martedì 27 aprile 2010

Erri De Luca - Il peso della farfalla



"L'uomo arrivò sul re, il branco era ancora vicino, a guardare. La più aspettata vittoria era gemella uguale di una sconfitta mai conosciuta prima."
Erri De Luca


Il peso della farfalla (Feltrinelli 2010) è uno dei racconti più belli sulla natura che abbia letto di recente. Più che un romanzo è un racconto lungo, incentrato contemporaneamente sulla figura di un vecchio bracconiere e sul "re dei camosci", un camoscio leggendario che è sempre riuscito a sfuggire  al cacciatore. Uomo e camoscio sono rispettivamente cacciatore e preda ma entrambi sembrano condividere la stessa esistenza, che si svolge a contatto con l'asprezza selvaggia della montagna.
Il cacciatore, da quello che lascia intendere De Luca, è un vecchio militante di estrema sinistra che dopo gli anni di piombo si è rifugiato in montagna da solo in una baracca, lontano dal resto del mondo. I guardiacaccia non riescono mai a beccarlo e la gente del vllaggio è sua alleata. Cacciatore e camoscio sembrano accomunati dallo stesso destino: entrambi un tempo forti ed invincibili, subiscono lentamente il lento declino che appartiene a tutti gli esseri. Entrambi però sono dei re, perchè invece di soccombere in una lenta agonia, preferiscono lottare fino alla fine con dignità. E' un racconto molto profondo e il finale, che non vi anticipo ovviamente, è davvero commovente. Un racconto estremamente poetico. La prosa è asciutta ed essenziale, va dritta alle cose e rappresenta bene il mondo della montagna, un mondo dove tutti gli esseri sono legati da un filo invisibile; un mondo per niente idilliaco ma violento e a volte spietato, dominato dalla lotta per la vita. E il cacciatore è parte ormai di questo mondo, come i camosci che egli caccia. Ma gli animali si rivelano anche dei maestri di vita per il vecchio cacciatore, ed alla fine, cacciatore e camoscio, un tempo nemici, diversi ma in fondo simili, quasi l'uno specchio dell' altro, si ritroveranno ad affrontare la loro dipartita in un ultimo, intenso abbraccio...

giovedì 22 aprile 2010

Lasciatemi essere un uomo libero - Capo Giuseppe dei Nez Percé


Capo Giuseppe ( Tuono che rimbomba sulle montagne), Nez Percé

Let me be a free man - free to travel, free to stop, free to work, free to trade where I choose, free to choose my own teachers, free to follow the religion of my fathers, free to think and talk and act for myself - and I will obey every law, or submit to the penalty.
Whenever the white man treats the Indian as they treat each other, then we will have no more wars. We shall all be alike - brothers of one father and one mother, with one sky above us and one country around us, and one government for all. Then the Great Spirit Chief who rules above will smile upon this land, and send rain to wash out the bloody spots made by brothers' hands from the face of the earth. For this time the Indian race are waiting and praying. I hope that no more groans of wounded men and women will ever go to the ear of the Great Spirit Chief above, and that all people may be one people.


Lasciatemi essere un uomo libero, libero di viaggiare, libero di lavorare, libero di commerciare dove scelgo di farlo, libero di scegliermi i maestri, libero di seguire la religione dei miei padri, libero di parlare, pensare e agire per me stesso — e io rispetterò tutte le leggi o sarò punito secondo la legge. Se gli uomini bianchi tratteranno gli indiani come si trattano fra di loro non ci saranno più guerre. Saremo uguali — fratelli con lo stesso padre e la stessa madre, con un cielo sopra di noi e una terra intorno a noi e un governo per tutti. Allora il Grande Capo Spirito che governa ogni cosa sorriderà sopra questa terra e manderà la pioggia per lavare le macchie di sangue che le mani dei fratelli hanno lasciato sulla faccia della terra. La razza indiana attende e prega perché venga quel giorno. Io spero che alle orecchie del Grande Capo Spirito non giungano più i lamenti di uomini e donne feriti, e che tutti i popoli possano essere un solo popolo.

martedì 20 aprile 2010

Diario - 18 aprile 2010

Monte Camino con l'associazione Wilderness

la dorsale del Monte Camino, con rupi selvagge e antiche mulattiere che attraversano pascoli e campi - foto by Indio. sotto: 1. Luigi osserva i rapaci; 2. Franco, lungo il sentiero; 3.abbeveratorio scavato nella roccia; 4. la lapide che ricorda i caduti della guerra di Monte Cassino.
In occasione dell’Assemblea annuale dell’associazione Wilderness di cui faccio parte si è programmata un’escursione nell’Area Wilderness del Monte Camino, in provincia di Caserta e vicino Cassino. L’area è stata designata come tale grazie alla collaborazione dell’associazione con il comune di Galluccio e rappresenta sia un modo per tutelarne l’ambiente contro progetti di ulteriori strade e altre strutture, e sia per farne un motivo d’attrazione per i visitatori. Il tempo è stato clemente fino alle tre di pomeriggio, permettendoci di compiere l’escursione senza problemi. Il percorso inizia dal paese di Galluccio, con le caratteristiche casette in tufo. Il sentiero all’inizio passa sotto due antichi archi di pietra, poi si abbandona il paese e si sale verso le rupi che formano la cresta del Monte Camino. Il paesaggio è brullo e roccioso e caratterizzato dalla tipica vegetazione della macchia mediterranea di bassa quota. Un problema è rappresentato dagli incendi dei pastori per esigenze di pascolo. Per ovviare a tali danni l'associazione ha in mente di responsabilizzare i pastori nella gestione del territorio, con la proposta di un incentivo dato a chi riesce a salvaguardare le aree di bassa macchia dagli incendi. Il gruppo si divide: io, Luigi e Franco restiamo indietro e gli altri vanno avanti. Ce la prendiamo comoda osservando l’ambiente circostante, piante e animali. In particolare osserviamo da lontano con i binocoli due o tre rapaci che popolano le rupi.  Franco e Luigi che sono dei naturalisti cercano di distinguerli. Individuano anche una possibile area di nidificazione sulla parete verticale.  Dopo l’osservazione al binocolo affermano che  sicuramente si tratta in un caso del biancone, un rapace che si nutre di serpenti. E questa zona è popolata da numerose specie di sepenti. Io non
sono un naturalista e a dir la verità non mi interessa più di tanto l'individuazione/classificazione delle varie specie. Ma lo spirito della wilderness, come dice Franco, non contempera necessariamente la conoscenza scintifica della natura: esso può basarsi semplicemente sullo “stupore” delle meraviglie naturali. Ecco, forse è questo il sentimento che mi ha sempre animato…e perciò sono in qualche  modo giustificato! Franco è invece un grande esperto di botanica, oltre che di fauna selvatica (è stato in Italia uno dei maggiori studiosi dell’orso bruno marsicano adoperandosi soprattutto per le misure concrete dirette alla sua salvaguardia) e mi fa notare la presenza di un raro biotopo vegetale: la Carpinella... Procediamo in alto superando la linea del crestone. Il paesaggio adesso si fa agreste. La mulattiera si allarga e attraversiamo dei vecchi campi delimitati da muretti a secco, con una rada boscaglia. Notiamo un vecchio pozzo con a fianco un caratteristico abbeveratoio scavato nella roccia. La natura selvaggia delle rupi convive con questo suggestivo ambiente pastorale il cui elemento dominante sembra essere quello della “pietra”. Riflettiamo sul fatto che la civiltà agropastorale, pur non preoccupandosi mai del "bello", ha lasciato  opere che si integrano nella natura senza deturparla... belle anche loro quindi. Questa mulattiera ne è l'esempio lampante. Più oltre notiamo una lapide che ricorda gli avvenimenti della seconda guerra mondiale. Monte Camino fu la roccaforte tedesca che gli angloamericani, grazie all’aiuto delle famigerate truppe marocchine, dovettero espugnare per procedere all’assalto di Monte Cassino. La mulattiera si arrampica adesso in direzione di Santa Croce. Qui è situata una vecchia chiesetta (restaurata) risalente all’anno mille. Notiamo una farfalla notturna adagiata sull’erba: sta dormendo. Incontriamo gli altri lungo il percorso . Resti di antiche fortificazioni lungo il sentiero. Ed eccoci al santuario. C’è una bellissima visuale, purtroppo danneggiata dalla foschia. Noto un caratteristico cono vulcanico, il cui cratere è oggi coltivato. Il territorio è ricco di castagneti e vanta la produzione di un ottimo vino “vulcanico” che ho potuto assaggiare nel bellissimo agriturismo in cui ho pernottato. Questa bella e tutto sommato intatta area della Campania, nonostante le mire della speculazione (cave e  tentativi di installazioni eoliche) mostra come il territorio possa vivere delle risorse del posto, agricoltura turismo e cultura senza danneggiare l’ambiente con opere inutili e dannose, con quelle cave,  discariche e inceneritori che hanno inquinato e deturpato altrove molte aree della stessa regione. In cima si mangia e si beve in compagnia e poi si riparte, sotto la pioggia che comincia a cadere. Franco mi fa notare la presenza di una specie particolare di viola: la viola calcarata. Io nemmeno avevo notato la differenza con le viole comuni...

venerdì 16 aprile 2010