domenica 18 luglio 2010

Tramonto - Dal Monte Amaro

martedì 13 luglio 2010

Diario - 10 - 11 luglio 2010


il buon Vincenzo A. lontano sulla sinistra,  mentre scendiamo dalla cima del Monte Amaro, tra i bagliori rossastri dell'alba - foto by Indio - sotto: 1. il bellissimo sentiero che attraversa Femmina Morta per poi inerpicarsi sulla cima del Monta Amaro, visibile sullo sfondo 2. l'altopiano "desertico" che si incontra prima di Grotta Canosa, popolato solo da basse formazioni di "sirene acaula" 3. veduta dell'altopiano di Femmina Morta 4. lo strano muschio della "sirene acaula" vista da vicino, puntellata di fiori 5. veduta del Gran Sasso, dalla sommità del Monte Amaro 6. le aspre e desolate montagne del versante nord-est della Maiella 6. il selvaggio Vallone di Macchia Lunga e più indietro il Vallone di Santo Spirito 7. uno strano effetto di luce: l'ombra di una piramide fantasma sembra affacciarsi sulla terra 8. sulla cima, con altri escursionisti, avvolti dalla luce rossa del tramonto. 9. aurora boreale 10. verso il ritorno, riattraversando l'Altare dello Stincone alla luce rossa dell'alba, mentre il sole comincia a riscaldare i nostri corpi intorpiditi dal freddo della cima. 11. veduta d'insieme: la vista spazia dal gruppo di Acquaviva, Vallone di Santo Spirito, Altopiano dello Stincone, Vallone di Femmina Morta

"questo è un buon rifugio in campo aspro,
scosceso eroso ed addolcito
d’acqua e vento
bastione naturale
in prospettiva ariosa"
(Giovanni Lindo Ferretti - Cronaca montana)

Al cospetto della “Grande Madre” - Montagna della Maiella: da Fonte dell’Orso alla cima del Monte Amaro

La vetta del Monte Amaro, l'altopiano di Femmina Morte e tutte le bellezze della Maiella, di questa montagna così austera e maestosa, ci aspettavano da tempo. Stavolta siamo solo io e l’amico Vincenzo A. dopo aver organizzato un po’ frettolosamente e all'ultimo momento l’uscita. Il nostro percorso inizia nei pressi di Fonte Romana, poco dopo il paese di Campo di Giove, tra gli ampi e boscosi pianori ai piedi del grande “bastione naturale”. Da lì seguiamo il sentiero che ci porterà a Fonte dell'Orso, una bella e caratteristica sorgente dall'acqua ghiacciata e limpidissima. Eravamo già stati qui un anno fa e adesso non possiamo sbagliarci. Attraversiamo così la faggeta. Lungo la strada incontriamo un cervone, uno dei serpenti più grossi dell’Appennino A Fonte dell'Orso ci stendiamo per terra e ci riposiamo. Non abbiamo nessuna fretta e vogliamo prendercela comoda. Stanotte dormiremo a 2800 metri e perciò abbiamo tutto la giornata a disposizione.
Osserviamo il canalone risalito un anno fa, assieme a Luigi e Vincenzo T., quando sbagliammo strada e ci ritrovammo a dover superare anche una cascata, arrampicandoci su un costone roccioso... Fu una bella faticaccia! Stavolta invece possiamo seguire il bellissimo sentiero che ci porterà a Forchetta di Maiella, sgombro finalmente dalle nevi, che resistono fino a giugno. Il tratto che va da Fonte dell'Orso alla Forchetta rappresenta la parte più impegnativa dell'escursione, visto il notevole dislivello. Il sentiero è tracciato bene anche se scomodo perchè serpeggia tra i ghiaioni scivolosi della montagna. Questa montagna inganna sulle distanze: a prima occhiata un certo punto appare relativamente vicino, ma poi ci si accorge subito che non è così. I pascoli d'alta quota sono un'esplosione di fioriture montane. Forse quello di luglio è proprio il periodo migliore per visitare questa montagna, infatti a queste alte quote la primavera si attarda e i fiori hanno cominciato a sbocciare da poco.
Se verrete qui a maggio troverete ancora una montagna sepolta dalla neve, perciò dall’aria ancora più spoglia e desolata. Ed eccoci a Forchetta di Maiella. Abbiamo superato la fase più impegnativa dell'escursione e adesso ci incamminiamo verso la sterminata Valle di Femmina Morta, che ci condurrà verso la cima. Ci riposiamo e mangiamo qualcosa: principalmente scatolame, visto che le scatolette sono ideali per i trekking così lunghi. Vincenzo ha portato con sé le mitiche scatolette di THONNO e la sua immancabile scatola di piselli. Ho lo zaino piccolo, quello grande ce l’ho GIU’(ormai questo giù è diventato un tormentone, perché spesso ci manca molta attrezzatura che lasciamo a “riposarsi” sul Pollino). Per lo stesso motivo non ho portato né sacco a pelo e né materassino. Mi arrangerò. Di sicuro siamo in estate e non dovrei congelare…! L’acqua non deve mancare mai nello zaino.. perché ad alta quota sulla Maiella, non esistono sorgenti.
Le scarpe della Scarpa sarebbero l’ideale ma anche le Marrel leggere che ho ai piedi fanno il loro dovere. Immancabili le giacche al vento a queste alte quote percorse da venti impetuosi. Ci avviamo attraversando l’estesa pianura glaciale, che si estende subito dopo la forchetta, dirigendoci verso il crinale del Macellaro. Ancora resistono dei nevai ghiacciati. I fiori adesso crescono isolati, sull’arido terreno, tra le pietruzze. Noto con meraviglia una specie di muschio che ricopre alcune pietre e si riempie di fiorellini rosa, alcuni sbocciati e altri a forma di spillo. Si tratta, come saprò dopo, della "sirene acaula". Ogni tanto porto a casa qualche piccola pianta grassa per poterla trapiantare, ma solo se ne esistono in abbondanza. Raccogliere queste rarità floristiche mi sembra invece davvero un sacrilegio. Le molte specie floristiche sono, da quello che ho potuto leggere sulla Maiella, relitti glaciali, alcune di origine orientale, piante che crescono in condizioni proibitive e che presentano un ciclo stagionale molto breve per il prolungato periodo di innevamento.
Anche due profani come noi, che sanno individuare tutt'al più una primula o un ciclamino, capiscono che il microcosmo floreale che popola questo desolato altipiano è di eccezionale valore, scientifico, paesaggistico... e perchè no, anche "emozionale". Quanto alla fauna, come saprò in seguito, su questi altipiani, tra le pietraie, nidifica un uccello rarissimo, il piviere tortolino, simile ad un beccaccino. La ricchezza di biodiversità di flora e fauna sulla Maiella è enorme...
Continuiamo a costeggiare il versante del Monte Macellaro e ci portiamo verso Femmina Morta, un altopiano carsico simile ad una valle, che si estende con la sua desolazione fino alla base della lontana e massiccia cima del Monte Amaro, che finalmente si staglia all'orizzonte. E' il tipico ambiente carsico, caratterizzato da inghiottitoi e doline. Noto che un nevaio lontano ha originato un piccolo laghetto. Al centro della valle il terreno è meno arido e l'erbetta disegna delle enormi linee verdeggianiti. Il sentiero adesso costeggia l'altipiano portandosi sul lato del Macellaro, lungo un costone roccioso. Superata la cresta del Macellaro ecco che la vista spazia su un altopiano arido e sterminato, quasi lunare. Siamo nei pressi dell'Altare dello Stincone, il luogo che più di tiutti mi ha affascinato. Dico a Vincenzo che sembra quasi di stare in una remota regione desertica dell'Asia. Lontane a nord -est alcune montagne tondeggianti, a forma di cupola. Verso sudest altri versanti aridi, bastioni rocciosi bucherellati da grotte. Forse antichi eremi in cui vissero uomini enigmatici che qui, in queste lande così inospitali, trovarono l'ispirazione spirituale che diede senso alla loro vita. Non un filo d'erba crescerà là: il colore è quello della sabbia del deserto. Siamo quasi al tramonto e queste spoglie montagne brillano della tersa luce crepuscolare.
Fotografo dei massi rocciosi tondeggianti come uova di dinosauro. Alcune parole cercano di corrispondere il mio stato di sereno turbamento interiore... e invadono i miei pensieri: "PRIMORDIALE", "INDIFFERENZA" "DESOLAZIONE" "STEPPE DELL’ ASIA". Più in là arriviamo nei pressi di Grotta Canosa e il sentiero adesso supera alcune rocce per portarsi lungo la cresta che ci condurrà in cima. In questa fase dell'escursione, lungo il sentiero, sono rapito dall'estasi del tramonto che mi fa correre e saltellare tra le rocce cercando di catturare con la mia macchina quante più immagini possibili. A ovest la linea della cresta allungata che delimita Femmina Morta lascia spazio ad altre linee ancora, altre catene di monti, sconosciute a noi, che si allontanano nell'evanescenza azzurra dell’ ultimo orizzonte. A nord-ovest la cima del Gran Sasso spunta lontana come un enorme molare di roccia, attorniata dalle altre vette del massiccio. Vincenzo mi precede e inizia a salire il crestone che ci condurrà in cima.
Gli orizzonti cominciano ad aprirsi. Un'altra visione spettacolare di natura aspra e selvaggia: lontano c'è un'enorme fenditura tra le montagne: si tratta, come saprò dopo, del Vallone di Macchia Lunga e del Vallone di Santo Spirito. L’aria è limpida e si vede il lontano mare. Vincenzo riesce ad individuare persino il Gargano. E mentre la luce si fa sempre più tersa eccoci finalmente arrivati al bivacco Pelino, in cui soggiorneremo stanotte. A parte la vista che si può godere da qui, la cima del Monte Amaro è forse il luogo più brutto della Maiella, per come è stato deturpato: a parte il bruttissimo bivacco pelino, voluto dal CAI, che si presenta come un enorme igloo di ferro arrugginito (sorge accanto a dei ruderi di quello che probabilmente era il vecchio rifugio) una grossa traversa di ferro segnala la cima (il mucchietto di sassi non bastava?); poco più sotto è stata installata invece una enorme croce di ferro, quasi a volere esorcizzare un’infantile paura dei luoghi selvaggi, affinchè il dio cattolico ci protegga e vegli su di noi anche su queste aspre montagne; e poi una grande targa di ferro che ricorda con frasi del tutto gratuite che bisogna rispettare e amare la montagna (meno male!); e altra ferraglia di cui non ho capito la funzione.
 Un posto bellissimo, la cima, deturpato da quella mentalità di conquista e addomesticamento a fini turistico-sportivi della montagna che purtroppo ha caratterizzato (e caratterizza), mi dispiace dirlo, le politiche di certe sezioni del Club Alpino Italiano. Non parliamo poi delle segnalazioni fatte male e inopportune lungo il sentiero (massi e pietre imbrattate da vernice giallo-rossa e inutilmente, visto che la traccia è ben visibile) o i "coni di cemento" portati fin quassù chissà quando e mai rimossi (su quell’altopiano desertico sembravano davvero i marziani di.. Fascisti su Marte!!!). Sarebbe opportuno aprire un dibattito, in quella che risulta  l’associazione escursionistica più importante in Italia, sull’opportunità di considerare maggiormente il valore wilderness delle nostre montagne lasciandole libere dall’impatto di opere come strade, nuovi rifugi, funivie, ipersegnalazione e altra ferraglia. Se all'inefficienza degli enti dei parchi nazionali ci aggiungiamo anche le leggerezze delle associazioni escursionistiche allora le cose non andranno bene. Al bivacco incontriamo altri escursionisti.
Entro dentro e due di loro dicono di conoscermi: sono due pugliesi del soccorso alpino amanti del Pollino. Ci incontrammo l’anno scorso a Colle Impiso, loro aspettavano due amici sciatori e furono molto gentili nel farmi telefonare alla mia famiglia dopo un’escursione con le ciaspole (era tardi e il mio telefono s’era scaricato).
 Come si dice… il mondo è piccolo, forse soprattutto quello dei sinceri appassionati di montagna! Dalla cima si gode un panorama spettacolare. Il massiccio del Gran Sasso al tramonto è una visione superba. I due pugliesi invece mi fanno notare il caratteristico fenomeno del “cono di luce”: dalla cima sembra proiettarsi un’ombra a forma di piramide la cui cima va a toccare l’estremo orizzonte… un effetto di luce stupendo e per me inedito. E’ ora di sistemarsi nel bivacco. Siamo una decina di persone, tutte tranquille e adulte e dovremmo trovarci bene. Ma altra gente sta arrivando. Sono una comitiva di ventenni, ragazzi e ragazze. Io e Vinc stiamo  a ridosso dell’igloo a mangiare e due di loro sono alla disperata ricerca di linee telefoniche. “Prova sulla cima” dico ad uno… Stanotte dovremo dormire in trenta in un posto molto stretto. Rimpiangiamo l’idea di non aver portato la tenda. La mia tentazione adesso è quella di trovare una grotta e passare lì la notte… Se almeno avessi il sacco a pelo dormirei fuori… Vabbè, ci adatteremo. I “letti” sono composti da tavoloni disposti a castello. La comitiva dei “guagliuni” festeggia anche un compleanno. Cominciano a sfoderare dai loro zaini pietanze che appaiono inverosimili su una cima di 2800 metri, degne di un pranzo di ferragosto: vino, pasta al forno, crostate, melenzane grigliate, persino una bottiglia di wiskhy. La caciara che fanno è assordante e l’alcol di certo aumenta il livello dei decibel della loro voce. Penso che almeno nei rifugi storici delle Alpi sia raro assistere a casini del genere…
 Uno se ne va in montagna per lasciarsi alle spalle  il  chiasso cittadino e se lo ritrova sulla cima di una montagna così selvaggia… Sono giovani comunque, e un po’ bisogna capirli, “i guagliuni”, anche se le montagne non sono il luogo ideale per festeggiare i compleanni...  Alla fine della festa i “guagliuni” si sistemano per terra e riescono a stare finalmente zitti. Ho portato i tappi auricolari e almeno questo mi consentirà di prendere un po’ di sonno. Durante la notte il freddo si fa sentire, anche perché oltre a non avere il sacco a pelo la porta del rifugio è scassata… ma ti sopporto, fratello freddo. Dopo il caldo metropolitano ti accolgo volentieri! In questi casi, l’unica soluzione è dormire con le braccia conserte, così da scaldare un po’ il petto e soffrire di meno. Di tanto in tanto mi sveglio. Il vento fuori soffia impetuoso e dagli oblò posso notare come l’alba sia ancora lontana. Alla fine siamo svegliati dalla suoneria di un tipo (e non è un guaglione) che si mette poi a schiamazzare e scherzare svegliando tutti. No… non fanno per me i rifugi. Esco fuori a fotografare l’alba. L’aria è gelida, anche perché il vento soffia fortissimo. Proprio un bel posto per erigere un bivacco! Con Vincenzo decidiamo di sgomberare il campo prima del previsto, visto che il rifugio è così affollato. I due pugliesi dormono e non li possiamo salutare. Se doveste leggere questo post vi saluto da qui, virtualmente.
Volevamo fare la direttissima in discesa, dal versante nord, ma alcuni escursionisti ce l’hanno sconsigliata perché troppo ripida e per le pietraie scivolose. Faremo il percorso dell’andata, in tutta tranquillità. Ci mettiamo in cammino prima delle sei. E’ l’alba e ci aspetta un nuovo spettacolo. Non poteva andarci meglio, l’escursione. Abbiamo percorso i posti più suggestivi nelle ore dell’alba e del tramonto… Vincenzo A. mi precede mentre sono intento a fotografare. Adesso è un puntino nella vastità rossastra dell’altopiano alle prime luci dell’alba, mentre l’orizzonte è colorato dal blu della terra, che disegna una linea retta sullo sfondo arancio del cielo. Guardando verso Grotta Canosa, una grotta naturale con dei muretti di sassi eretti là da chissà chi , vediamo spuntare una testolina umana: qualcuno ha fatto propria la mia idea di trascorrere la notte in una grotta! Mentre il sole si alza la temperatura aumenta e ci dobbiamo progressivamente spogliare: prima leviamo il pile, poi la giacca a vento. Lo sbalzo termico di questa giornata ce lo ricorderemo: dai probabili cinque gradi della cima alle sei del mattino, ai trentacinque della Capitale, in cui ritorneremo questo pomeriggio! Durante la discesa abbiamo fatto un avvistamento, nella faggeta, poco dopo Fonte dell’Orso: una gigantesca vipera (forse la vipera dell’Orsini?) che se ne stava ferma e tranquilla sotto un faggio e ci guardava con curiosità: "chi saranno questi qui, che vogliono, perchè mi osservano? mi metto in guardia... ma non sembrano pericolosi..."


venerdì 2 luglio 2010

Cambio di stagione

Sfogliando il mio archivio ho notato di aver fatto praticamente la stessa foto di un pino loricato in due momenti completamente diversi (dicembre, aprile) Nella prima foto il pino è coperto di ghiaccio ed ha sullo sfondo la nebbia calante, nella seconda il pino è illuminato dal sole e si vede l'ultima neve della primavera. Un bel contrasto, non vi pare?