domenica 21 agosto 2011

Diario - 18/20 agosto 2011

Tra Gole e Timpe: tre giorni a San Lorenzo Bellizzi


20 agosto - Gole del Raganello (Barile) con l’amico Giuseppe alias “Pollino Fantastico” 


Cascata nell'ultimo tratto del Raganello, prima delle sorgenti - foto by Indio. sotto: 1.veduta del tratto più ampio del letto del torrente; 2. veduta delle pareti strapiombanti di Timpa di San Lorenzo; 3. il canyon in un'immagine caratteristica; 4. l'anfiteatro del diavolo; 5. l'ultimo tratto del canyon; 6. autoscatto: da sinistra Vincenzo A., Giuseppe e Indio; e... vari scatti dei "momenti d'azione"!

Giuseppe, ci aspetta al bar “Pino Loricato”. Dopo aver sgombrato la casa di Franco delle nostre cose, ci dirigiamo al parcheggio. Finalmente dopo tanti scambi di impressioni su itinerari di trekking e sulla montagna in generale, con commenti reciproci sui nostri blog Leucodermis e Pollino Fantastico (non per vantarci ma sono due blog molto curati sull’escursionismo nel Pollino), abbiamo l’occasione di conoscerci personalmente e di compiere un’escursione assieme. 


Oggi sarà lui la nostra guida, dato che è ormai un veterano del Raganello e visto che possiede la corda e l’attrezzatura necessaria per affrontare alcuni passaggi impegnativi. Era da tempo che volevo affrontare le gole del Raganello, e sentivo un vuoto nella mia esperienza di escursionsita e di appassionato del Pollino; anche perché le Gole rappresentano uno dei luoghi più selvaggi del Pollino, dall’ indiscutibile valore “wilderness”. Partiamo presto e ci portiamo nelle gole scendendo dallo strapiompo con una corda. Proprio l’imbocco della gola è ostruito curiosamente da enormi massi rocciosi: sembra quasi un atto di scherno della natura nei confronti dei visitatori. Mi preoccupano solo due cose: incontrare pozze troppo profonde (non so nuotare, ok? adesso prendetemi anche in giro…) e bagnare la macchina fotografica. Giuseppe dice che c’è solo una pozza che può rappresentare un problema. L’acqua nelle gole non è poca e oltre ad essere fredda è anche limpidissima, perché siamo i primi stamane a percorrerle. Seguiamo il bravo Giuseppe, che con sicurezza e tecnica supera passaggi più impegnativi come cascatelle e massi rocciosi. 

Arriviamo in un tratto in cui letto del torrente si allarga ed assume un aspetto più tranquillo… poi di nuovo si restringe, fin quando arriviamo alla superba visione della parete più alta della Timpa di San Lorenzo… Superiamo un primo balzo roccioso con la corda, sulla destra di una cascata. Ogni tanto levo fuori la macchina fotografica dallo zaino, aprendo le varie buste di plastica in cui l’ho inserita e fotografo gli ambienti più suggestivi. Vorrei fare molte più foto, sia di paesaggio che quelle delle nostre azioni più spettacolari, ma non voglio rischiare di bagnare una Nikon costatami quasi settecento euro! Perciò mi rassegno a che la macchina resti purtroppo nello zaino anche quando ciò che vedo meriterebbe di essere immortalato… Eccoci all’ "Anfiteatro del Diavolo” un superbo scenario dove le pareti della Timpa di San Lorenzo cadono a picco, creando quasi una volta di pietra sul torrente… Non dimentichiamo che il torrente Raganello è anche un habitat per molte specie, tra le quali incontriamo una biscia d’acqua che impaurita cerca subito di nascondersi (peccato: non riesco a metterla a fuoco), un rospo che se ne sta fermo, quasi indispettito dalla nostra presenza, e le classiche raganelle che stranamente non sembrano avere troppa paura di noi, visto che tardano a saltare al nostro passaggio… Eccoci al masso ciclopico incastonato nel canyon tra le rocce, che ci obbliga a passare sotto: è d’obbligo la classica foto in cui si “solleva” il masso… 
Un punto impegnativo è il superamento di una cascata di circa quattro metri: sono l’ultimo ad andare e mi sembra di non arrivare con la gamba all’altra roccia, ma spostando il mio corpo sulla destra il gioco è fatto, poi l’aggancio alle prese nella roccia e la mano di Giuseppe che mi aiuta… Ritornano in questo percorso tra le gole i rudimenti base dell’arrampicata: progressione col piede in aderenza, tecnica degli opposti (tipica nelle risalite di camini di roccia), importanza dell’equilibrio… il tutto innaffiato da cascate di acqua! Di sicuro le gole non sono “adatti a tutti”, perché richiedono una buona dose di esperienza escursionistica e di padronanza di sé… 


Giuseppe ci fa notare come il corso del torrente sia parecchio cambiato: proprio qui c’era un passaggio alternativo in un cunicolo tra le rocce, passaggio ormai ostruito dai massi; alcune cascate sono scomparse, com’è scomparsa la pozza molto profonda che mi faceva temere per il mio proseguimento. Il torrente, indifferente alle categorizzazioni umane relative ad itinerari e passaggi di canyoning, continua la sua corsa nelle gole, modificando a piacimento l’ambiente e continuando a scavare la gola, seppur in maniera impercettibile all’occhio umano… L’acqua in alcuni punti è profonda, arrivando quasi al naso, ma non ho alcun problema, anzi, è bellissimo essere immerso da capo a piedi in quest’acqua montana, limpida e fresca; e non mi faccio nessun problema a berla, visto che il torrente scorre impetuosamente. 
Il canyon si fa sempre più stretto, buio e suggestivo… Siamo arrivati quasi alla fine del percorso. C’è un altro punto difficile, una pozza profonda e una cascata alta da superare, e poi ci sono altri dieci minuti per arrivare alle sorgenti.. Giuseppe fa un tentativo, ma la corrente è forte e non riesce ad arrampicare… 



Qui finisce la nostra suggestiva risalita e un autoscatto nel canyon è d’obbligo. Adesso ci tocca scendere, superando le varie cascate ora con la corda, ora scivolando semplicemente. Arriviamo allo splendido scivolo naturale di roccia: Giuseppe ci dice come fare, scivolando piano piano fino al salto di qualche metro della cascata e poi saltando, ma almeno in quest’occasione mi voglio lasciare andare: così mi lascio trascinare dalla corrente che mi spedisce direttamente nella pozza d’acqua con un tonfo: “Questa non me l’aspettavo”, dice Giuseppe… “Pensi di stare a Gardaland?”, aggiunge Vincenzo… Proseguiamo nella discesa, ognuno scegliendosi il percorso che gli aggrada; Giuseppe saltella agilmente tra i massi perché vuole evitare di bagnarsi troppo… 

Lungo il percorso di discesa incontriamo parecchi turisti: l’acqua è diventata torbida, per il loro passaggio, e notiamo come la situazione sia cambiata da stamane, quando le gole erano solo “nostre” e di nessun altro: siamo stati fortunati, perché, anche se per poche ore, siamo stati immersi nella “wilderness” delle gole, testimoniata dall’acqua cristallina dei giorni di sole, dalla biscia d’acqua e dal silenzio interrotto solo dal rumore fragoroso delle cascate…



foto... in azione!














19 agosto - Esplorazione di Timpa di Cassano lungo la dorsale centrale 


Vincenzo A. guarda le pareti di Timpa di Cassano mentre inizia la lenta discesa - foto by Indio; sotto: 1. l'imbocco della via; 2. la grotta del "cerchio"; 3. caverna; 4. lastroni di roccia alla base delle pareti strapiombanti sullo sfondo; 5. Indio vicino al pilone di roccia durante la discesa; 6. il "Guerriero di Pietra" di Palma Nocera; 7. veduta degli strapiombi di Timpa di Cassano sovrastanti la Gola di Barile, con gradoni spioventi di roccia, : un'immagine di forza e di invincibilità della natura selvaggia...

La proposta di salire sulla Timpa di Cassano è stata una mia idea, che l’amico Vincenzo A. ha subito approvato con entusiasmo. In realtà avevamo informazioni abbastanza vaghe sul percorso… 


Avevo solo una foto con una via segnata da qualcuno del c.a.i di Castovillari. Il problema che subito saltava agli occhi era relativo al passaggio che consentisse di arrivare alla linea di cresta. 
Guardando bene col binocolo dalla finestra di casa si notava che una barriera di alte pereti verticali impediva l’accesso alla cima… l’unica soluzione sembrava arrampicare lungo le pareti di un enorme blocco di roccia più spiovente che si ricongiungeva alla cresta. Anche sula destra, le pareti seppure più basse erano comunque verticali. La montagna era a noi completamente ignota e il suo aspetto di certo non era rassicurante: un dislivello impressionante, canaloni di pietrisco e pareti invalicabili; ma contavamo sull’esistenza di una flebile traccia di sentiero che ci avesse guidati nella giusta direzione. 

Ci alziamo presto. Dal nostro balcone c’è una vista stupenda; le pareti della Gola di Barile si tingono all’alba di un colore rosso fuoco. Vincenzo A. entra nella mia stanza e mi vede già in osservazione col binocolo, un po’ in apprensione. Dpopo una veloce colazione usciamo e col fuoristrada ci dirigiamo verso la frazione Maddalena. Da lì rifacciamo il percorso di ieri fino a Palma Nocera per poi deviare sulla sinistra, a ridosso di un ghiaione che costeggia le pareti della dorsale. Lungo il percorso scopriamo una roccia che ricorda in maniera impressionante il profilo di un guerriero dall’elmo d’acciaio, con lo sguardo rivolto a Nord: è la sentinella di Palma Nocera e ci viene l’idea di creare un logo con questo profilo, con su scritto… “i guerrieri del Pollino”.
La zona di Palma Nocera è anche un sito archeologico e sono abbastanza evidenti i resti di edifici di pietra, probabilmente antichi stazzi di pastori, e (forse) di massi scolpiti. La traccia di un sentiero c’è e seguiamo questa, perché sembra portarci comunque nella giusta direzione, visto che costeggia le pareti rocciose che risalgono fino alle sommità della Timpa. Dopo aver aggirato i ghiaioni il sentiero (“chiamamilu sintiero!"), si porta direttamente a ridosso delle pareti rocciose che ci sovrastano, poi ad un certo punto scompare lasciando posto solo alla roccia. Il percorso si fa sempre più ripido: ormai si tratta solo di arrampicare tra lastroni di roccia e pietre rotolanti sfruttando il grande aiuto delle paretine di roccia che ci sostengono durante il cammino. Almeno però l’ombra della roccia ci fa salire al fresco. La dorsale ad un certo punto si spezza, concludendo la sua ascesa in un frastagliato pilone di roccia di una decina di metri.
A sinistra c’è l’intricato bosco di leccio: non si può che proseguire sulla destra, aggirando le rocce di una nuova dorsale rocciosa, stavolta coperta nei fianchi dal bosco di leccio. I lecci si mostreranno provvidenziali, perché aiutandoci con i loro rami riusciamo ad avere qualche presa salda per non scivolare sulle pietre instabili di questi dirupati versanti, percorsi in passato solo dalle capre e da qualche pastore. Nei boschetti che costeggiano la dorsale rocciosa facciamo anche delle belle scoperte: come una caratteristica grotta con un un buco a forma di cerchio geometricamente perfetto (poi scopriremo che è conosciuta dagli abitanti locali e legata alle leggende sui brigati), e una caverna che ricorda quelle che usavano gli uomini preistorici… L’ambiente è selvaggio e suggestivo… luoghi wilderness a pochi chilometri da un centro abitato… Dopo il bosco sbuchiamo in un canale di pietrisco e massi franosi e incontriamo un piccolo salto roccioso, che si rivelerà il passaggio più pericoloso e impegnativo anche sulla via del ritorno: bisognerebbe arrampicare superando una roccia ma la cosa mi sembra troppo rischiosa, perché il pendio è troppo ripido e non possiamo permetterci di rischiare. 
“No, non me la sento…è pericoloso” dico ascoltando il mio istinto, e mi porto sulla destra per aggirare il salto sfruttando le prese fornite da alcuni lecci. Sono ancora loro ad aiutarci, con i loro rami robusti: a volte viene quasi voglia di dargli delle "pacche" sui... rami, come si fa a degli amici fidati... Superato il salto risaliamo il canalone e sopra di noi si comincia a vedere la “mistica” barriera rappresentata dalle pareti di roccia sommitali della Timpa di Cassano. E, sotto di essa, si profila davanti a noi una macchia fitta e sempreverde di leccio, dall’aspetto rassicurante. Sbucati dal bosco incontriamo dei “lisci”, lastroni ripidi di roccia, da cui possiamo notare meglio la barriera che arresta la nostra speranza di arrivare in cima alla montagna. Dov’è il passaggio per arrivare sulla sommità? Io vedo solo rocce invalicabili… Il passaggio forse c’è, ma siamo sfiniti, non tanto dalla fatica ma soprattutto dal caldo… il sole brucia e sento la mia testa ribollire. Dovremo proseguire e poi esplorare la zona alla ricerca del passaggio tra le rocce. L’ascesa termina qui: sarebbe stato bello osservare nuovi panorami dalla vetta, ma ormai è meglio rinunciare,anche perché ci aspetta una discesa lunga e impegnativa. 
Nel canalone che precede il piccolo salto roccioso si ripresenteranno i problemi. Vincenzo avanti vede com’é la situazione e dice che non si può proseguire, allora propongo di attraversare la pietraia e di portarci sulla destra a ridosso delle rocce, dove sembra ci si possa aiutare sfruttando la presenza degli alberelli: ma anche qui c’è piccolo salto roccioso, ma sotto c’è un (quasi) rassicurante tappeto di foglie secche.. Non resta che buttare zaino e bastoni sotto e di saltare da seduti. Vado prima io, poi Vincenzo. Una foto ricordo del “salto” è d’obbligo. Continuiamo a scendere con attenzione sui nostri passi finché raggiungiamo Palma Nocera e poi il sentiero della Gola di Barile. L’escursione ci ha regalato momenti unici, anche se è stata molto impegnativa e faticosa, anche per il caldo opprimente. 

In paese, chiacchierando con un amico di San Lorenzo che ci ascolta,  veniamo a sapere qualcosa in più sulla Timpa di Cassano. La via che abbiamo fatto noi in realtà prevede il raggiungimento di un passaggio tra le rocce: si tratta di arrampicare per circa tre metri e poi seguire un valico che porta alla cresta. Ma nel percorso di ritorno non si fa la stessa strada bensì una via che scende a Colle Marcione. Inoltre di passaggio ce ne sarebbe anche un altro, che da quello che ho capito però va affrontato con attrezzatura alpinistica. La nostra è stata solo un’avventurosa esplorazione; ritorneremo sicuramente sulla Timpa alla ricerca del passaggio che ci consenta l’accesso allo splendido panorama della sua sommintà… 




18 agosto - Ritorno alla Scala di Barile

sulla sinistra traccia del bellissimo sentiero della Scala di Barile - foto by Indio

Siamo arrivati stamane a San Lorenzo Bellizzi, con la fuoristrada dell’amico Vincenzo A. . Abbiamo in programma un paio di escursioni impegnative, la Timpa di Cassano e il percorso di torrentismo della Gola di Barile. La Timpa di Cassano sarà un’esplorazione avventurosa fatta da soli mentre per le Gole del Raganello abbiamo preso appuntamento con Giuseppe, alpinista e autore bel blog pollinofantastico.blogspot.com. 

A San Lorenzo Bellizzi sarò ospite nella casetta del mio amico Franco, che però non c’è, perché ancora non è venuto qui per le ferie. Nei vicoletti del paese incontro e parlo con le tante persone conosciute l’anno scorso. E’ un paese “altro” San Lorenzo, unico forse anche nel Pollino, per quell’isolamento nella natura e la conservazione del suo aspetto “rurale”, ma soprattutto per la simpatia dei sallorenziani e la presenza di tante persone di cultura che difendono gelosamente le loro radici, e in questi rientrano oltre ai sallorenziani “originari”, che tornano qui solo per le ferie, anche e quelli “acquisiti”, che qui magari hanno comprato una casetta e se la sono ristrutturata. Un borgo del silenzio, dove la vita si svolge secondo ritmi ancora lenti e in cui è viva ancora la dimensione comunitaria dei borghi di montagna. Questi giorni saranno anche l’occasione per rinnovare la mia tessera all’associazione “I ragazzi di San Lorenzo Bellizzi”, fondata con lo scopo di promuovere lo sviluppo socioeconomico del paesino difendendo al contempo la natura e le bellezze del luogo. 

Il pomeriggio decidiamo di sgranchire le gambe percorrendo la stradina che dal paese porta alle Gole del Raganello; raggiunte la Gola di Barile ci inerpichiamo verso le alture di Palma Nocera per andare a prendere il sentiero della Scala di Barile percorso anni fa nel percorso dell’”Anello delle Aquile” (vedi tra i post del 2007). Raggiungiamo il punto panoramico più bello del sentiero, quello in cui il sentiero sembra portare verso un precipizio senza speranza (quando in realtà raggiunto il dirupo il sentiero supera il punto esposto costeggiando in discesa le rocce sulla sinistra). Restiamo qui così a contemplare il superbo paesaggio della gola alle luci del crepuscolo, per poi ritornare in paese con le lampade frontali mentre il buio scende sui boschetti circostanti. 

Diario - 17 agosto 2011

Il sentiero delle "Pietre Tonanti" (escursione con G. Braschi)

un anziano escursionista alla ricerca della superba visione delle "Pietre Tonanti" - foto by Indio; sotto: 1. allocco; 2. "pietre tonanti"; 3. Giorgio Braschi, su un masso; 4. foto panoramica del torrente...




E' sempre bello poter fare un'escursione assieme al maestro Braschi, e così non mi son lasciato sfuggire quella organizzata dal comune di San Severino Lucano al nuovo sentiero delle "Pietre Tonanti".

Si tratta del ripristino di sentieri di pescatori che portano alle rive di un tratto del torrente Frida, molto suggestivo e selvaggio, presso bosco Magnano, partendo da località "Taverna". Braschi è un libro vivente per le sconfinate conoscenze naturalistiche delle montagne del Pollino  ed è sempre interessante seguirlo nelle sue (poche purtroppo) escursioni guidate. Vengo con due  miei amici,  marito e moglie, e ci uniamo al resto del gruppo formato da famiglie, con parecchi bambini e qualche signore più anziano al seguito. Notiamo subito un rapace notturno che dorme appollaiato su un ramo. Si accorge di noi alla fine e vola via. Dovrebbe trattarsi di un allocco: controllo sul mio manualetto di birdwatching e mi rendo conto che proprio di questa specie si tratta. Braschi ci porta alla scoperta del bosco spiegandoci le caratteristiche delle varie specie vegetali; per esempio parlandoci dell'uso storico dell'Erica, che veniva utilizzata per le pipe, o dell'impatto del vischio, pianta parassita, testimoniabile  dalle  grosse palle di legno che si formano a causa sua sui rami dei cerri.

Il sentiero delle pietre tonanti è un percorso adatto a famiglie e facilmente accessibile: ma contemporaneamente permette di avvicinarsi a visioni maestose di natura selvaggia. Ce ne accorgiamo subito quando scendiamo alle rive del torrente Frida, il cui corso è qui ingombro di massi enormi, da cui scendono delle belle cascatelle. Questo tratto di riva era ingombro di rovi che nascondevano lo spettacolo a cui possiamo ora  assistere, per cui è stato necessario tagliare i rovi e sarà sempre necessaria un po' di manutenzione perchè i rovi, con la scomparsa del pascolo, invadono qualsiasi tratto di torrente; l'altra riva è invece completamente selvaggia e impraticabile.
L'intento del buon Giorno è sempre quello di mostrare gli spettacoli della natura senza però deturparla, con sentieri non invadenti (e del resto già esistenti in passato) ma allo stesso tempo resistenti del tempo. Questo tratto del Frida d'inverno è spesso invaso dalla piena, per cui il sentierino estivo che si snoda lungo la riva è sommerso dall'acqua e perciò Giorgio ha creato una variante invernale, che valica due rocce che lui vorrebbe chiamare "sentiero delle teste dei briganti". Con Giorgio discutiamo della possibile istituzione, impegnando l'AIW, di un' Area Wilderness delle Gole del Frida di Magnano, a partire dall'area ricadente nel comune di San Severino Lucano... che comprenda, a parte questo breve tratto di facile accesso, il restante corso del fiume, che  è completamente selvaggio e praticabile solo con attività di torrentismo. E' una bella idea!


C'è un signore anziano nel gruppo che agilmente e senza bastone saltella tra i massi e sembra felicissimo di quello che sta osservando. La natura selvaggia è un bisogno che tutti hanno e può riempire di gioia i cuori dei vecchi come dei bambini... l'importante è viverla con naturalità e semplicità... Dopo le teste dei briganti c'è il posto che più mi ha colpito delle "pietre tonanti", una di quelle visioni capaci di commuoverti... degli alberi caduti e marcescenti, vegetazione lussureggiante, un ampio letto del torrente con delle belle pozze d'acqua, dei massi enormi, uno dei quali ha forma di una "tartaruga". Anche l'arzillo e anziano signore va ad osservare lo spettacolo, con le sue sottili scarpine di pelle, indifferente alle pietre e al terreno accidentato...




lunedì 15 agosto 2011

Tramonto di Ferragosto


La montagna allora è solo una sagoma evanescente, sostanza immateriale, miraggio scenico che si confonde con la volta crepuscolare...
 nell'atto di un'unione tra cielo e terra, che si realizza nell'immateriale sostanza della luce.
Indio

sabato 13 agosto 2011

La Montagna - di Mauro Corona




Mauro Corona, alpinista, scultore, scrittore, ma soprattutto "montanaro"; sotto: copertina de: "Il volo della Martora", il suo primo libro e il più bello per chi scrive; Mauro in arrampicata; un'immagine delle Dolomiti Friulane (fonte internet); il Campanile di Val Montanaia, in un disegno di Corona; Veduta di Val Montanaia e del "campanile".

(fonte articolo: http://www.wildworld.it/index.php?option=com_content&view=article&id=66:la-montagna-di-mauro-corona-leggetelo-tutto&catid=23:storie-e-articoli-di-montagna&Itemid=81)

"Io credo che la montagna abbia la voce e ci parli. Parla, sì parla. Siamo noi che non vogliamo più sentirla perché oggi ci mette a nudo. Molti l’hanno uccisa - dentro di loro prima di tutto - ma la montagna parla ancora. Perché la montagna è dio, è il mare, è il deserto è la vita che ci ha dato da mangiare. Dio, siccome non poteva farci da mamma, con la sua presenza, ha fatto la montagna. Essa ci aiutava a tenerci in vita ma, con la sua energia, anche ad ascoltare, a sentire. E’ questo che abbiamo ucciso. Era ricca la montagna, noi ne abbiamo spento le risorse proprie. E la montagna prova dispiacere, si vede. E’ chiaro che parla ancora a chi la vuol sentire. Ma oggi la spremono solo per fare soldi, per accumulare questi maledetti soldi: quindi non ce la fa più.
E’ spremuta. Hanno illuminato la Tofana: lasciate piuttosto che la illumini la luna. La montagna deve essere come una medicina, che ci aiuta a stare un po’ meglio. Non risolve tutti i nostri problemi, ma ci aiuta. Invece la vogliono fare diventare una fabbrica di soldi. Non ce la fa, è chiaro che non ce la fa. A nche l’alpinismo e i suoi club hanno spesso rovinato la montanga. Sport, fretta, prendi e getta, conquista, moda. Invece bisogna insegnare ai bambini, a scuola, a percorre la montagna, anche piano. Occorre introdurre le guide alpine nelle scuole, che insegnino a camminare i primi cento metri, i più difficili, a fare un mucchietto di sassi, a rompere un rametto, in modo che se ti perdi sai come tornare indietro. La montagna è stata sempre vissuta in maniera naturale, ora la preconfezionano. Così parla a quei pochi, ormai, che hanno l’antico sentire, ma sempre meno ai giovani. Che sono isolati: sono stati isolati dalla montagna. Vanno con tute che non fanno nemmeno sentire la neve addosso ai bambini, non glielo permettono. Invece la neve era un massaggio cardiaco, fresca, faceva magari freddo alle mani, ma scaldava il cuore. I ragazzi si fortificavano. Oggi invece la montagna viene isolata dall’uomo, si cancella il freddo, il buio, la fatica, la paura: c’è una mancanza assoluta di naturalità nel rapporto fra l’uomo e la montagna. Lei si avvilisce e non parla più. Per questo dovrebbe essere tutti gli anni «l’anno delle montagne». Per me lo è, da tutta la vita e per sempre: altro che una botta e via, qualche miliardo di pubblicità, manifestazioni e poi tutto resta com’è. Il rischio è di fare l’ennesimo «anno contro le montagne» parlandone bene. Se manca la naturalità, la montagna è muta, chiusa in se stessa. Ogni scusa è buona. Il centenario di questo, l’anno di quell’altro. Hanno illuminato il campanile di non so che cosa, quel pinnacolo di Montanaia o le torri del Vajolet, vogliono fare delle cose che non sono naturali per la montagna: concerti rock sulle piste, rally attraverso i pascoli abbandonati dalle vacche. Deve invece restare la luna a illuminare la montagna, non le lampadine, o i fari lungo le piste per sciare di notte sulla neve artificiale. Ma ci rendiamo conto della realtà? E questo lo fanno perchè? Per far tirar fuori dalle tasche l’euro al turista. E’ il tempo per tornare a educare i bambini, l’alta quota non può essere solo divertimento.

Non va bene. Se non nevica non si va a sciare, ecco. E non si va avanti a miliardi: perché allora devono fare la neve, devono attingere alle fonti d’acqua per fare la neve, già ce ne era poca di acqua. Ma lo vogliamo capire che le cose si fanno quando si possono fare? Se non nevica più perché l’uomo ha devastato il cielo e l’atmosfera dove abita dio, pazienza: non si va più a sciare. Un castigo, ma l’avete voluto voi. Io credo invece che si possa vivere in montagna senza trasformarla in questa spaventosa macchina per fare soldi. Certo che si può rimanerci, ma la verità è che non si vuole più solo vivere. Si vuole qualcosa di più. Chi vive in montagna ce la farebbe. Vivo pure io, o i boscaioli. Felici. Ma troppi vogliono invece solo arricchirsi: non quanto basta, molto. Allora il boscaiolo non si accontenta più dei tre milioni al mese che potrebbe guadagnare lavorando, ne vuole trenta, come succede a un boscaiolo qui, che porta giù dodici camion al giorno di legname. L’arricchimento: è questo il punto di cui si fatica a parlare. Non è più avere ciò che basta per mangiare con la propria famiglia, per avere una casa. Quello che conosco io va in giro in Ferrari, assassinando i boschi. E lo permettono, perché lo permettono. La mia speranza sono i bambini. Ad essi bisogna cominciare fin dall’asilo a introdurre nel cuore la montagna, la naturalità del vivere in montagna, l’amore. Insegnare anche ad usarla con i sensi, con l’olfatto, con l’udito, i rumori, i colori. Hanno girato un film sul Vajont: nessuno degli attori mi ha mai parlato dei colori della montagna. Non li vedevano. E a questo vanno educati i piccoli nelle scuole. Anche introducendo la figura della guida alpina come maestro di supporto. Ma lo vedete che attraversano i torrenti ingrossati e non capiscono che il torrente gli parla? E annegato uno scout. Ha attraversato il torrente, ma lui dopo otto giorni che pioveva gli stava dicendo: guarda che sono ingrossato, sono pericoloso. I bambini guardano un albero che si muove fuori dalla stanza e non sanno capire che c’è il vento.

Pensano che sarà qualcuno che lo muove, o le pale del Mulino Bianco. Dobbiamo pensare a queste cose. Oppure decidiamo di uccidere la montagna, ma diciamolo chiaramente, non facciamo finta di fare gli ecologisti o di promuovere gli anni internazionali che ingrassano chi se ne occupa e inpoveriscono chi vive sui monti. Non è possibile che in un parco, dove prendono miliardi di finanziamenti, come nel parco delle Dolomiti friulane, scorazzino in macchina due trecento maleducati al fine settimana e possono fare ciò che vogliono impedendo il silenzio, o di guardare gli animali. Mentre ai cacciatori, se onesti amanti profondi della natura, tutto è vietato. In montagna vanno per prendere, non più per ricevere un dono, un’energia, una medicina per la vita, un po’ di tranquillità. Perché è medicina anche l’energia degli alberi, soprattutto in primavera: senti che stai bene, che ti lasci alle spalle le magagne. Non sanno più usarla, la montagna, e non riescono più a lasciare a casa la città. Così arrivi in un rifugio e ti trovi con una radio a tutto volume. Non vi proibisco di portare la radio, se proprio la volete, ma tenetela bassa. E se ascoltate la radio o guardate le tivù, non sentirete la montagna, gli alberi, il vento. Sarete altrove, dove siete sempre. La montagna poveretta, vede tutto questo e si è avvilita a morte, proprio avvilita. Adesso ha bisogno di essere rimeditata. E’ un dono di dio e non è retorica falsa. E’ spiritualità perché la montagna è anche un compagno di viaggio, è un grembo materno. Naturalmente ogni tanto la mamma si stiracchia e butta giù qualche pulcino, come accade ad una chioccia. E’ sì, soprattutto spiritualità, è un messaggio divino vedere queste cose di bellezza, di potenza, anche questi messaggi di rimprovero: ma tutto al fine di farci stare meglio. In mancanza della mamma ci si affida a questa natura. Ma bisogna avvicinarsi con l’educazione del sentire e oggi non te la danno più. Anche i programmi televisivi e i libri sulla montagna, sulla natura, sono solo tecnici: nessuno parla di dio, della consolazione, della serenità che può infondere un bosco o un sentiero. E’ tecnica. C’è il geologo con il martellino che ti dice che questa pietra è del giurassico, 300 milioni di anni. No: trecento milioni di preghiere, di anime, non di anni. La vogliono ridurre a pietra, e non va. E poi è assolutamente una scuola di vita. E’ una scuola se tu la frequenti e qui torno a insistere, in maniera naturale. E’ scuola sì. Quando hai camminato dieci ore per arrivare su una cima (e non scalare, quello è un esercizio che va al di là), quanto arrivi su un cima e poi torni giù, quella è scuola. Perché ti insegna, la montagna, che da una vetta non vai in nessun posto, puoi solo scendere. Quindi anche nella vita, ti fa capire, che chi raggiunge dei traguardi deve poi solo imparare a scendere da essi. Ed è difficile, perchè si è stanchi e spesso l’ora è tarda. Dopo di che insegna la fatica, poiché la montagna è in salita, come la nostra vita.

Ti consuma energie, ma quando arrivi in un rifugio o a casa tua e mangi un panino, capisci e che il tonno non deve tagliarsi con il grissino, per essere buono. Deve prima di tutto essere vero. Così la montagna ti mette a nudo la naturalità, ti impegna a essere in rapporto con le cose autentiche, con la verità delle cose fisiche. Ed è qui che la spiritualità si salda alla fisicità, che la spiritualità moltiplica la percezione di tutti i sensi. Quando dopo le ore di cammino trovi una sorgente che butta acqua capisci quanto dio è stato il dio che ha inventato l’acqua e quanto preziosa è. E nella fatica apprezzi non solo il bicchiere d’acqua, o il pane, ma anche l’amicizia, gli incontri. La montagna manda questi messaggi: anche gli odori, i rumori. Ma avete mai sentito il torrente correre? Chi si ferma a sedersi per sentire che l’acqua non fa differenze come noi, ma bagna tutti i sassi? Quelli neri e quelli bianchi, quelli limacciosi e quelli lucidi? Però bisogna essere umili per capire. Bisogna ascoltare. Spogliarsi di tutto quello di falso e apparente che c’è. Quando ascolto l’acqua di un torrente non mi importa niente della Ferrari, ma quando mancherà l’acqua - e mancherà - tutti questi Soloni che parlano di petrolio e di automobili avranno il terrore, perchè avranno ucciso il bene più prezioso del pianeta. Allora, con la montagna, avranno ucciso anche un pezzo di dio".


Mauro Corona