giovedì 31 agosto 2017

Diario - 30 agosto 2017

Grotta dell'Orso, Timpa dell'Orso, Cozzo Ferriero, Faggeta Vetusta, Valle Lupara, Pedarreto

veduta da Grotta dell'Orso - foto by Indio

 Un po' da qualche tempo, a piedi e in mountain bike, mi sto dedicando ad esplorare le zone di bassa e media montagna del Pollino (e non necessariamente cime), che ancora riserva tante sorprese... Con l'amico Maurizio volevamo da tempo fare un giro a Cozzo Ferriero, visto che non c'eravamo ancora stati. Inoltre, eravamo curiosi di vedere la Grotta dell'Orso sita nei pressi della Timpa omonima. Prendiamo una strada sterrata seguendo le indicazioni della cartina. Capiamo ad un certo punto, che per visitare la Grotta dell'Orso bisognerà scendere...  e così facciamo. E' cominciata dopo pochi minuti un'escursione esplorativa. Girovaghiamo per i boschi alla ricerca delle pareti sottostanti, ma poi capiamo che sono ancora più avanti: le avvistiamo quando giungiamo in una zona scoperta e poi ci dirigiamo là. Ai piedi delle pareti l'ambiente è superbo, impervio e selvaggio. Un angolo di vera wilderness  a poca distanza dalla strada asfaltata. 




Faggi spettacolari svettano nella foresta e si nota un'ampia varietà botanica. Notiamo, solo per citare delle specie, dei tassi, degli aceri ricci, di lobels, degli aceri di monte e dei tigli... e una "macchia" di dafne.





Sembra la classica grotta che un tempo poteva essere frequentata da pastori o cacciatori, una di quelle dove si poteva bivaccare e accendere un fuoco. Dei "cavernicoli" come noi non potevano che essere affascinati da questo posto suggestivo. L'ingresso è ostruito da alberi di sambuco, vi passiamo attraverso ed entriamo. Notiamo piccole stalattiti "morte" e persino una colonna. E' una classica cavità superficiale, alla base delle pareti. 





Decidiamo di costeggiare il resto delle pareti, ma tenendoci più sopra. Ad un certo punto però dobbiamo tornare indietro perché non si passa. La deviazione ci permette di "scoprire" altri esemplari secolari di tasso. Scendiamo giù facendo attenzione a non scivolare, usando i rami degli alberi come corde. Il terreno di foglie secche e terriccio scivoloso è instabile. 



Ci portiamo così più in basso alla base delle pareti. Anche qui regna l'atmosfera della foresta selvaggia. Né sentieri, né altri segni d'uomo. Avvistiamo uno scoiattolo meridionale, che si arrampica furtivo lungo i pendii rocciosi. 




Arriviamo ad un crinale roccioso, ci arrampichiamo e sbuchiamo sulla sommità di Timpa dell'Orso, da cui si estende un bel panorama sulla Valle del Mercure. Notiamo una formazione rocciosa ad artiglio, un pinnacolo la cui sommità aguzza sembra staccata a causa della sedimentazione. Ora il prossimo obiettivo è Cozzo Ferriero.


Troviamo il sentiero, arriviamo in cima... Attraversiamo un esteso pianoro con una dolina. Nella parte bassa della dolina crescono innumerevoli spinaci selvatici. Sembra un orto coltivato che spicca per il verde luccicante in mezzo all'erba secca. Più sopra comincia la faggeta vetusta. Notiamo i segni lasciati purtroppo dai ricercatori, che hanno sfregiato alcuni esemplari di faggio per numerarli. Ci vorranno molti anni, ma la natura rimarginerà anche queste inutili ferite che si potevano evitare, se si fosse avuta un minimo di sensibilità per la bellezza di questi faggi monumentali. 




Incisioni a parte questo tratto di faggeta è spettacolare. Per me conta comunque, al di là del valore scientifico, l'atmosfera wilderness che si respira su una montagna. E infatti la foresta che costeggia Timpa dell'Orso, percorsa prima,  non è da meno... Concludiamo l'anello scendendo da Valle Lupara, seguendo il sentiero che ci porta su una strada sterrata, fino a Pedarreto.

venerdì 25 agosto 2017

Diario 25 agosto 2017

Alla Serra di Mauro da Visitone in mountain bike

 Itinerario: Visitone, Zaperna, Bosco Pertugio, Valle Egidio, cresta di Serra di Mauro (a piedi), Visitone, Valle dell'Auze, Conocchielle

La traccia GPS salvata durante il ritorno

Come ho detto altre volte, penso che le zone di bassa e media montagna del Pollino, e in particolar modo quelle meno conosciute, fuori mano o snobbate dal turismo, offrano molte più possibilità di scoperta ed esperienza di ambienti nuovi e in gran parte indisturbati, dove ancora si può respirare, anche in pieno agosto, quel senso di solitudine e immersione nella natura selvaggia. Parliamo di mountain bike, e quindi di stradine sterrate e piste forestali, ma inserite armonicamente nell'ambiente del bosco tant'è che si ha la sensazione di percorrere un sentiero, sebbene su due ruote. Tale è l'area del Pollino percorsa oggi in bici e nell'ultima  parte a piedi, posta nella parte nord-ovest del Massiccio. Parliamo delle estese faggete che si trovano tra Visitone e la Serra di Mauro. Sapevo che c'era una stradina che andando verso ovest portava proprio verso la cresta di Serra di Mauro e intendevo da tempo esplorare quell'area.


Il percorso parte da Visitone. Qui oggi è festa: si stratta della festa della Pita, antico rito arboreo risalente alle epoche precristiane che unisce e cementa l'identità della comunità viggianellese. Gli alberi ci hanno scaldato la gente di montagna, hanno dato lavoro, sono onnipresenti nel paesaggio delle valli: non potevano perciò che entrare a far parte della ritualità delle genti del Pollino, del loro rapporto con il "Sacro".  C'è tanta gente, la "cima", realizzata con un abete bianco, è ferma a Piano Visitone. Mi fermo un po' a parlare con dei paesani e poi, mentre si preparano i grandi buoi che trasportano il faggio che verrà unito all'abete, mi avvio verso la faggeta, lasciandomi alle spalle la gente e l'atmosfera festosa di Visitone.




Arrivo al bivio che consente di prendere la stradina che ancora non avevo mai fatto, e attraverso quel tratto di faggeta. Lungo il percorso ho potuto ammirare scorci superbi di una faggeta selvaggia, con alberi alti, di forma colonnare; una foresta dove la dimensione del silenzio predomina, dove non si incontra nessuno... Pace assoluta.





Quanto all'aspetto tecnico del percorso, la stradina sterrata offre divertenti saliscendi e un terreno non troppo impegnativo, morbido per le foglie in alcuni punti e in altri sassoso. In un punto si apre un panorama con la frazione di Prastio nella sua interezza, con lo sfondo di Serra dell'Abete.


La stradina si fa sempre più stretta e piena di sassi, che slittano sotto le ruote. La gran quantità di foglie secche non aiuta. Decido perciò di lasciare la bici qui e di arrivare alla cima di Serra di Mauro a piedi. Prima di arrampicarmi sul crinale boscoso noto un bell'esemplare di abete bianco: strano che sia qui, perarltro così solitario, visto che il suo areale tipico non è questo ma sta più a nord.


Arrivo finalmente verso la sommità di Serra di Mauro e mi godo il panorama. Non ero ancora stato su questa montagna.



Seguo la stessa strada fino a Visitone, poi decido di non tornare per la strada asfaltata ma di seguire la stradina panoramica che mi porterà a Conocchielle, seguendo quello che è il tratto di un antico percorso della transumanza, fatto decine di volte anche a piedi e accompagnado dei gruppi. Con la mountain bike è molto divertente: si susseguono buche, saliscendi, discese ripide. E' una zona popolata di cinghiali e infatti ne incontro quattro o cinque. Uno si fa anche fotografare mentre mi osserva dal folto della vegetazione.



venerdì 18 agosto 2017

La strada per la città - Racconti di vita fuorisede

"Sulla cima della montagna che avrebbero dovuto
scalare il giorno dopo, imperversavano ancora nubi
minacciose; l’immagine inquietante e allo stesso
tempo magnifica di una natura selvaggia che attraeva
e respingeva. Si misero le ciaspole e indossarono
il passamontagna per il freddo tagliente. Per terra
erano caduti un paio di centimetri di neve fresca. Il
manto nevoso sottostante era ghiacciato e si marciava
comodamente. Il tempo cominciò a migliorare
via via che si lasciarono alle spalle il pianoro. Presero
il sentiero che andava verso dei piani ancora
più estesi, passando accanto a secolari esemplari di
faggio. I pini e le rocce dei crinali soprastanti erano
spruzzati di nevischio. I grandi pianori erano illuminati
dalle prime luci del sole, che aveva cominciato
a spuntare… Davanti a loro si estendeva una distesa
piatta di neve ghiacciata, coperta dal sottile strato di
neve fresca, caduta quella notte; il vento, che anche
qui soffiava molto forte, la smuoveva e sembrava
che volasse sul manto ghiacciato, un po’ come succede
con la sabbia del deserto.
Luciano, appartato nella sua intimità, si commosse
e diede le spalle all’amico per non farsi vedere."


(dal racconto "La natura selvaggia è meglio della droga", tratto dal libro "La strada per la città"




“La strada per la città” è il libro di esordio dello scrittore lucano Saverio De Marco pubblicato dalla casa editrice Italic Pequod. I protagonisti dei racconti sono studenti meridionali, che per frequentare l'università, dai loro piccoli e sperduti paesini d'origine, si trasferiscono nei quartieri popolari della Capitale. Tra questi spicca Luciano, che seguiamo nelle sue avventure e disavventure fuorisede: gli esami che non finiscono mai, le esperienze politiche, le sbornie selvagge, i lavoretti infimi per mantenersi agli studi, occupazioni, le manifestazioni e scontri di piazza, le ragazze e gli amori difficili, il richiamo della propria terra, i vagabondaggi nella Lucania ancestrale e selvaggia... La politica e i grandi eventi dell'attualità metropolitana restano sullo sfondo, mentre a tenere uniti i fili narrativi sono i rapporti umani e d'amicizia tra studenti con la medesima origine e condizione sociale. Luciano, ormai immerso nella vita della Capitale, mantiene sempre un legame istintivo con la sua terra e comunità d’origine. La sua identità si colloca in ultima analisi tra due mondi estremi: la grande metropoli e un paesino spopolato di montagna, luoghi profondamente diversi, anche se entrambi "periferici".
Questo libro, a tratti “on the road”,  narra episodi di vita quotidiana, ora apparentemente banali, ora inconsueti, a volte ai limiti del grottesco (quando non tragicomici), ma sempre con un tono ironico, che suscita il sorriso, e, spesso, la riflessione.
L’autore
Saverio De Marco (nome d’arte Indio), classe 1980, risiede a San Severino Lucano, nel cuore del Parco del Pollino. Laureato in Sociologia alla Sapienza di Roma, si occupa di temi socio-ambientali e di turismo nelle aree protette. È una Guida Ambientale Escursionistica (GAE), ambientalista, blogger e giornalista free-lance. È appassionato di letteratura, disegno e fumetti. Ha scritto racconti per siti e blog. Un suo racconto, L’Inganno, è stato pubblicato in “Percorsi”, Il Fauno Edizioni 2010. È autore inoltre di un fumetto satirico sulla vita degli studenti fuorisede a Roma: Le avventure di Luciano, lo studente lucano (Kalura 2015). La strada per la città (Italic Pequod) è il suo libro d’esordio.
Il libro è disponibile dal 4 maggio nelle principali librerie italiane e nei bookstores online come Feltrinelli, Ibs.it, Amazon, Mondadori Store, libreriauniversitaria.it.




sabato 5 agosto 2017

Diario - 2 agosto 2017

Nell'Inghiottitoio di Zaperna
Nell'Inghiottitoio di Zaperna - foto di M. Lofiego

Fa caldo e questo pomeriggio non ho voglia di uscire... nè di camminare nè di prendere la bici. Maurizio mi chiama con l'idea di andare all'Inghiottitoio di Zaperna. Io non c'ero stato ancora: quando Maurizio, Antonio e Tonino andarono a vederla un anno e mezzo fa, ero fuori regione.
 Come premessa, bisogna fare cenno alla storia delle esplorazioni di questa magnifica grotta. La prima esplorazione dell'Inghiottitoio di Zaperna, detto in dialetto anche "Auz i Pizzulu", risale agli anni Novanta, ad opera di Giorgio Braschi e altri escursionisti di San Severino Lucano. Si sapeva che da quelle parti ci fosse una grotta ma solo i pastori conoscevano il sito. Gli speleologi riuscirono a trovarla su indicazione di "Zulio", un escursionista di Viggianello. Successivamente il Gruppo Speleologico Sparviere fece un'altra perlustrazione ed eseguì il rilievo della grotta, per procedere poi ad accatastarla. La relazione e il rilievo sono presenti nel libretto edito da "Il Coscile" "Le grotte della Valle del Mercure" (di C. Marotta, A. Larocca, A. Tedesco).
Esiste un video di Antonio Provenzano della prima esplorazione, e mi andava di fare delle riprese con la mia Go Pro al fine di creare un video per il nostro canale youtube. Arrivati all'ampio ingresso ci mettiamo le nostre tute da lavoro e cominciamo a scendere. Si procede facilmente senza corda luno un ampio corridoio, in discesa, per poi incontrare una stretta galleria. Bisogna strisciare, il passaggio è angusto. Questo è il punto chiave, una bassa strettoia che inizialmente era ostruita dai massi e che fu liberata nel corso della prima esplorazione speleologica. Una cosa che ci stupisce subito è il luccichio dorato delle rocce: l'effetto è dovuto a quelli che sono probabilmente dei licheni, i quali, coperti da goccioline di acqua che trasudano dalla roccia, riflettono la luce delle lampade frontali. Accanto a questi licheni dorati ne esistono anche altri "argentati". Cominciamo ad ammirare le belle concrezioni calcaree e le piccole stalattiti delle pareti. La galleria a volte si restringe ma con un po' di pazienza si passa facilmente. In alcuni punti si trovano delle rocce taglienti, a lama di coltello (a me hanno ricordato anche i denti degli squali!). Le nostre tute di cotone e l'imbrago si impigliano a volte su queste pareti. Solo in due casi mettiamo la corda, in prossimità di due salti rocciosi di due e tre metri, tranquilli ma scivolosi a causa dell'acqua: è sempre bene perciò assicurarsi. Nonostante i percorsi stretti e tortuosi subentra non la claustrofobia, ma una sensazione di sicurezza, quasi di pace, di libertà. Lasciarsi alle spalle il mondo della superficie con tutti i suoi problemi ed accedere al mondo sotterraneo... E' un ritorno simbolico al grembo di Madre Terra, che le culture primitive veneravano offrendo doni e realizzando pitture proprio nelle grotte. La luce delle lampade esplora le meraviglie create dall'acqua nel suo contatto con la roccia e le concrezioni calcaree sono i monumenti di queste cattedrali sotterranee. Un pipistrello svolazza in alto nelle spaccature della volta della grotta, successivamente troviamo degli strani funghetti su un ramo marcio portato dall'acqua. Si notano degli insetti appartenenti all'ordine dei ditteri, delle mosche che popolano gli ambienti ipogei. E' possibile che in ambienti come questi esistano specie ancora sconosciute.

Il momento più emozionante è quando troviamo le "perle di grotta", che Maurizio aveva già visto: in gergo geologico si chiamano pisoliti e si creano nelle vaschette piene d'acqua a causa di piccoli vortici che generano il deposito di successivi strati di calcite, per accrescimento intorno ad un nucleo iniziale. In questo caso ricordano dei "confetti" lucidi e luccicanti. Al di là dell'interesse scientifico, è primariamente la bellezza in sè di queste formazioni a sucitare la nostra meraviglia. Ovviamente questi piccoli tesori vanno solo ammirati, nemmeno toccati. La loro rimozione creerebbe un dano enorme all'integrità e alla bellezza di questa grotta; ed ecco perchè è bene che tali cavità siano conosciute e visitate da poche persone che le rispettino (e senza rivelarne l'ubicazione). Almeno in questo caso comunque la grotta si difende da sè, perchè richiede esperienza speleologica. Ci sono ancora altri saltini e tratti stretti di galleria prima di arrivare alla stanza finale, dopo la quale l'esplorazione si interrompe. Proprio qui abbiamo una grande sorpresa: Maurizio trova un cranio di capriolo con un bellissimo palco. L'ipotesi è che il cranio sia stato trascinato dall'acqua dall'ingresso oppure che qualche lupo abbia trascinato la carcassa all'interno della parte iniziale dell'inghiottitoio per nasconderla, e poi l'acqua l'abbia spinta ancora più giù. La grotta è lunga 165 metri, si sviluppa obliquamente, non è quindi un pozzo con lunghi salti verticali, che altrimenti avrebbe richiesto calate e risalite su corda per decine di metri. Siamo a circa 50 metri sottoterra. L'istinto è quello di contnuare, vorremmo ancora scendere, chissà quali altre meraviglie ci attenderebbero. E' il fascino dell'ignoto, è il richiamo della scoperta e dell'avventura che forse mai è amplificato come nelle grotte: forse l'ultima frontiera di una wilderness immutata nei millenni, che l'uomo ha esplorato solo in minima parte...

Video dell'uscita speleologica all'Inghiottitoio di Zaperna