martedì 30 settembre 2008

Racconti - L'incontro

(da un aneddoto di mio padre) La neve è caduta abbondante per tutta la notte. Il suo manto ha ricoperto ogni angolo di bosco , inghiottendo la montagna in un irreale silenzio. Il giovane lupo è uscito dalla tana, e ai suoi occhi si è rivelato lo spettacolo della neve, ormai non più inatteso. Come di consueto, vede le orme di tanti altri animali, che si diperdono nel bosco, tracciando tante piccole traiettorie. E’ un eterno ciclo quello che pervade la sua vita. Alle nevicate seguirà la stagione più calda e gli alberi si tingeranno di un verde intenso. La neve scomparirà dai boschi e l’acqua scenderà a valle ingrossando i torrenti. E’ una continua rinascita e morte, che scandisce il suo tempo… Non è più un cucciolo ormai e non si è meravigliato di quegli strani granelli bianchi che scendono lentamente dal cielo. Era un piccolo lupetto quando li vide la prima volta e la curiosità lo spingeva ad afferrarli con la bocca, come fossero tante piccole prede. Sta seguendo una lepre e il suo odore lasciato sulla neve. Le sue orme portano più giù, a valle… Sa che da quelle parti una strana linea grigia, di pietra, circonda la foresta. Ha sempre avuto paura di quel luogo strappato al bosco. Sente che appartiene ad un mondo estraneo alle sue montagne. Il cacciatore aveva visto le tracce del grosso lupo. Erano fresche. “Continuiamo a seguire le tracce del lupo… vorrei proprio riuscire a beccarlo.” Così disse il cacciatore al cane. Il cane assunse un’espressione gioiosa, scodinzolando festoso per la nuova avventura che si profilava davanti. Il cacciatore parlava sempre col suo cane, trattandolo quasi come una persona della propria famiglia. Era un legame indissolubile il loro e, se i due fossero stati per qualche ragione allontanati l’uno dall’altro, avrebbero sofferto come non mai. Cane e padrone si misero a seguire le tracce, che portavano nella foresta intricata. Ad un tratto il lupo ha una strana sensazione… sente che qualcuno lo sta seguendo, anche se è molto lontano. Lui è un predatore, ma adesso si ritrova preda di un qualcosa che non conosce. E avverte che l’essere che gli sta dietro rappresenta un pericolo. E’ un istinto che si porta dietro la sua specie, è il vigile e spontaneo senso di una minaccia che affonda le radici nella storia della sua stirpe… Il lupo ha adesso un solo desiderio: fuggire! Si allontana a grandi balzi inoltrandosi nella foresta più buia e selvaggia, lontano da quella linea grigia, lontano da quell’essere sconosciuto che lo sta seguendo… Il cacciatore notò che le tracce erano cambiate. “Qui le impronte sono molto distanziate. Il nostro lupo è un tipo furbo. Ha capito che lo stavamo seguendo ed è fuggito via.”

giovedì 11 settembre 2008

Diario - 11 settembre 2008

Polinello fa da sfondo ai ruderi del Convento di Colloreto - foto by Indio sotto: 1. i ruscelletti della Sorgente della Serra 2. la cascata. 3. sotto la cascata 4. Colloreto
"Sii pura e chiara, così che quando ti useremo ci manterrai in salute, e così che tu possa continuare ad esere pulita per noi e per tutti gli esseri viventi." (Corbin Harney, Preghiera all'acqua)
Ritorno a Colloreto: Scala di Gaudolino - Sorgente della Serra - Convento di Colloreto Fu in un'escursione di circa quattro anni fa che andai per la prima volta a Colloreto. Allora ebbi molto da faticare perchè non conoscendo la zona dovetti prima esplorarla bene. Ricordo che sbagliai sentiero prendendo una mulattiera che porta verso Morano e poi dovetti tornare indietro per capire dov'era il sentiero che conduceva ai ruderi del convento. Visto che avevo voglia di fare un'ultima escursione, ma senza toccare le creste o le cime, vista l'opprimente foschia e il caldo di questi torridi giorni, quale migliore idea di un' escursione (l'ultima della "sessione" estiva) in mezzo ai boschi selvaggi della Scala di Gaudolino? La scala di Gaudolino è il sentiero ripido che dal pianoro omonimo conduce, attraverso due diramazioni principali, verso Morano Calabro. Questa mulattiera ha un grande valore storico oltre che naturalistico: rappresentava una delle vie di comunicazioni più importanti tra il Pollino calabro e quello lucano ed era percorsa dai contadini con i loro muli. Mio padre racconta che di notte e su questo ripido sentiero si incontravano spesso branchi di lupi per niente impauriti dall'uomo. I pastori e i contadini di un tempo, l'hanno lasciato a noi escursonisti, come del resto tutti i sentieri del Pollino. La sentieristica del Pollino è un'eredità del lavoro e del sacrificio di queste persone. Quando percorrete un sentiero, vorrei che pensaste per un momento anche a loro, a chi visse e lavorò su queste montagne, in un'epoca in cui alla montagna non era associata alcuna esperienza ludica, o la visione di un luogo in cui contemplare la bellezza della natura, ma solo fatica e sacrificio... Con la mountain bike mi porto fino al Colle Gaudolino. Lascio la bici e comincio a scendere lungo il sentiero della Scala Gaudolino. Il sentiero è molto ripido e rappresenta il valico che separa Monte Pollino e Serra del Prete (detto Vallone di Colloreto). Il sentiero è a tratti scavato nella roccia e di tanto in tanto costeggia il fossato. Devo stare attento a non scivolare perchè c'è parecchio pietrisco. Non ho portato con me le scarpe con la suola in vibram ma quelle da running e la differenza si nota: se il piede non è stabile e fermo in una scarpa robusta si rischia di prendere qualche brutta distorsione. Comincio a vedere i pini loricati aggrappati alle pareti verticali del Pollinello. Piccoli pini crescono in alcuni tratti e il loro profumo inonda la mulattiera. Numerose anche le pigne precipitate giù dai dirupi soprastanti il bosco. Il sentiero ad un certo punto si biforca: andando dritti si arriva, come ricordo, nei pressi di Morano, passando per delle superbe colonie giovani di pino loricato, mentre a destra si continua a costeggiare il fossato. Ci sono due mucchietti di pietre e un segnale su un albero che indicano la deviazione. Prendo la strad a di destra che va a Colloreto. Continuo dritto fino ad arrivare ai ruscelli della bellissima Sorgente della Serra. Abbandono il sentiero e salgo ad ammirare la sorgente da cui sgorga un'acqua limpida e spumeggiante. E' forse la sorgente più bella del Pollino, perchè l'acqua esce direttamente sotto la roccia. Le rocce sottostanti trasudano anch'esse piccoli zampilli d'acqua. Continuo ad andare dritto, seguendo il corso del ruscello originato dalla sorgente, che di tanto in tanto si porta sul sentiero inondandolo. Il bosco di faggio si dirama e cominciano a vedersi i boschetti di leccio. Sono quasi arrivato e fra poco dovrebbe vedersi la spettacolare cascata, situata nei pressi di Colloreto. Arrivo alla bellissima cascata, portandomi fin sotto di essa. Sarà alta circa sei metri e cade giù a picco dalle rocce. Anche qui le rocce trasudano di acqua sorgiva. Tutta la zona è un pullulare di acqua fresca di sorgente. Abbandono la cascata e mi porto di nuovo sul sentiero. Scorgo finalmente i ruderi. Caratteristica di questo bellissimo convento, situato su una rupe ammantata di boschi, è la fontana circolare al centro del cortile, ricavata direttamente dalla roccia. Il convento fu fondato nel 1545 dai monaci Eremitani, seguaci di Sant'Agostino. Ormai abbandonato, nell'ottocento era diventato un covo di briganti e per questo motivo fu bombardato. Lo scenario naturale su cui si situa il convento è superbo: fanno da sfondo i paurosi dirupi delle rocce di Pollinello e i boschi selvaggi di Serra del prete e Timpone di Viggianello. Peccato per l'assordante rumore e lo sfregio paesaggistico causato dall'autostrada, che costeggia proprio le pendici incontaminate delle montagne, dove comincia il regno del pino loricato. Una scelta scellerata, ma all'epoca anche interessata, far passare l'autostrada quasi nel cuore del Pollino: un'eredità del modernismo democristiano della Prima Repubblica... Sulla vecchia fontana consumo la mia frugale colazione e poi mi avvio per la strada del ritorno. Adesso mi aspetta una ripida salita. In effetti non è proprio uno scherzo il percorso da Colloreto a Gaudolino, se si considera che vi sono quasi ottocento metri di dislivello! La salita procede speditamente e noto che sto impiegando lo stesso tempo della discesa. Mi fermo solo a metà percorso per mangiare un altro po' di frutta, mentre osservo divertito uno scoiattolo che scorazza nel bosco, il quale non ha avvertito la mia presenza. Incontro anche due esemplari di Nibbio Reale, rapaci dal portamento maestoso, che svolazzano via dagli alberi quando si accorgono di me. La scarpinata è finita: eccomi finalmente a Gaudolino. Adesso mi aspetta soltanto una lunga e divertente discesa in muontain bike...

sabato 6 settembre 2008

Diario - 6 settembre 2008

il grande scenario del Dolcedorme, dalla cresta di Celsa Bianca - foto by Indio sotto: 1. autoscatto sulla parte ripida di Celsa Bianca 2. pini loricati sulla cresta sud-ovest del Pollino
Sentiero Pollinello - Celsa Bianca - cresta sud-ovest del Pollino
Nella escursione in solitaria di oggi ho voluto percorrere due tra le creste più ripide e selavagge del massiccio, Celsa Bianca ( la dorsale ovest di Serra Dolcedorme) e la parte della cresta sud-ovest del Pollino che scende giù fino ad incontrare il sentiero che va a Pollinello. Avevo già percorso Celsa Bianca l'anno scorso, ma in discesa. Si arriva su questa cresta da Gaudolino, passando per Pollinello fino a varcare il fosso Pollinello. Dalla base della dorsale parte anche una ripida mulattiera che scende giù in Calabria, verso Valle Piana. La cresta è molto ripida e in un tratto bisogna aiutarsi con le mani arrampicandosi (ma senza difficoltà) sulle rocce che delimitano il crestone. I pini loricati sono qui aggrappati alle rocce su pendii ripidissimi. Mi piacerebbe molto scalare questa cresta in inverno, con ramponi e picozza: dev'essere uno sballo... Dopo aver affrontato il tratto più ripido si sbuca in uno dei punti panoramici più belli (considerazione personale) del Pollino. Da qui è possibile osservare il grande anfiteatro del Dolcedorme, con le sue rocce a strapiombo, i suoi crepacci, i canaloni... uno scenario dominato dai tanti pini loricati che popolano la montagna. Purtroppo oggi, essendo una giornata di scirocco c'è una luce pessima e una foschia davvero opprimente, e per un fissato della fotografia come me non è proprio la giornata ideale. Ho fatto poche foto e tutte mediocri. Purtroppo le condizioni climatiche di una giornata possono togliere metà della bellezza ad un paesaggio... L'estate a ben vedere è proprio la stagione peggiore, per certi versi, per andare in montagna. Mi immagino invece lo spettacolo che dev'esserci qui con la neve e con la luce tersa dell'inverno! Arrivato alla Timpa di Valle Piana mi dirigo verso la dorsale del Pollinello, costeggiando la cima del Pollino. Adesso non resta che seguire la parte meridionale della cresta sud-ovest del Pollino, (la parte settentrionale della è invece quella che tutti seguono di solito per arrivare alla cima del Pollino) davvero spettacolare, ripida e selvaggia. Essa si prende continuando a scendere giù, seguendo la linea della dorsale, ignorando l'imbocco del sentiero della via classica che conduce a Gaudolino. Così scendo lungo la cresta, a volte ingombra di piccoli boschetti di faggio, per portarmi sul sentiero che avevo preso stamane, a metà percorso, nel punto dove esso si fa molto ripido e attraversa un'area dal terreno bianco e sabbioso, in modo da completare l'anello. E' da ricordare, di questa escursione non proprio entusiasmante, una lepre incontrata sul ciglio della strada, un po' stordita dal sole, che però quando mi vede arrivare si lancia subito nei cespugli...

lunedì 1 settembre 2008

Jeremiah Johnson: l'epopea delle Rocky Mountains

“Qui c’e il vero capolavoro di Dio, e non ci sono leggi per i coraggiosi, non ci sono rifugi per i dementi. Non ci sono chiese, ma c’è quest’immenso scenario; non ci sono preti, ma c’è la fede. Per giove, io sono un uomo delle montagne e ci vivrò finchè una freccia o un proiettile non mi fermeranno… E io farò di questa terra il mio monumento”

Le parole del trapper Del Gue dal film “Jeremiah Johnson”

Jeremiah Johnson - Corvo Rosso non avrai il mio scalpo

Ultimamente ho avuto l’occasione di rivedere uno dei miei film preferiti in assoluto, dopo ben dieci anni. Il film è “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo”, brutto titolo italiano del film di Sidney Pollack “Jeremiah Johnson”. E’ un film vecchio ma non può non avere un posto d’onore in questo blog sulla natura e la montagna. Il film si ispira alla figura storica del vero trapper con lo stesso nome, detto anche “Mangiafegato Johnson”, perché la leggenda vuole che mangiasse il fegato dei guerrieri Crow per vendicarsi dell’uccisione della moglie, un’idiana Flathead. Il film è proprio incentrato sull’epopea dei trapper, i primi esploratori delle selvagge regioni montuose dell’ovest americano. La parola allo storico William C. Davis: “I trappolatori provavano in quelle regioni esperienze mai vissute da altri prima di loro. La sopravvivenza esigeva coraggio, capacità di recupero, ingegnosità e una certa dose di fortuna. Per coloro che possedevano questi requisiti le ricompense erano a volte notevoli. Infatti, pochi americani hanno conosciuto l’indipendenza, il senso della scoperta e, talora lo stupore di cui godettero i “mountain man” durante il loro breve regno come padroni delle montagne”. I trapper, cacciatori e trappolatori diedero il via alla penetrazione dei bianchi in territorio indiano, tramite quello che era allora il commercio di pellicce. Questo scenario storico è raccontato magistralmente in questo flm. Jeremiah Johson è un giovane con un recente passato da soldato, che probabilmente non sopporta più la civiltà e i suoi orrori; così decide di andare sulle montagne e diventare un cacciatore. Qui farà il suo difficile apprendistato nella natura selvaggia, imparando via via, anche grazie all’aiuto di un anziano trapper, tutti i trucchi per sopravvivere nella natura. Sulle montagne incontrerà i segni di quel conflitto che trasformerà la sua vita: quello tra i coloni e gli indiani. Johnson porterà con sé un bambino sopravvissuto ad un massacro dei Crow. Tuttavia con gli indiani i trapper commerciavano e cercavano di stabilire rapporti cordiali; spesso portavano con sé una donna, di solito scambiata con pellice in un villaggio indiano. Anche Johnson involontariamente si trova a dover accettare una donna indiana. Si costruirà una capanna e lì comincerà la nuova vita assieme all’indiana e al ragazzo. Sembra che finalmente abbia raggiunto la felicità. Ma gli echi della storia, del conflitto violento che distrugge ogni possibilità di convivenza armonica, raggiungono persino la sua capanna, la sua isola felice. Sarà costretto a scortare una compagnia di soldati in soccorso ad una carovana e dovrà passare in mezzo ad un cimitero indiano, un luogo sacro ed inviolabile per gli indiani Corvi. Per i Crow, già suoi nemici, è un sacrilegio. Al ritorno Johnson troverà l’indiana e il bambino uccisi e scalpati. Brucerà la capanna e andrà a vendicare i suoi cari. D’ora in poi si trasformerà in un uccisore di Crow, che gli tenderanno continuamente agguati, ma che lo venereranno come un eroe. Nell’ultima scena sarà però un Crow, a cavallo conosciuto prima, a tendergli la mano alzata in segno di saluto, il segno della fratellanza tra popoli diversi. Il film è un’eccezione nel panorama del cinema westen “revisionista” degli anni sessanta-settanta. Vennero realizzati in quegli anni molti film pro-indiani, in cui si denunciava il carattere di genocidio che ebbe la colonizzazione dei territori dell’ovest. Questo film è molto più serio. In effetti in questo film il conflitto bianchi-indiani non è visto a tutto tondo, ma delineato realisticamente, in tutte le sue sfaccettature. Ma i pregi del film non finiscono certo nella trama. Sull’interpretazione di Robert Redford non mi dilungo, visto che è un attore da sempre celebratissimo a livello internazionale. La musica è davvero evocativa. Jeremiah Johnson è anche un film sulla montagna. La fotografia è eccezionale e le immagini mettono in rilievo la stupefacente maestosità dei paesaggi sconfinati delle Rocky Mountains. E’ poi un film sulla montagna perché mette in luce la durezza della vita dei montanari, i pericoli e le avversità che essi furono costretti a sopporare, la rudezza della loro vita, assieme alla sensazione di estrema libertà che essi ricevettero dal vagare liberi in terre selvagge ed inesplorate. Per chi ama i fumetti italiani (come me) c’è una curiosità: il film contribuì ad ispirare lo sceneggiatore Berardi e il disegnatore Milazzo nella realizzazione del loro fumetto: Ken Parker, un capolavoro della letteratura italiana a fumetti ed una delle testate più originali della Sergio Bonelli Editore…