lunedì 25 maggio 2020

Diario - 22 maggio 2020


Solitudini selvagge
Nei impervi versanti est di Serra di Crispo


“Presso di noi non c’erano templi o santuari che non fossero quelli della natura. Uomo della natura, l’indiano era intensamente poetico. Avrebbe ritenuto sacrilego costruire una casa per Colui che si poteva incontrare faccia a faccia nelle misteriose, ombrose navate della foresta primordiale, nel seno soleggiato delle praterie vergini, o sulle guglie e i pinnacoli vertiginosi di nuda roccia, e lassù nella volta ingioiellata del cielo notturno!”
(Charles Eastman)


 Non ho mai amato i compleanni, credo che si tratti di numeri che imbrigliano la nostra vita, la rendono quasi un oggetto misurabile. Sarebbe meglio che l'età (come misura del tempo) non esistesse, ma la grande macchina dell'organizzazione burocratica lo esige. Oggi voglio andarmene da solo, voglio aggirarmi senza una meta vera e propria in aree selvagge e impervie, vedere scorci nuovi, essere immerso nelle atmosfere  wilderness che tanto amo. Mi dirigo verso la mia montagna preferita, Serra di Crispo, con la quale ho quasi un legame sentimentale, fin da ragazzo. Lungo i suoi versanti ho compiuto le mie prime escursioni in solitaria, sono stato centinaia di volte sulla sua sommità, da solo, con amici o con i gruppi, come guida escursionistica. Oggi mi dirigo verso le aree più impervie della montagna, i versanti est, che mettono alla prova anche l'escursionista più esperto. Non ci sono sentieri, il terreno è accidentato, i saliscendi continui, si arranca nei ripidi pendii popolati dalla faggeta antica, sui ghiaioni di pietrisco o saltando da un masso all'altro in distese di enormi  massi, rotolati giù dalle pareti. Esploro creste rocciose nascoste dalla faggeta, rocce fratturate che creano ripidi canaloni. Cerco possibili grotte o inghiottitoi. Un altro mondo esiste, impercettibile e solo immaginabile sotto di noi. Ancora vive sono le leggende delle grotte frequentate dai briganti, con scalini scolpiti nella roccia e fantastici tesori... Scorgo aceri e faggi colossali e piante di svariate specie. Generi, specie, nomi, sembrano perdere d'importanza. Sono categorie pur sempre umane, ciò che si percepisce è una varietà di modi dell'essere, materia animata e inanimata... anzi,   animata un tempo, come le rudiste fossili di milioni di anni fa, delle quali è rimasto il disegno nelle nude roccia calcarea. La fissità e l'isolamento di parti della natura per studiarle è una convenzione umana, una necessità per venire a capo della sua complessità. Ma ogni cosa è parte della Totalità. Una natura selvaggia in lento mutamento, ma stabile nella ciclicità dei suoi ritmi. E' solo la civiltà che stiamo vivendo ad avere spinto l'acceleratore verso la trasformazione e il dominio tecnologico del mondo. Ma non è una questione di uomo contro natura; semmai, essendo noi stessi natura, il nodo da sciogliere è il rapporto che nella nostra società si va instaurando con gli altri esseri viventi, con gli ambienti naturali... in una parola con l'alterità non umana. Nei luoghi selvaggi sembra vigere ancora l'antico ordine naturale, che si rivela al camminatore. La meta non è la cima, ma ascendere al cospetto di magnifici esemplari di pino loricato, che si ergono su pareti strapiombanti, al limitare della faggeta, dove comincia il loro regno. Sono davvero solo? Lungo il percorso, ad ogni passo, si rivela la compagnia di fiori di specie vegetali diverse, i versi degli uccelli sono la colonna sonora della giornata, le lucertole si muovono veloci sui massi illuminati dal sole. Il flusso dei miei pensieri è un tutt'uno con l'azione del mio corpo, e  il corpo è essenzialmente volontà. Come un animale selvatico, arranco lungo i pendii, ascoltando il battito del cuore che accelera ad ogni salita; bisogna coordinare i movimenti sul terreno accidentato, un passo falso e il perfetto funzionamento di quell'ammasso di nervi e ossa che è il mio corpo potrebbe compromettersi. Il rischio di farsi male è un'eventualità sempre possibile, ma l'abitudine, l'esperienza di centinaia di escursioni in ambienti impervi sono alla base della fiducia nelle proprie capacità.  La fiducia è fede e la fede porta al risultato, ovvero, in questo caso, ad adattarsi alle asperità della natura selvaggia. Arrivo su un'altura e si estende un panorama superbo su foreste e montagne: montagne che conosco bene, ma ogni nuovo scorcio  è un punto di vista diverso; siamo  esploratori anche di luoghi a noi familiari. Valicata la linea di cresta, mi porto in ambienti montani più accoglienti. Mi accolgono splendide fioriture di narcisi, viole e margheritine. Superati i pascoli entro nella faggeta. Raccolgo un po' degli spinaci selvatici, porterò a casa non solo fotografie, ma anche qualcosa da mangiare.  Il sentiero in discesa è una comoda traversata nella ormai scura  foresta. La colonna sonora non si ferma, i versi di merli, fringuelli, capinere, luì piccoli mi accompagnano fino alla strada, mentre le luci del crepuscolo illuminano di rosso i tronchi dei faggi...