mercoledì 26 marzo 2008

Il tesoro nascosto sul Monte Cerviero

di Vincenzo Aiello
Dal versante meridionale del Monte Cerviero la diga di Mormanno e l' Orsomarso

La mattina di Pasqua sono salito per la prima volta sulla vetta del Monte Cerviero, una montagna del Pollino poco conosciuta e poco considerata come meta di escursioni che tuttavia ha sempre avuto per me una forte carica simbolica.

Infatti il monte Cerviero sovrasta la casa dei miei nonni materni che vivevano in contrada Fratta a Rotonda ed i suoi boscosi pendii che cambiavano aspetto con il succedersi delle stagioni erano il luogo mitico in cui ambientare le mie fantasie infantili piene di avventure ed incontri magici.

Il contesto nel quale il monte Cerviero veniva evocato nei discorsi dei miei nonni contribuiva ad ammantarlo di una carica di mistero: la mia bisnonna mi raccontava di fugaci avvistamenti di diabolici lupi dagli sguardi famelici che scacciati dai pastori della Valle si rifugiavano sul monte Cerviero pronti a sferrare d'improvviso micidiali agguati. Mia nonna Teresa ne scrutava con sguardo grave la mole imponente alla ricerca di quei segnali che per il suo occhio esperto erano presagi dell'incipiente Inverno o preludevano alla verdeggiante Primavera. Per lei il monte Cerviero era un vero e proprio "barometro" naturale: "Il tempo è cambiato: è scesa la neve sul Monte Cerviero!" : significava che era giunto il momento di conservare le ultime provviste dell'orto e tirare fuori dall' armadio coperte e cappotti...

...A Ovest Coppola di Paola e Serra del Prete...

La strada forestale che si trova di fronte al fortino di Campotenese, nei pressi della chiesetta, porta fino alla vetta attraversando un bosco misto di faggi e pini neri. Purtroppo numerosi sono i segni dell' inciviltà lasciati dal passaggio di sconsiderati amanti del picnic...chi dovrebbe rimuoverli? E perchè non lo fà? Domande assillanti che rimarranno senz'altro senza risposta...

L'ascesa alla vetta per fortuna non riserva solo brutte sorprese: qui e là nel bosco sono visibili spiazzi in cui i carbonai preparavano la carbonella e tra la vegetazione si scorgono i resti di suggestivi ricoveri costruiti con grosse pietre dai pastori.

Giungendo in prossimità della vetta (tralasciando per amor di Patria di descrivere una patetica staccionata fatta di rottami, non proprio a prova di male intenzionati che sbarra ad un certo punto la strada, perchè?) fà capolino una selva di antenne e ripetitori arrugginiti, dall'aspetto vagamente post-atomico.

E' dunque questo il bosco incantato della mia infanzia? Quando lo scoramento sembra prendere il sopravvento ecco la vetta con il suo tesoro nascosto: l'eccezionale panorama!

Il mio sguardo spazia libero su un'aria vastissima: di fronte a me, a Nord il bellissimo colpo d'occhio su tutta la valle del Mercure: da Viggianello a Laino passando per Castelluccio Inferiore e Superiore e Rotonda.

Dal lato opposto verso Sud la diga di contrada Pantano di Mormanno e più lontane le cime innevate dei Monti dell'Orsomarso.

A Ovest la coppola di Paola e le pendici di Serra del Prete che s'intravedono tra le nubi mentre a Est in fondo ai brulli monti di questo versante calabrese fà capolino intensamente azzuro il Mar Tirreno

....A Est il Mar Tirreno

Niente male come ricompensa per una passegiata durata in tutto poco più di un' ora! Tutto sommato non mi ero sbagliato: c' era davvero qualcosa di magico sul Monte Cerviero.

WERNER.

.

mercoledì 19 marzo 2008

Diario 17 - 18 marzo 2008

"... ma la crescita è vita, e la vita è destinata a cercare sempre la luce..."
Jack London
piccolo lago nella foresta - foto by Indio
La foresta dei lupi

L’escursione di questi due giorni, compiuta assieme all’amico Vincenzo, ha avuto come obiettivo principale l’attraversamento dell’estesa e selvaggia foresta della Fagosa. Mio padre dice che in passato era considerata una foresta infestata dai lupi...

L’itinerario è iniziato dal sentiero che passa per Lago Duglia, nel bosco Cugno dell’Acero, portando ad un altro posto spettacolare del Pollino, Pietra Castello, dall’aria misteriosa e quasi “mistica”, chiamata così perché ricorda un castello scolpito nella roccia, che si erge solitario dominando la foresta sottostante. In questo posto convivono fianco a fianco faggi, stupendi esemplari di pino loricato aggrappati alla roccia e giovani piante di abete bianco. La neve già qui è alta e indossiamo subito le nostre racchette da neve. Il sentiero, sommerso dalla neve e la cui traccia è appena percettibile, scende direttamente in direzione della Fagosa. Da questo momento impiegheremo circa otto ore di marcia ininterrotta nell’attraversare solo la metà dell’immensa foresta per arrivare al Piano di Acquafredda, dove siamo intenzionati ad accamparci per la notte. La foresta infatti continua ancora ammantando i pendii della Manfriana e della Timpa del Principe. l terreno è ancora pianeggiante e procediamo abbastanza comodamente nella neve. La debole traccia ad un certo punto si biforca: dov’è segnalato, il sentiero sale alla Grande porta del Pollino; a sinistra si va invece verso Casino Toscano. Per orientarci non abbiamo altro punto di riferimento che gli inquietanti bastioni rocciosi del versante sud di Serra delle Ciavole, abbastanza visibili dal bosco spoglio, i quali appunto costeggeremo senza percorso obbligato nella direzione di Acquafredda. Arriviamo dopo un po’ a Casino Toscano, un vecchio ma solido casolare che sorge solitario in mezzo alla foresta; esso prende il nome dalla famiglia di latifondisti, i Toscano appunto, che possedevano gran parte dei pascoli e dei boschi di alta montagna del Pollino. La porta è aperta e il vento sbatte le piccole finestre di legno... c’è quasi un’atmosfera spettrale! In caso di necessità comunque lo si potrebbe utilizzare come un ottimo rifugio. Da Casino Toscano ci inoltriamo di nuovo nella foresta cercando di mantenerci vicini ai pendii di Serra delle Ciavole; evitando quindi di scendere troppo in basso. La foresta offre scorci indimenticabili: remoti luoghi dove regna la solitudine della vita selvaggia… Ciò che salta agli occhi particolarmente sono i laghetti che di tanto in tanto incontriamo durante il percorso, uno di essi coperto da uno strato di ghiaccio, e i ruscelli ingrossati dalla neve che ormai comincia a sciogliersi anche ad alta quota. Notiamo nella neve le tracce evidenti di quello che dev’essere un grosso lupo maschio… In alcune zone della foresta non c’è neve, in altre c’è ed è pure alta, per questo dobbiamo toglierci e rimetterci parecchie volte le racchette. Procedendo sempre in diagonale dobbiamo adesso affrontare i ripidi pendii della dorsale più bassa di Serra delle Ciavole, quella che degrada nel bosco. Stamane il tempo era ventoso ma c’era il sole. Verso le cinque invece Il tempo è peggiorato e si addensano nubi minacciose, mentre il vento soffia sopra di noi incessantemente. Arriviamo alfine sul crinale boscoso di Serra delle Ciavole superandolo, passando vicino ad un maestoso esemplare di pino loricato. Sotto di noi si espande il piano di Acquafredda, posto proprio sotto la vetta del Dolcedorme. Tutto il pianoro è percorso da un vento furioso e le nubi corrono velocemente sfiorando la cima del Dolcedorme. Noto uno scoiattolo aggrappato ad un faggio scosso dal vento... penso a come una piccola forma di vita possa resistere qui, anche in queste condizioni. Dobbiamo assolutamente trovare un posto dove poter montare la tenda, che stia il più possibile al riparo dal vento. Decidiamo di accamparci vicino alla sorgente di Acquafredda, in uno spiazzo non coperto dalla neve; si trova nella zona bassa del piano ed è vicino ai primi faggi del bosco, i quali arrestano un po’ il vento. Volevamo fare un fuoco, con l’idea magari di stare attorno ad esso per qualche ora, rimanendo a chiacchierare; ma la natura spazza via le nostre fantasie… Verso le sei di sera si scatena una bufera di nevischio che ci costringe obbligatoriamente ad entrare in tenda. Non possiamo far altro che restare all’interno della tenda, fino al mattino. I piedi sono umidi e gelati e dobbiamo frizionarli un po’. Ci mettiamo subito nel sacco a pelo e poi mangiamo qualcosa di sostanzioso. Non sono preoccupato tanto dalla bufera ma dal fatto che i miei familiari stiano in apprensione per me. Riusciamo fortunatamente a trovare un po’ di linea per telefonare a casa e tranquillizzare le nostre famiglie. Mia sorella dice che al paese piove abbastanza forte. Laggiù piove e qui, a 1800 metri, nevica… ovvio. Ci sdraiamo subito con l’intenzione che ci venga un po’ di sonno. Non riusciamo a pensare ad un altro modo per trascorrere le dodici ore (forzate) in tenda che ci attendono. Riesco a dormire, anche se il vento impetuoso scuote la tenda e mi sveglia di tanto in tanto. Il terreno è duro e devo rigirarmi parecchie volte per trovare una posizione decente. Ma in fondo si sta bene e al caldo. Basta una tenda, un buon sacco a pelo e un po’ di esperienza per affrontare d’inverno anche le situazioni più svantaggiose. E’ in queste situazioni che la natura mostra tutta la sua potenza e la sua grandiosità; ed è in queste situazioni che possiamo esprimere le nostre migliori energie fisiche e psichiche… A notte inoltrata ho come la sensazione che un animale stia camminando sopra la tenda… sono degli accumuli di neve sulla tenda, che formano delle protuberanze e vengono mosse dal vento. La bufera cesserà alle sei di mattina. Il vento ci dà il suo buongiorno scoperchiando definitivamente il telo esterno della tenda! Meno male che è successo adesso… E’ ora di vestirsi ed uscire fuori. Non c’è più il nevischio ma il vento è ancora impetuoso. Smontiamo velocemente la tenda e ci avviamo per la strada del ritorno. In progetto c’era anche la scalata fino al Dolcedorme, ma visto che il tempo è brutto dobbiamo rinunciare. La cima del Dolcedorme è avvolta dalla nebbia e percorsa dalla violenza del vento, che spinge velocemente la catena di nubi verso sud - est. Per terra ci sono un paio di centrimetri di neve fresca. Il manto nevoso è ghiacciato e si marcia comodamente. Il tempo comincia a migliorare via via che ci lasciamo alle spalle il Piano di Acquafredda. Prendiamo il sentiero che va verso i vicini Piani di Pollino, passando accanto a secolari esemplari di faggio. I pini loricati e le rocce di Serra delle Ciavole soprastanti sono spruzzati di nevischio. I Piani di Pollino sono illuminati dalle prime luci del sole, che ha cominciato a spuntare… davanti a noi c’è un’estesa distesa piatta di neve ghiacciata, coperta da un piccolo strato di neve fresca, caduta questa notte; il vento, che anche qui soffia molto forte, la smuove ed essa sembra volare sul manto ghiacciato, un po’ come la sabbia del deserto. E’ una vera meraviglia… Risaliamo i Piani di Pollino costeggiando sempre Serra delle Ciavole. Alla fine il nostro percorso risulterà un anello attorno alle due maestose montagne di Serra di Crispo e delle Ciavole. Raggiungiamo alfine la Grande Porta e il sentiero che ci porterà a Piano Iannace, da dove scenderemo nell’altra estesa foresta del bosco Iannace – Cugno dell’Acero, proseguendo poi verso il Piano di San Francesco e ad Acqua Tremola…

martedì 4 marzo 2008

Primi incontri con la montagna

il Monte Pelato - foto by Indio
Cominciai le mie prime escursioni verso i quattordici anni. Le montagne che si vedono da casa mia sembravano misteriose, selvagge ed estremamente lontane. Rappresentavano per me una sorta di regno dell'ignoto. I pini loricati delle cartoline di Giorgio Braschi era come se appartenessero ad un altro pianeta. Già da allora cominciavo ad avventurarmi da solo per i sentieri e i boschi più vicini. La mia prima vetta fu il Monte Pelato. E’ una piccola e caratteristica montagna spoglia (da qui il nome Pelato), che si erge solitaria dai pascoli e dai boschi circostanti. E’ costituito da roccia lavica ed èper questo motivo che non vi cresce quasi nessun albero. Ero affascinato dalla sua aria aspra e desolata, così un bel giorno partii da solo percorrendo i sentieri dei pastori, in una zona di pascolo percorsa da profondi fossati, con arbusti e piante di faggio di tanto in tanto, e con dei caratteristici stagni; proprio vicino ad essi mi fermavo per parecchi minuti ad osservare curioso i girini, gli strani insetti e le ranocchie che saltavano prontamente quanto avvertivano le vibrazioni dei miei passi. In quell’occasione però non arrivai in cima; ricordo vagamente che mi fermai ad un certo punto e poi tornai indietro. Quel versante è molto ripido, c’è molto pietrisco e si scivola. Feci altre escursioni da quelle parti, senza seguire sentieri ed itinerari precisi. Ero assieme a Zeus, il mio cane, quando arrivai alla vetta. Ricordo che saili per un canalone pieno di pietrisco, che era una giornata ventosa e che Zeus si divertiva a correre e ad inseguire le lepri… Il panorama dalla vetta è eccezionale. Serra Crispo si erge dalla foresta ai suoi piedi e si scorgono maestosi esemplari di abete bianco, i quali sbucano dal bosco di faggio. Sotto, guardando verso Mezzana, si diramano i pascoli, che al tramonto si colorano di rosso, percorsi da numerose viuzze create dai greggi, strade di pastori che conducono al villaggio e ruderi di ovili abbandonati. Ancora oggi qualche pastore pascola il suo gregge da queste parti. Tutta il monte è punteggiato di basse macchie di ginepro. Un giorno (allora avevo solo quindici anni), con la scusa di andare a funghi, mi allontanai da casa per continuare ad esplorare il Monte Pelato. Saltai il fossato che costeggia il Monte Pelato a sud, poi mi ritrovai in un prato con delle felci più alte di me e che dovetti attraversare. Attrasversai il bosco fitto di faggio e poi uscii sotto la cima, dall’altra parte, in direzione di Acqua Tremola. Avevo perso troppo tempo. Dovevo tornare indietro perché era già tardi. Fui ingannato anche dal sole che in montagna sembra tramontare “più tardi”. Cominciava ad imbrunire e dovevo di corsa prendere la strada del ritorno. La strada più breve era costituita dal ripido fossato, che conduceva direttamente ai piedi del Monte Pelato e poi ai pascoli. Ricordo che fu difficile seguire il fossato perché dovevo districarmi dai rovi che lo ingombravano. Mi sorprese il buio e riuscii a malapena a ritrovare la strada sterrata che conduce a Mezzana. Mi prese il panico, camminavo velocemente; già immaginavo i miei genitori allarmati per il fatto di non essere ancora tornato a casa. Erano le otto e mezza di sera ed ero quasi arrivato a Mezzana, quando notai che un’auto saliva lungo la strada forestale: oltre ad un parente che la guidava c'era dentro mia madre con gli occhi che gli piangevano. Erano venuti a cercarmi. Ebbi la faccia tosta di rimproverare mia madre per non avermi aspettato ancora un po’. Ripetevo che avevo solo fatto tardi... Era davvero imbarazzante per me quella situazione. Tutto Il villaggio era allarmato per la mia scomparsa e altra gente assieme a mio padre era andata a cercarmi nei dintorni del Monte Pelato! Andammo là con la macchina, seguendo la strada che va ad Acquatremola, proprio per tranquillizzare tutti e incontrammo la fuoristrada ferma con le persone attorno. Sentivo le urla di mio padre che mi chiamava a gran voce, pensando magari che fossi ancora là attorno da qualche parte. Poi vidi il tremendo rimprovero nella sua espressione quando mi vide nella macchina e incrociò il mio sguardo. Tornammo tutti a Mezzana. Incontrammo un’altra auto piena di gente che si stava organizzando per venire a cercarmi. Anche i carabinieri erano stati da poco allertati. Vicino casa mia si erano creati dei gruppetti di persone che aspettavano notizie di me. Ero rosso dalla vergogna. Mi imbarazzava trementamente tutta quella gente che mi osservava e che era in apprensione per causa mia. A chi mi domandò successivamente cosa mi fosse successo ripetevo con orgoglio che io non mi ero affatto perso, ma che avevo solo fatto un po’ tardi... Dopo quella esperienza ricordo che mio padre, invece di impormi dei divieti, capendo che adoravo camminare in montagna mi portò con sé a funghi, facendomi vedere alcuni remoti angoli della foresta di faggio e abete, fino al Piano di San Francesco, proprio sotto le pendici del "Giardino degli Dei"...