sabato 27 dicembre 2014

Diario - 27 dicembre 2014

 Loricati nascosti:  nei selvaggi dirupi delle "Timpe 'e Suse"


loricati sulle rocce di "Timpe 'e Suse" - foto by Indio
Ci sono posti che sulle cartine non hanno un nome, ma non per le comunità locali che davano i nomi ad ogni "timpa" o posto del bosco. L'escursione di oggi era diretta all'esplorazione di alcune impervie zone rocciose che avevo potuto osservare da lontano col binocolo, dove avevo notato da anni la presenza di colonie rade di pino loricato.
 Parlando al ritorno con alcuni abitanti di Conocchielle ho potuto scoprire il toponimo originario di questi splendidi "promontori" rocciosi avvolti dalla faggeta, con pareti anche molto ripide. Parto presto da casa dirigendomi all'imbocco delle gole.
 La neve è poca, non più di due-tre centimetri, farinosa e asciutta. La temperatura è gelida, l'aria fredda della forra si sente nel petto. Abbandolo il fondo della gola in un punto salendo la scarpata, per avere nuovi punti di vista da cui osservare la parete della gola opposta.  Il terreno è qui estremamente accidentato e ad un certo punto ritorno nella gola. Ho fretta di arrivare al punto stabilito per iniziare l'esplorazione. Arrivato alla gola prendo la carta e rilevo l'azimut che mi serve con la bussola. Noto faggi e abeti monumentali, uno è alto e slanciato...
  In una faggeta così estesa e selvaggia la cartina è quanto mai opportuna. In questa faggeta, come in una prigione che aveva alberi al posto di sbarre, la gente poteva qui vagare per ore prima di ruscire ad uscire.

Dovrò attraversare la faggeta per arrivare ai rilievi rocciosi e anche in questo caso si marcia all'azimut per non perdere tempo a girovagare nel bosco. Comincio a salire lungo le ripide balconate rocciose e mi porto alla luce del sole, in una zona panoramica ricoperta da ginepri che si affaccia su un timpone, il quale sulla carta non ha nome. Sullo sfondo domina il paesaggio di alte montagne e pareti...
Con la neve farinosa che ricopre i pendii rocciosi devo stare attento a non scivolare. Percorrere posti così, di sicuro è faticoso e non da tutti, anche per la pazienza che richiede un terreno così ripido e accidentato. Proseguo a costeggiare le creste rocciose e intravedo il pino loricato isolato che avevo visto col binocolo, poi attraverso il bosco e mi porto su un picco roccioso popolato dalla colonia di pini loricati. E' inconfondibile la corteccia, che già in questi esemplari è divisa in piccole placche. Alcuni pini di questa colonia sono sottili e slanciati, altri più corti e tozzi. So che più sotto ce ne sono altri  (li ho guardati da lontano) ma è veramente rischioso provare a scendere: il canalone boscoso che costeggia le pareti in fondo è infatti molto ripido. Lo attraverso e mi porto tra saliscendi vari verso una seconda colonia di pino su un altro picco roccioso.



  L'ambiente è davvero selvaggio, mi pare di stare in luogo remoto nonostante non ci siano molti chilometri a separarlo dai centi abitati. Una vera e propria "area wilderness", poco o per niente percorsa dall'uomo.


Ora mi toccherà scendere a valle lungo un ripido canalone che da qui non posso però prendere, perchè c'è un salto di una decina di metri. Così risalgo i pendii portandomi in un punto in cui posso accedere agevolmente al canalone boscoso. Come saprò arrivato a Conocchielle, questo canalone un tempo doveva essere utilizzato anche per far precipitare i tronchi degli alberi tagliati.
 Sopra di me si stagliano bellissime pareti rocciose che qui sono l'habitat sia per il tasso che per il pino loricato. C'è un pino che cresce perpendicolare alla roccia, alto e dritto.



 Non si sprofonda nella neve, ma nell'accumulo di foglie secche: il risultato è che la neve farinosa tra le foglie, come polvere si intrufola a volte nelle scarpe. Avrei dovuto portare le ghette piccole, sarei stato più comodo. Piano piano e facendo attenzione a non scivolare mi porto più a valle, nei pressi di una grande roccia che già avevo avuto modo di vedere tempo fa (nei pressi di questa roccia c'è anche una risorgiva che mi fece notare l'amico Giorgio una volta). Scoprirò dagli abitanti di Conocchielle che tale località si chiama "Capanna di Gaetano" e il toponimo "capanna" sarebbe dovuto proprio alla forma di questa roccia, che evidentemente era usata come riparo da pastori e boscaioli (forse attrezzata in passato con muretti a secco o tronchi).

Adesso mi dirigo verso la strada, passo prima accanto ad un bellissimo laghetto e poi attraverso il torrente. La strada la conosco e mi porterà alla fontana. Così scendo in direzione di Conocchielle, per i pascoli, gustando bacche di rosa canina e ascoltando i tanti merli, che  emettono il classico verso di allarme sentendomi arrivare, svolazzando tra i cespugli.


mercoledì 26 novembre 2014

Diario - 21 novembre 2014

Dalle Gole di Fosso Carceri alla Grande Porta - escursione esplorativa

Gola di Fosso Carceri - foto by Indio

Ero stato un paio di volte a Fosso Carceri, una volta con la neve assieme al mio cane anni fa,  e quando Maurizio mi ha proposto di andare da quelle parti per esplorare la gola fino in alto mi è piaciuta subito l'idea di ritornarci. Risaliamo tutto Fosso Iannace, quasi sempre lungo il letto, anche perché attualmente mancano pezzi di sentiero e parecchi ponticelli son stati travolti dalle piene di giugno. Da lì proseguiamo fino ad incontrare il tratto suggestivo delle gole: l'ambiente è veramente selvaggio, anche perchè qui non esiste nemmeno un sentiero e la gente non viene mai da queste parti.
Ci arrampichiamo sui  massi rocciosi per superare il salto di diversi metri. Un tronco di abete bianco è stato trasportato dall'acqua e giace in mezzo alla gola. Sulle rocce crescono bellissimi esemplari di giovani abeti.

Le temperature oggi sono rigide e nella forra spesso incontriamo tratti di torrente ghiacciato oltre alla brina che avvolge le foglie. Un piccolo ruscelletto scende dalla sponda sinistra ed ha formato le stalattiti di ghiaccio.

Più avanti troviamo le pareti della gola piene di cavità: in questo punto il torrente crea un "meandro" e forse le buche son state create dall'erosione di sassi trasportati dalla furia dell'acqua. Proseguendo si nota l'affioramento di strati rocciosi a "mattoncini", sembrano quasi dei blocchi messi là da qualcuno. Un altro affioramento interessante messo a nudo dal torrente è quello di strati grossolani di calcare e altri sottili di argilla: in gergo geologico si parla di "torbiditi".

Lungo la gola possiamo ammirare delle belle cascatelle. Uno degli obiettivi dell'escursione era scoprire le sorgenti che alimentano Fosso Carceri-Iannace e ne troviamo una: qui l'acqua sgorga proprio dalle cavità della roccia. Questa è sicuramente la sorgente più caratteristiche che incontriamo. L'acqua ogni tanto si perde in alcuni punti che la convogliano sottoterra. Un geologo qui avrebbe pane per i suoi denti...

 Più avanti incontriamo una bellissimo affioramento roccioso, una roccia che io ribattezzo subito "Monolith" ricoperta da Polipodio  (forse australe), una specie di felce di cui noto le spore arancioni nella pagina inferiore. La roccia è un conglomerato, ovvero è originata da detriti che poi si sono cementati; si parla in questo caso di "brecce". Affioramenti del genere sono frequenti nella zona di Iannace.


Se durante le escursioni si osserva l'ambiente tante cose diventano interessanti... ad esempio dei funghetti microscopici che sarebbe carino fotografare in macro. Dopo aver superato le Gole consultando la cartina ci rendiamo conto che in realtà stiamo proseguendo verso la Grande Porta. Infatti il fosso si biforca e la continuazione di Fosso Carceri, come indicato sulla dettagliata cartina 1:10000,  era il piccolo fosso che proveniva sulla destra e che noi non avevamo considerato; seguendolo si arriva  a Piano Cannochiello. Il fosso che stiamo risalendo, dopo avere incrociato il sentiero che va a Iannace conduce invece alla Grande Porta. Alberelli lungo il fossato sono ricoperti di ghiaccio, come una veste invernale che concede un sonno di ibernazione.

 Lungo il percorso notiamo altri punti dove l'acqua sorge e spesso si aprono delle radure nel bosco fitto con begli esemplari di abete. Il fossato diventa sempre più stretto e il bosco più fitto. Particolare è un faggio sradicato e accasciato proprio sul fossato a formare una cascatella. Altro elemento interessante è un faggio secolare enorme piegato sulla sponda sinistra e minacciato dall'erosione... come poggiato su un piedistallo di roccia.



Il fosso comincia a perdere acqua, fino ad esserne vuoto completamente. Il punto in cui finisce sono le radure sotto la Grande Porta... qui notiamo un pino loricato giovane inghiottito dalla faggeta.

L'eplorazione è finita, adesso ci aspetta la discesa fino a Iannace lungo la via classica e poi la scorciatoia nella foresta che ci porterà alla rotonda di F. Iannace.

Indio in "arrampicata"- foto di Maurizio Lo Fiego












giovedì 6 novembre 2014

Diario - 5 novembre 2014

"Io tendo ad avere col mondo un approccio più a livello emotivo e contemplativo... Non cerco di ragionarci su, quanto piuttosto di percepirlo come possono farlo un animale o un bambino, e non un adulto che è in grado di ragionare sulla vita e trarne poi le sue conclusioni".
(Andrej Tarkovskij)
un bellissimo arcobaleno da Serra di Crispo - foto by Indio

Una montagna di colori - Serra di Crispo cresta nord, Timpa del Ladro



L'occasione per ritornare alla Serra di Crispo è venuta proponendo all'amico Maurizio, del mio stesso paese, uno dei miei itinerari preferiti, fatto tante volte sia d'estate sia con la neve, fin da quando avevo vent'anni,  e che tocca i versanti più spettacolari di Sera di Crispo: salita dalla cresta nord e discesa dalla Timpa del Ladro. Percorso ideale in questo periodo, visto che la foresta di faggio-abete bianco mostra dei colori stupendi. Quasi tutto fuori-sentiero e adatto ad escursionisti esperti, questo itinerario rappresenta per me l'immersione nella vera "wilderness" del Pollino, ovvero in quei luoghi poco frequentati e quasi senza nessun segno della presenza dell'uomo.


Dal Piano di San Francesco, con i caratteristici colori d'autunno ci buttiamo nella foresta dopo aver attraversato Canale Cugno dell'Acero. Ho fatto così  tante volte questo percorso nella foresta che non ho bisogno della bussola per orientarmi. D'inverno, quando la foresta è sepolta dalla neve qui  l'atmosfera ti proietta in una dimensione selvaggia, quasi primordiale e anche desolante per il silenzio estremo che vi regna. Troviamo dei bellissimi funghi dell'abete (Lactarius deliciosus), ce ne sono tanti in questo periodo. Si arriva ai pendii rocciosi, segno che il sentiero sotto l'imbocco della cresta nord è vicino. Si sale lentamente, perchè la cresta è ripida; la foresta che ammanta i pendii di Crispo si mostra in tutta la sua estensione. Superato l'intrico della colonia di pioppi tremuli la cresta ridiventa spoglia, poi si arriva a delle alture rocciose, sotto la sommità di Crispo e si riprende il bosco.


Notiamo prima delle fatte che sembrano di cervo (l'animale ha mangiato erba secca, infatti somigliano a quelle della lepre), poi salendo una fatta di lupo inconfondibile, per la grandezza e la presenza di pelo di cinghiale. Si sbuca all'aperto, nei pressi di un' estesa colonia di giovani loricati che fa ben sperare per il futuro della specie.


 Il vento intanto è diventato impetuoso e il tempo sembra stia peggiorando, anche se forse non dovrebbe piovere. Arrivati alle rocce del Giardino degli Dei la sorpresa è grande, soprattutto per chi come Maurizio non aveva visto ancora questi scorci, altri punti di vista rispetto a quelli turistici degli itinerari ufficiali. Anche il pino che si incontra più giù, quello che cresce tra le rocce è ovviamente motivo di meraviglia per chi lo vede la prima volta. Dopo una breve sosta alla cima ci apprestiamo a scendere per la dorsale nor-ovest, caratterizzata da affioramenti monumentali di roccia calcarea, popolati da molti loricati spesso piegati dal vento, con dei tratti occupati da esemplari molto giovani



Ci aggiriamo tra i grandi massi rocciosi per godere di scorci inediti, facendo attenzione a non scivolare e seguiamo sempre il crinale, fino ad incontrare un tratto di bosco intricato. Comincia a piovere, ma dopo una decina di minuti smette. Intanto è comparso un bellissimo arcobaleno. Dopo il tratto di bosco sbuchiamo di nuovo tra le rocce e l'arcobaleno ricompare, ancora più evidente: è ovvio che i popoli antichi abbiano attribuito un significato fortemente simbolico a questo fenomeno naturale; in effetti quello che abbiamo sotto gli occhi pare proprio un ponte che porti direttamente su una nuvola... Ci aspetta un'altra colonia di maestosi loricati, circondata dalla faggeta, poi devieremo a sinistra nel vallone boscoso.


Voglio mostrare a Maurizio una grotta profonda una decina di metri, purtroppo tappata. Il discorso cade sulla grotta del brigante Franco, che si troverebbe nei dintorni di Serra di Crispo. Quella della grotta del tesoro di Franco è una vera e propria leggenda e non si sa se esista o meno (più probabile che non esista); il tesoro consiterebbe in una chiocciola con dodici pulcini, tutta d'oro. Come ho avuto modo di notare, è una credenza ancora diffusa tra la gente del Pollino, soprattutto tra gli anziani. Scendiamo verso Timpa del Ladro e qui si offre ai nostri occhi un altro scorcio spettacolare. Si nota un giovane abete bianco con i rametti che crescono tutti nella direzione dei venti, verso est; poi si va in direzione del sentiero Rueping, in una zona aperta, caratterizzata da una bella varietà botanica di sorbi montani, sorbo degli uccellatori, acero di monte, maggiogiondolo ecc.

 E così si arriva al Piano di Iannace, per poi seguire un sentiero che si sta chiudendo, invaso da giovani abeti e che conduce al Piano di San Francesco. Da queste parti troviamo una quantità enorme di funghi abetini. Girando nella foresta se ne troverebbero quintali. Ne raccolgo un po', sono tra i miei funghi preferiti: mangiandoli si sente il gusto e l' "aroma" della foresta. Arrivando al Canale Cugno dell'Acero concludiamo questo bell'anello nella natura più integra del Pollino lucano. L'ultima tappa è la fonte di San Francesco, che Maurizio non conosceva. E' nascosta nel bosco e un rivoletto d'acqua qui non manca mai per chi si appresta ad attraversare la foresta. Giornate come queste risvegliano l'istinto vagabondo... La tentazione di vagare per giorni nella foresta,  avendo null'altro che uno zaino sulle spalle e un letto fatto di foglie secche, mentre i "fratelli della notte" vagano negli anfratti sperduti...

Indio - foto di Maurizio Lofiego



martedì 4 novembre 2014

Diario - 2 novembre 2014

Monte Pollino da nord-est a nord-ovest


 "Si può dire che dopo un lungo processo storico, siamo arrivati nella nostra civiltà ad un punto di terribile conflitto all'interno dell'uomo, perchè c'è un enorme dislivello fra quello che è il progresso scientifico, e quindi tecnologico, e quello spirituale dell'uomo. E noi continuiamo ancora ad aumentare questo dislivello... motivo principale dell'attuale drammatica situazione." 
(Andreij Tarkovskij)

In salita verso la cima, Monte Pollino versante nord - foto by Indio

Era da un po' di  tempo che l'amico Quirino (per chi non lo sapesse guida ufficiale del Parco, suonatore e costruttore di strumenti musicali tradizionali) mi  aveva proposto un giro sul Monte Pollino fuori sentiero, e la bella giornata del 2 è stata l'occasione per ritrovarsi e andare. Questo è sempre un bel periodo per le escursioni. Posti che conosciamo benissimo, con i colori e la luce tersa dell'autunno acquistano un'atmosfera unica. Vado dicendo da un po'  che le mie stagioni preferite sono tutte tranne l'estate, anche se i ritmi della vita moderna impongono alla maggioranza delle persone di concentrare nelle ferie estive le proprie attività di tempo libero: concetto moderno diverso dal tempo della natura, un tempo senza contraddizioni, legato alle sagioni, che imperturbabilmente ritornano a simboleggiare la ciclicità delle cose, la loro fine e l'eterno ritorno.


Dobbiamo raggiungere il crinale, che prima è boscoso e poi spoglio. Ormai apprezzo sempre di più i percorsi come questo, fuori sentiero; sia perchè sono più impegnativi e "sfiziosi" per escursionsiti navigati come noi, e sia per gli scorci selvaggi che offrono, essendo impervi e pochissimo frequentati. Chiacchierando del più e del meno (soprattutto del meno!) procediamo velocemente in salita.

Quando si è in compagnia è vero, il tempo passa velocemente. Sbuchiamo nei pressi di alcuni loricati secchi. Le colonie di loricati del versante nord del Monte Pollino   sono rade ma suggestive, con gli esemplari vegeti che sopravvivono sulle rocce e gli scheletri lì rimasti a testimoniare la vita del passato... Sotto di noi le lontane distese dei Piani di Pollino appaiono desolate, non essendoci l'ombra di una mucca o di un cavallo. A destra appare in tutta la sua magnificenza la Grande Frana. Noto uno stormo di uccellini grigi che non riesco subito ad identificare. Somigliano ai codirossi. Consulto il manuale a casa, di ritorno dall'escursione,   l'uccello che più somiglia a quelli che ho visto è il "passero solitario", poi chiedendo pareri posso affermare che potrebbero essere delle cesene, specie che popola le alte zone montuose. Giornata ottima per fotografare, con la luce brillante che dà risalto ai contrastanti colori.


 Arriviamo alle rocce in alto, in ombra, spolverate del nevischio delle scorse precipitazioni  e di galaverna. Quirino avanza davanti a me, lo fotografo, è diventato piccolo, sul canalino imbiancato... Le pareti di roccia sono qui spioventi e lisce. La cima non è lontana.

Il percorso della discesa si snoda su un altro versante spettacolare, il crinale nord-ovest, che ho fatto già parecchie volte. Si passa anche vicino all'uscita del canale sud-ovest, percorso ideale da fare con ramponi e piccozza d'inverno.



 Questa dorsale è caratterizzata da un'altra bella colonia di loricati, tra il crinale e i ghiaioni della spalla ovest. Sulla chioma di un pino noto una bella cincia bigia, che avvisto sempre in montagna ma mai nelle basse quote. Due pini risaltano in particolare: io li chiamo "i gemelli", alti e dritti...



Arrivati giù tra i loricati notiamo la presenza di due scoiattoli meridionali(Sciurus vulgaris medionalis). Ci guardano dall'alto allarmati dalla nostra presenza. Cerco di fotografarli ma sono velocissimi, vanno avanti e indietro e saltano da un ramo all'altro. Uno poi scende dall'albero e si aggira tra i massi rocciosi. Ce ne andiamo, anche perchè gli abbiamo già abbastanza rotto le scatole.


Adesso dobbiamo incrociare il sentiero che va a Gaudolino, mantenendoci sul crinale boscoso,  e si va dritti attraverso la faggeta; all'inizio è intricata ma si apre subito dopo. E poi si arriva al sentiero che porta a Gaudolino. Avvistiamo un altro scoiattolo su un faggio secolare  e intravediamo anche il suo nido caratteristico:  un mucchio di ramoscelli intrecciati, dove all'interno c'è la sua tana.

A Gaudolino c'è legna tagliata, piste di esbosco riaperte, la stradina rovinata da camion e fuoristrada... Il Pollino purtroppo non è dappertutto un'isola felice di wilderness. Ma questo è un discorso esterno a questo blog, dedicato alla bellezza selvaggia della natura... dove ovviamente ancora resiste. La bellezza salverà il mondo, diceva Dostojevskij. La bellezza ha una forte carica morale ed è fonte dell'arricchimento spirituale dell'uomo, soprattutto in tempi in cui altri sono i valori a cui l'uomo è sottomesso...