ma i moscerini mi mordono le braccia... continua così finché alle tre di notte l'aria si rinfresca e rimettendomi nel sacco a pelo finisce la tortura dei moscerini... 



Quarto giorno 

veduta delle pareti strapiombanti, dal Ponte del Diavolo
Dopo la solita colazione il gruppo si divide di nuovo anche oggi... alcuni opteranno per l'escursione tranquilla, altri (il mio gruppo) si dirigeranno dalla Maddalena al Raganello per poi arrivare fino a Civita. Nel primo tratto attraversiamo un sentiero vicino ai ruderi di un antico mulino... poi il letto del torrente si espande nella forma della caratteristica fiumara meridionale... 



Come ci annuncia Nino ci aspetta la visione di due cose in particolare: una è la dimostrazione della volontà dell'uomo di soggiogare la natura, l'altra quella di armonizzarsi con essa. La prima è il salto formato dal muro di ciò che rimane di una diga, " Briglia del Mezzogiorno" la cui costruzione avvenne negli anni '30, in nome di uno "sviluppo" mal concepito; la seconda è Pietraponte, un enorme masso roccioso incastrato tra le gole, attrezzato dai pastori con semplici  muretti a secco e rami di albero come passerella. Affacciandosi dal ponticello di sassi che riempie l'insenatura tra le pareti e il masso di Pietraponte si ha una visione da brivido... la mia ombra si staglia lontana sulla parete strapiobante...






 Si ritorna nel Raganello, poi lo si abbandona salendo i pendii boscosi sulla sinistra... poi si incontra una stradina che si apre su campi e pascoli (siamo nel comune di Cerchiara) punteggiati da qualche masseria; davanti all'ingresso di una di questa incontriamo una coppia di anziani contadini con cui mi fermo a parlare mettendoli a conoscenza da dove vengo e del percorso che abbiamo fatto... In mezzo alla strada possiamo ammirare invece un bell'esemplare di tarantola. 



Da lì ci si inoltra di nuovo nella natura selvaggia, giungendo al Ponte d'Ilice ("ilice" è il nome dialettale del leccio, Quercius ilex), purtroppo sfigurato dall'impalcatura di pali  di ferro arrugginiti messi qui per non farlo crollare come il Ponte del Diavolo. Il bosco è qui formato da grossi esemplari di leccio, che mi rimandano, non so perché,  alla visione dell'Eremo di San Francesco visitato mesi fa... Si fa una sosta e consumiamo qui il pranzo a sacco. Sotto, nella gola, come ci informa Larocca, c'è una bella sorgente. 

 Aprendosi il paesaggio dalle radure, posso notare le pareti delle gole basse e la impegnativa "Via degli Sparvieri" che Nino la guida conosce bene e mi fa notare: egli suggerisce il termine di "banchismo" a proposito di questa attività richiamando l'esperienza di pastori "alpinisti" che sfruttavano appunto il passaggio sulle "banghe", ovvero terrazzi strapiombanti sul vuoto...



I pendii boscosi si fanno ripidi ma Civita si avvicina... Arriviamo in località Piano d'Ilice - Aria Massaro, lungo il sentiero incontriamo dei muretti a secco, segno di stazzi di pastori. Mentre il gruppo è più sotto, con Nino ci spingiamo oltre il sentiero in esplorazione e notiamo che quello che stiamo vedendo sono i resti di un vasto complesso pastorale, con grandi recinti di pietra formati da muri a secco, fatti di massi molto grossi e ben incastrati; presupponiamo che tale sito pastorale sia molto antico. 



Un unico problema sorge quando una signora del gruppo è morsa da un'ape dopo aver disturbato un nido... la dottoressa del gruppo interviene subito con un'iniezione e tutto si tranquillizza. Dei cani da pastore ci vengono incontro, segno che la "civiltà" è ormai vicina. In effetti più sopra si sbuca in una masseria isolata. Si va a chiedere un po' d'acqua e le persone che vi abitano offrono molto gentili anguria per tutti...




Il proprietario ci mostra orgoglioso il suo orto e  fa notare che sopra di noi volteggiano i grifoni reintrodotti anni fa dalla Spagna... sono due, maestosi e quasi minacciosi volano bassi sui pascoli... Dopo aver percorso un po' di strada asfaltata si arriva al pullman che ci porta al caratteristico paese arberesh di Civita. Qui si va a visitare il museo della cultura arberesh, poi con Frammartino e Federico scendo giù verso il Ponte del Diavolo. 


A dir la verità non mi sento più a casa, nel Pollino... rispetto a San Lorenzo Bellizzi, che è nel cuore del Parco, qui sembra davvero essere giunti alla fine del Pollino... Il Raganello dopo le gole si allarga e scorre verso un suggestivo paesaggio agricolo tipico delle "marine". Mi aspettavo qualcosa di più verso il Ponte del Diavolo: la stradina che porta giù è di cemento e ai lati ci sono sbarre di ferro  messe là forse negli anni '80; inoltre, moderni e discutibili edifici circondati da cancelli forse era meglio che non ci fossero; lo stesso ponte non è purtroppo quello antico delle vecchie foto, crollato anni fa e oggi ricostruito... Ma la visione di ciò che si ha di fronte e sotto di noi - il canyon e le alte pareti di roccia che sovrastano il Raganello -  è spettacolare.




 Il pullman fa ritardo, abbiamo saputo che l'autista ha avuto un problema perciò ci vengono a prendere con i pulmini del comune, uno dei quali uno scuolabus su cui mi accomodo subito rapito dalla nostalgia dell'infanzia...  Arriviamo stanchi a San Lorenzo Bellizzi, Lorenzo Agrelli mi accompagna a casa della signora Nicoletta, dove vengo gentilmente ospitato assieme al buon Rizzo. Per concludere la serata, mentre si cena ho il piacere di rivedere la proiezione del film "Le quattro volte" di Michelangelo, che ci ha accompagnato con la sua simpatia e i suoi momenti di "meditazione" durante l'escursione. 

Quinto e sesto giorno

Resterò ancora altri due giorni a San Lorenzo Bellizzi. Il 16 mattina rivedo Domenico Cerchiara, ex sindaco di San Lorenzo e pioniere della protezione ambientale nel Pollino, a cui sono riconoscente per avermi indirizzato verso l'Associazione Italiana Wilderness di cui faccio parte, assieme all'ora consigliere nazionale e caro amico Franco Cattabriga. Il pomeriggio invece conosco un altro amico finora virtuale (su Facebook), Ettore Angiò, del Gruppo Speleologico Sparviere di Alessandria del Carretto. La sera c'è stato il convegno conclusivo, con accesi momenti di dibattito mentre il 17 Lorenzo Agrelli, Nino Larocca e un altro Lorenzo mi hanno accompagnato alla mia Mezzana chiudendo il cerchio...

Ringrazio tutti i "ragazzi" di San Lorenzo Bellizzi per questa bella settimana di trekking, cultura e amicizia, quelli che ho citato e che non ho citato, i partecipanti al trekking che ho conosciuto e i sallorenziani che hanno provveduto a preparare le nostre colazioni e le cene...  Un'esperienza che rafforza, sebbene da esterno, il mio senso di appartenenza alla comunità sallorenzana, da tempo aperta al "mondo" e a prospettive di rinascita culturale.

 Indio (Saverio De Marco)

 Indio presso il Ponte del Diavolo - foto di M. Frammartino