martedì 29 dicembre 2015

Diario: 26/28 dicembre 2015


L'Ascesa
Traversata invernale del Pollino

(Conocchielle, Vacquarro, Serra del Prete, Monte Pollino, Dolcedorme, Piano di Acquafredda, Serra delle Ciavole (crinale sud-est), Piano di Iannace, Mezzana Salice)


In queste giornate di feste natalizie e bel tempo anomalo avevo proprio voglia di starmene un po' in giro tra i monti a bivaccare. L'amico Marco Simonetti, giovane (anzi giovanissima) "promessa" dell'escursionsimo sanseverinese, aveva espresso tempo fa il desiderio di fare una grande traversata di più giorni che congiungesse le maggiori cime del Massiccio del Pollino, come quella fatta in solitaria dal sottoscritto due anni fa a marzo: ho così colto l'occasione per ripetere questo trekking a fine anno L'alta pressione di questi giorni, la presenza di poca neve sulle cime e le fonti del Pollino non sommerse dalla neve, rendevano possibile l'impresa senza particolari difficoltà. Backpacking lo chiamano gli americani: è la forma più dura e allo stesso tempo più affascinante dell'escursionismo, comporta escursioni di più giorni in completa autosufficienza con tenda e viveri nello zaino, vivendo appieno le atmosfere della natura selvaggia.
Marco parte a piedi da San Severino e ci incontriamo a Mezzana, da lì si va a Conocchielle imboccando la via usata dai pastori nelle transumanze, che conduce a Vacquarro. A Colle Impiso ci aspetta Vincenzo A., amico di tante escursioni nonchè di avventure "fuorisede", che ci accompagnerà per la prima tappa salendo con noi a Serra del Prete. Il problema principale di un trekking del genere non è tanto il fatto di bivaccare all'aperto o la fatica del cammino, ma il peso notevole dello zaino. Anche disponendo di attrezzatura leggera e portando i viveri essenziali, il peso sarà sempre non indifferente: poco male se si fa un trekking con dislivelli irrisori, diverso invece se bisogna scalare creste e cime con dislivelli importanti. Scesi a Gaudolino, Vincenzo ci saluta avviandosi verso Colle Impiso. Nella baracca  ci sono già sei-sette persone, gli ospiti sono gentili e ci invitano a bivaccare là, ma preferiamo montare la tenda, per stare più comodi e tranquilli. Marco è alla sua prima esperienza di "backpacking", ha un po' male alle spalle a causa del suo  "zainone", ma è deciso nel proseguire. Sono ormai un "vecchio lupo" e conosco bene i disagi che comporta questo tipo di escursione, la quale non termina come quelle giornaliere all'arrivo alla macchina o a casa dopo sette-otto ore.
Prima del buio va organizzato il campo, scegliendo il terreno adatto; preparare da mangiare, in caso di necessità fare anche un fuoco per scaldarsi, organizzare gli oggetti che ci siamo portati appresso e disporne quando servono, tenendoli in ordine. Quando si bivacca all'aperto torniamo un po' uomini primitivi, pur disponendo di abiti e attrezzature tecnologiche: si pensa alle cose necessarie, al cibo, al riparo, l'acqua, stare al caldo e asciutti, a far fronte agli imprevisti. Non c'è spazio per i fronzoli e le comodità della vita civile. Una dura ma edificante scuola di vita in qualche modo, che riesce a far apprezzare il valore di un pezzo di pane e di un pasto caldo: come dice Mauro Corona, il tonno per essere buono in montagna non dev'essere tagliato col grissino. Certo, parlare di queste cose in un' era consumistica come la nostra, dove si spera di risollevare le sorti dell'economia con una nuova spirale di produzione di merci che il mercato del consumo nemmeno riesce più ad assorbire, può sembrare fuori luogo, suonare quasi come anacronistico... Ma andare e vivere in montagna  è, se vogliamo, un modo per "ergersi", anche metaforicamente, rispetto alle bassezze e alla frivolezza dei costumi urbani. Si va oltre anche il concetto di montagna come sport e turismo... cose buone e giuste, ma a volte schiave di un aproccio utilitaristico: la montagna, la natura selvaggia, prima di tutto "è", ha un valore in sè; solo in secondo luogo "serve" o "è utile per"...
Dopo aver mangiato ci mettiamo subito in tenda. L'aria è fredda ed umida. Riesco a dormire ma mi sveglio più volte in tarda notte per i brividi: devo mettere un'altra giacca per isolarmi meglio, non basta solo il pile. Ho sognato un caminetto, di stare vicino al fuoco. La temperatura comunque non sarà più bassa dei tre-quattro gradi sotto lo zero. Il sacco di Marco è più adatto del mio alle temperature rigide. Prima dell'alba ci svegliamo facendo una colazione a base di tè caldo e panettone, servirà anche a riscaldarci. Smontata la tenda ci avviamo verso il sentiero della via classica al Pollino: è ghiacciato e mettiamo dei ramponcini leggeri d'emergenza. Arrivati allo scoperto ci inondano i raggi del sole sui pascoli esposti al sole. Nessuna presenza di neve qui. La salita è faticosa ma non demordiamo. Facciamo tutta una tirata, prima di arrivare alla sella sostiamo, poi riprendiamo la marcia in salita fino al Dolcedorme. Noto stormi di uccellini che poi identificherò come sordoni. Volano tra le pietre, sembrano a loro agio in questi ambienti austeri... E' sempre confortante la presenza degli animali, di altra vita rispetto alla propria. Le valli sono avvolte da una nebbia sottile. Lontana scorgiamo la sagoma dell'Etna che spunta dal mare di nubi. Adesso si tratta di scendere dal versante nord del Dolcedorme, coperto dall'ombra, freddo e innevato; sfoderiamo le nostre piccozze. Dobbiamo arrivare prima del buio al Piano di Acquafredda per montare la tenda e rifornirci di acqua. Troviamo un posto a ridosso di grandi faggi, dove le foglie secche sembrano formare un materasso naturale.

Anche senza materassino staremo comodi stanotte. In mancanza di altro anche una coperta di foglie secche ci darebbe un po' di calore. Racconta mia madre che un tempo si raccoglievano nei sacchi per utilizzarle al posto della paglia nelle stalle degli animali. Stasera mangeremo pastina in brodo, per modo di dire, visto che la pasta è troppa rispetto all'acqua presente nella gavetta da campo... la pastina risulterà quindi un po' cruda, ma con la fame che abbiamo è buona lo stesso. Non poteva mancare per secondo il nostro "pemmicam" (carne secca), la sopprressata fatta in casa, accompagnata da piadine preparate da mia madre, che ho portato perché leggere e poco ingombranti. L'aria è secca, si sta bene, la notte dormo rilassato e al caldo. Verso le sei ci svegliamo, solito "scalda budella", panettone e poi si riparte. Decidiamo di risalire il ripido crinale sud-est di Serra delle Ciavole, popolato da maestosi loricati,  per arrivare in cima,  rinunciando alla vetta di Serra di Crispo per dirigerci  dalla Grande Porta a Iannace; poi scendendo nella foresta verso la strada per il Santuario e infine a Mezzana, usando scorciatoie per i boschi di cerro. Per me il trekking è finito mentre Marco decide di tornare a San Severino a piedi... rinunciando, imperterrito, a farsi venire a prendere in macchina.




"L'Ascesa" - video della Traversata

lunedì 7 dicembre 2015

Alba sul Dolcedorme

 Foto scattate in occasione dell'escursione nottura al Dolcedorme del 6 dicembre (con M. Lofiego, M. Simonetti, U. Genovese, R. Stimolo, G. Stimolo)



"Deus sive natura" 

 (Baruch Spinoza)








venerdì 6 novembre 2015

Luoghi della memoria e dell'identità: U Cacch 'v, esplorazione dell'ingresso sommitale





Con l'amico Maurizio da un po' di tempo avevamo intenzione di riscoprire l'antico tracciato di  pastori e cacciatori che portava all'apertura sommitale del Cacch'v. Ricordiamo che Cacch'v indica il recipiente usato dai pastori per bollire il latte, una forma che è evidente sopratttto guardando questa caverna dall'alto. Raccontavano i pastori che buttavano le pietre dal buco sommitale sentendole rotolare fino al Frido. Avevamo esplorato già questa caverna ma salendo da sotto (vedere un altro post dov'è presente anche un video dell'escursione), ci mancava appunto la visione dello stesso luogo dall'alto e scendendo da  sopra. L'escursione è stata faticosa, il terreno è insidioso. Un nostro amico di Mezzana ci ha dato utili informazioni su come arrivare in questo posto e lo ringraziamo. E' una zona impervia e selvaggia, con ripide pareti rocciose coperte dal bosco e si riesce ad percorrerla seguendo unicamente i sentieri e le tracce di cinghiali e altri animali selvatici. Sono loro i veri padroni di casa e noi visitiamo questo posto in punta di piedi, onorando al contempo la memoria di pastori e cacciatori che qui, in questi luoghi selvaggi hanno  trascorso momenti della loro vita.  Luoghi della memoria e dell'identità da riscoprire ma da custodire gelosamente per assicurarne la pace e la conservazione naturale per le generazioni future della Valle del Frido.



martedì 27 ottobre 2015

Diario - 27 ottobre 2015

In esplorazione alla ricerca di grotte


Nella giornata di oggi il "Gruppo Lupi di San Severino Lucano" ha voluto compiere un'altra escursione esplorativa alla ricerca di altri siti di grotte del versante lucano. A me e Maurizio si sono aggiunti oggi Antonio Mitidieri e Carlo Sassone. Le grotte in questione sono ben conosciute da alcuni abitanti di una  frazione del Pollino, da cui apprendiamo anche il toponimo originario. Andiamo prima a rivedere le grotte dell'altra volta che Antonio e Carlo non conoscevano, poi costeggiamo delle pareti di roccia in diagonale, tentando di arrivare all' altro sito. La zona è suggestiva e selvaggia, una wilderness di alto valore in termini di luoghi indisturbati e integrità naturale. 



Dopo una bella scarpinata seguendo spesso i sentieri dei cinghiali giungiamo al sito. Si tratta di tre belle grotte superficiali, dall'ingresso ampio e abbastanza spaziose.




 All'interno troviamo fatte e resti di animali: escrementi che paiono di cervo e altri di cinghiale, due fatte di lupo (mostra segni di ingestione di erba, come fanno i cani quando hanno mal di stomaco) e il cranio di un piccolo cinghiale, forse sbranato da un lupo e consumato là. Le grotte sono probabilmente usate come tane provvisorie dagli animali selvatici. Anche per questa ragione si comprende come sia bene che questi luoghi restino indisturbati e poco frequentati dall'uomo (ai fini della tutela della sua pace e integrità non indicheremo la località del sito nè daremo indicazioni su come arrivarvi).




Pastori e cacciatori però conoscevano bene questi luoghi: troviamo come prova evidente i resti di una "vummula" (un recipiente di terracotta che veniva usato per trasportare acqua o vino). 


La natura selvaggia di questi boschi regna sovrana. Ritorniamo sui nostri passi smarrendo qualche volta la strada sui ripidi pendii, e poi ritrovando i sentieri dei cinghiali che ci riporteranno giù a valle...
Indio in discesa - foto di Maurizio Lofiego




 


















 

martedì 20 ottobre 2015

Diario - 19 ottobre 2015

Cave of forgotten dreams

Alla ricerca di grotte: escursione esplorativa


Indio entra nella grotta - foto di Maurizio Lofiego

Con l'amico Maurizio avevamo notato in un'altra escursione di svariati mesi fa, un possibile sito di grotte. Con l'escursione di oggi siamo andati ad esplorare quella zona, questa volta procedendo in salita. La grotta si trova nel versante lucano del Parco del Pollino. Per assicurare la pace, la tutela e la conservazione del sito non sarà indicata la località del ritrovamento, ma si pubblicheranno, a titolo cautelativo, solo le foto dell'interno delle grotte.
Per giungere al sito dobbiamo attraversare all'inizio un'area di rovi e spine, procediamo aprendoci la strada con un grosso machete. Troviamo la carcassa di un puledro. La testa e altre ossa sono sparpagliate, mentre la carcassa presenta ancora la pelle. Forse ucciso dai lupi.

I luoghi che attraversiamo sono spettacolari: sono in pochi a frequentarli e si respira davvero un senso di vera wilderness. Saliamo in direzione del posto dove dovrebbero trovarsi le grotte... I pendii diventano ripidi, faggi secolari monumentali si affacciano durante la salita, qualcuno secco e col tronco cavo, segnato dai buchi dei picchi. 



Si cominciano ad intravedere delle cavità nelle pareti rocciose in alto: eccoci arrivati al posto che cercavamo. Un paio di grotte sono inaccessibili... probabilmente sono anche piccole, semplici cavità che forse non continuano.  Altre due sono accessibili: una è piccola, un'altra più grande e spaziosa. Ecco trovato un riparo per l'uomo. Presenta lo spazio per poter dormire, un altare di pietra all'ingresso, varie nicchie dove poggiare oggetti, cibo, bevande. Il ruscello dove approvvigionarsi di acqua, non è lontanissimo... 


Più sopra c'è un'altra apertura. Sicuramente briganti, pastori e cacciatori conoscevano questo sito, quindi non siamo probabilmente i primi ad averle intraviste. La grotta più in alto ha però un'apertura molto meno accessibile, bisogna arrampicare per pochi metri ma la roccia è liscia e con pochi appigli. Forse la grotta sarà insignificante, vale la pena andarla a vedere? Maurizio, che è più bravo di me ad arrampicare va per primo, riesce ad arrivare all'apertura  e subito mi comunica entusiasta il ritrovamento: la grotta è ampia, presenta anche delle belle protuberanze verticali. Lancio la mia corda da escursionismo a Maurizio che la fa passare da una grossa clessidra, così da avvantaggiare la mia salita, lasciarla là e scendere poi tutti e due in sicurezza. Salgo così anch'io ad ammirare lo spettacolo.  Si notano sul pavimento fatte di pipistrello, le borre e una penna di un probabile allocco. Ragni delle grotte in una cavità. Dall'apertura si nota il panorama dei boschi coi colori autunnali... Osservo le pareti alla ricerca di possibili segni dell'uomo, seguendo un'ingenua fantasia da esploratore. Siamo i primi uomini ad essere entrati qui dentro? Nessuno può dirlo... 



Le rocce hanno sfumature ora rosacee ora verdastre, tanto che Maurizio propone di chiamarla "Grotta dei colori". Le bizzarre formazioni di roccia calcarea che spuntano dal tetto della caverna sembrano ricordare le teste di animali: riconosciamo un rinoceronte, un dinosauro e un... maiale domestico.  

foto di Maurizio Lofiego
foto di Marurizio Lofiego
foto di Maurizio Lofiego
Le grotte hanno un richiamo particolare, direi ancestrale. Quando si entra si ha la sensazione di aver trovato un posto sicuro, un rifugio, la propria casa. Del resto le grotte sono state spesso la prima abitazione nella storia dell'evoluzione della cultura umana, nonchè luoghi sacri, come si evince dai ritrovamenti archeologici di offerte, pitture rupestri e statuette. Il significato simbolico delle grotte resiste imperturbato anche nell'era moderna: entrare in una grotta è, oggi come agli albori della civiltà umana, ritrovarsi quasi nel grembo sicuro di Madre Terra...

immagine tratta dal film: "Cave of Forgotten Dreams", di Werner Herzog

Indio e Maurizio Lofiego, autoscatto

sabato 5 settembre 2015

Diario - 3 settembre 2015


 Sui tetti dell' Europa: Breithorn occidentale (4.165 m.)





il logo del Gruppo Lupi lasciato al rifugio
 Giorni fa gli amici Maurizio Lofiego e Antonio Mitidieri, due escursionisti del nostro "Gruppo Lupi di San Severino Lucano", mi avevano proposto una gita di qualche giorno sulle Alpi, avendo come meta le alte quote delle nevi perenni di 4000 metri. Il 4000 proposto, il Breithorn Occidentale, la vetta più alta, è considerato una delle montagne alpinisticamente più "facili" fra quelle che arrivano a quella quota, essendo non particolarmente impegnativo da scalare e a non molta distanza dal Rifugio delle Guide del Cervino. Ciò che a me interessava non era tanto la "scalata" in sè, quanto osservare per la prima volta l'ambiente dei ghiacci perenni delle alte vette delle Alpi, che non avevo ancora avuto modo di vedere, se non da lontano in una sola occasione. 
Jean-Antoine Carrel
La località di partenza dell'escursione è  Valtournenche, bellissimo paese alle pendici del Cervino, luogo natio di tante guide famose, compreso Jean-Antoine Carrel,  contadino, cacciatore e appunto alpinista e guida alpina, che arrivò per la prima volta sulla vetta Cervino nel 1865, dal versante italiano. Dalle grandi doti morali, è ricordato per essersi sacrificato, in montagna, per salvare la vita di un giovane, suo cliente. 
Il Cervino domina lo sfondo del paesaggio di queste valli, e riusciamo a vedere la vetta appena le nubi che lo nascondono si diradano un po'.
Piove. Al campeggio prenotato opteremo per un bungalow. Il campeggio è ordinato, pulito e fatto bene, come del resto il paese di Valtournanche, dove nessuna cosa è fuori posto e anche le strutture turistiche rispettano l'architettura tradizionale, sebbene ormai queste vallate vivano più che altro di turismo che di vita rurale. 

Diverso il caso di Cervinia, la famosa località turistica che si trova più in alto a 2050 metri. Ma anche qui è possibile scorgere edifici ben curati nell'aspetto estetico, accanto a quelli tipici della località turistica urbana, che ha fatto la scelta dello sci da pista e degli impianti di risalita. Oggi ha poco senso parlare di "conquista della vetta". Nello spirito dell'alpinismo tradizionale ed eroico di un tempo, arrivare sul Breithorn era un'operazione molto più impegnativa... Magari una salita da Cervinia distribuita in tappe diverse, con appoggio a rifugi e bivacchi disseminati in quelle vastità di pascoli, ghiacciai in scoglimento e laghi glaciali.  
Ma invece la funivia ci porta a 3480 metri in un ambiente suggestivo, ma che non ha nulla a che fare con la wilderness alpina: il Plateau Rosa, il ghiacciaio dove si trova il Rifugio della Guide del Cervino è infatti una rinomata località dello sci da pista. Ma le aree selvagge, quelle che noi ricerchiamo,  non stanno a molta distanza; vi "entreremo" domani quando ci avvicineremo ai ghiacciai desolati e alle creste affilate del Breithorn, con crepacci e pareti verticali ostili ma che stregano con la loro bellezza primitiva. Al rifugio ritrovo i bellissimi gracchi alpini, che incontravo spesso in Abruzzo durante le mie escursioni... Qui vengono a racimolare gli avanzi lasciati dai turisti. 


Salta subito agli occhi che ci troviamo in un avamposto di frontiera; siamo al confine con la Svizzera e vediamo gente che parla tedesco, italiano e francese. Molti sciatori e alpinisti arrivano dalle funivie dei versanti svizzeri. Bighellonando nei pressi del rifugio notiamo che arrivano ragazzi con la divisa delle "guardie di confine", molti di loro hanno i tipici lineamenti nordici delle genti delle Alpi. Scopriamo tuttavia, la sera, che il cuoco del rifugio è un lucano e... cucina benissimo: uno dei tanti lucani girovaghi della Basilicata, come espresso bene in un celebre scritto del poeta Leonardo Sinisgalli. Il giorno dopo, conclusa l'escursione, ci ritroveremo assieme ad una tavolo del rifugio ad affettare le soppressate che non potevano mancare nello zaino, a bere un bicchiere di vino e a parlare della nostra amata terra lucana.  

La nebbia è calata sul ghiacciaio, speriamo che il tempo sia clemente per domani, per farci gustare i grandi panorami dalla cima del Breithorn. Non abbiamo pensato a prendere una guida, vista la relativa facilità del percorso e considerato che siamo abituati alle escursioni in ambiente innevato sulle selvagge montagne del Pollino; seguiremo la nostra mappa presa da internet e le probabili tracce dei tanti alpinisti che  arrivano su questa montagna. Pensavamo che facesse freddo di notte a più di tremila metri, ma dobbiamo invece passare una notte in una stanzetta con altre due persone e soffriremo per il caldo. Non amo molto i rifugi affollati, avrei la tentazione di andare nel corridoio e dormirè là seduto. Intanto già dall'ora di cena aveva cominciato a nevicare. La notte è scossa da fulmini e tuoni e il nevischio ricopre la neve più marcia. Si parte all'alba legati in cordata. Il tempo è sereno, il Cervino e altre vette aguzze e rocciose svettano dal mare di nubi, guardando verso la Svizzera, mentre altre montagne maestose svettano con i loro spettacolari rilievi. 



Siamo contenti, tutta al fatica del viaggio per arrivare qui "sui tetti dell'Europa" (13 ore di macchina!) è ricompensata dal cielo sereno e dallo spettacolo del mare di nubi sulle valli e le montagne sottostanti. Abbandonate le piste si va in direzione del complesso del Breithorn e delle sue spettacolari creste innevate. Nient'altro che il ghiacciaio in tutta la sua estensione, cornicioni di neve sulle creste e crepacci impressionanti. 
 Non siamo più in Italia ma in Svizzera, al di là del confine. Superiamo la cordata delle guardie di confine (una ragazza del gruppo, per la fatica, è caduta a terra svenuta, offriamo delle caramelle per aiutarla e poi proseguiamo) e cominciamo a scalare i ripidi pendii che ci porteranno sulla linea di cresta, superando un ponte di neve che ci permette di oltrepassare il crepaccio.



Arrivati alla cresta notiamo che a malapena possiamo affacciarci: il versante che sta sotto di noi è ripidissimo, la cresta molto affilata... una caduta da questa parte potrebbe avere conseguenze imprevedibili. 

 Arriviamo in cima, uno spazio ristretto di poco più di un metro quadrato e dopo di noi anche l'altra cordata di svizzeri. Il vento è impetuoso e gela le mani, non potremo stare qui a lungo. La temperatura percepita è di circa meno 10 gradi. Abbiamo portato con noi l'acqua del Pollino della fonte Spezzavummula,  e ne versiamo un po' sulla cima, in una sorta di scherzoso rito di gemellaggio con le Alpi, che ricorda ancora una volta quanto è stretto il legame con la nostra amata montagna del sud. Dalla cima la vista si apre su uno spettacolo continuo: lande desolate, ghiacciai attraversati da crepacci, cime aguzze di roccia, laghetti glaciali... e il mare di nubi che copre le vallate...



Sono posti lontani, che non toccherò mai, ma allo stesso così vicini, seppure la loro apparizione, nel mio personale sentire,  appartenga più al mondo della metafisica che a quello della realtà tangibile... Alcuni segni dell'uomo, rifugi e funivie, si vedono in quella vastità, ma sono pochi e quasi invisibili. Domina il silenzio bianco di una natura ostile e severa, ma allo stesso tempo di una struggente bellezza...




 Dalla cima scendiamo per seguire un percorso ad anello, che si ricongiunge alle tracce dell'andata.
Ho sempre amato un "alpinismo contemplativo", che all'avventura e alla prova fisica dell'ascesa unisca visioni e suggestioni di una natura ancora primordiale. Il fine, l'ascesa alla vetta, diventa in realtà il mezzo per entrare in sintonia con la natura delle vette, in questo caso quelle più alte d'Europa. Tale è il massiccio del Breithorn: le sue creste affilate e i suoi crepacci, le cime orientali, sono un richiamo per l'anima e, lasciarli, incamminandosi sulla via del ritorno, mette addosso una sorta di malinconia. Addio, anzi chissà, arrivederci cime maestose del Breithorn!



Un selfie: Maurizio Lofiego, Antonio Mitidieri e Saverio De Marco sulla vetta