domenica 30 giugno 2013

Diario - 29/30 giugno 2013

Alla scoperta delle Alpi Apuane: cima di Pania della Croce

aspro panorama roccioso , da Pania della Croce - foto by Indio
 Avevo suggerito a due ragazzi del corso che sto frequentando a Lucca un'uscita sulle Apuane, nel Parco regionale delle montagne omonime, a me ignote (le avevo solo viste da lontano qualche volta andando a Genova, e da Massa) che dalla cittadina Toscana distano circa un'ora di macchina. La meta prescelta è il monte Pania, molto frequentata dagli escursionisti. Le Apuane sono vette che non raggungono i 2000 metri ma dalla conformazione molto "aspra" e rocciosa. Sono caratteristiche anche per i famosi marmi e le cave ormai storiche. Il nome richiama il popolo degli antichi Apuani, una fiera tribù ligure, dedita proprio al culto delle vette...
Assieme a Niccolò si arriva al bel paesino di Pruno,  incastonato tra le montagne e circondato dai boschi, dalla caratteristica architettura contadina in pietra. Da lontano notiamo il Monte Forato, famoso per l'arco roccioso che lascia un buco sulla sommità della montagna.

Aspettiamo Alessandro, già conoscitore di queste montagne, che arriva poco dopo di noi e ci incamminiamo verso l'imbocco del sentiero, che all'inizio appare come una comoda ma ripida mulattiera ricavata dalla roccia. Anche da queste parti si notano le tracce di vecchie cave di marmo. Notiamo anche delle rocce di Ardesia, argilla "compattata" che si può tagliare a lastre, usata tradizionalmente da queste parti per la copertura dei tetti nonchè per la costruzione delle lavagne. Il sentiero sale in boschi di macchia mediterranea, in cui notiamo anche castagni e qualche albero di noce; passiamo accanto a quello che doveva essere un essiccatoio di castagne e incontriamo una delle prime "marginette" situate lungo questi sentieri, cappellette in pietra testimonianza della religiosità contadina di un tempo; oltre che luoghi deputati alla preghiera dei contadini avevano anche la funzione di riparo in caso di forti acquazzoni. Siamo in località "Le Caselle". Abbiamo appunto notato le casette dei caratteristici alpeggi, che venivano utilizzati dalle famiglie dedite all'agricoltura di montagna e alla pastorizia... erano prolungamenti di un paese, tanto che si parla dell'Alpe di Pruno, di Volegno ecc. Alcune lapidi risalenti alla Seconda Guerra Mondiale viste prima invece, ricordano forse partigiani caduti in disgrazia o forse semplici cittadini.


Dal bosco sbuchiamo sopra, nei pascoli, e la vegetazione cambia, anche se siamo solo a circa 1000 metri. Sotto di noi, lontani appaiono i paesini immersi nei boschi, come Volegno e il suo campanile. Noto dei bei garofani selvatici dal colore brillante, fiore presente anche sulle alte quote del Pollino. Si va verso il Passo dell'Alpino e qui il panorama spazia fino al mare...  il versante di fronte a noi è stato modificato da una vecchia cava di marmo con tanto di strada a zig-zag e si chiama Monte Corchia.





Adesso siamo diretti al Rifugio del Freo e incontriamo il bosco, in cui spiccano principalmente maestosi abeti rossi... Sbuchiamo in pianori circondati dalla boscaglia, non andiamo verso il rifugio ma ci dirigiamo subito verso il sentiero che ci porterà in cima alla montagna, che ci sovrasta con la sua "grigia" imponenza di pietra. Incontriamo un pacifico asinello che scende lungo il sentiero. Il sentiero comincia a farsi ripido e si inerpica un po' a zig-zag sui ripidi e rocciosi pendii. C'è marmo dappertutto ed è per me un contatto inedito quello con questo tipo di roccia. Cala anche un po' di nebbia ma non toglie troppo alla visibilità del panorama...


  




La parte più bella dell'escursione, almeno per me, è quando raggiungiamo un crinale molto panoramico,da cui posso osservare angoli selvaggi di montagna dominati dalla roccia e quello che Alessandro indica come il "naso" dell'uomo morto, un singolare pinnaclo a forma di "pandoro", parte dell'Uomo Morto, appunto, tratto di montagna posto fra le due Panie (la seconda è Pania Secca), che ricorderebbe il volto di una persona coricata. Si va verso la vetta, indicata da una enorme croce di ferro, una delle tante cose che sulle cime non approvo (e ci sarebbe da ridire anche sulle tante piccole lapidi in ricordo di persone morte affisse sulla roccia). Un po' di riposo in cima e poi si ridiscende per la stessa strada...




Andiamo a prendere un caffè al rifugio, dove ritroviamo l'asino incontrato di mattina, che se ne sta proprio sulla soglia... Alessandro ci lascia e si avvia verso il ritorno, mentre io e Niccolò campeggeremo all'aperto per ripartire domattina con calma.  Scegliamo una bella radura attaccata al bosco, con un cerchio di sassi ammucchiati già esistente dove si può fare il fuoco. Ha cominciato a piovere, ma non troppo forte e gli abeti ancora ci riparano. Niccolò ha il telo e lo leghiamo a due alberi in modo da formare un riparo di fortuna per la notte. Io userò il mio materassino gonfiabile, mentre Niccolò, appassionato di tecniche di sopravvivenza, si diverte a costruire una lettiga con due lunghi rami trovati nel bosco e dello spago. Intanto dopo un'ora smette di piovere e possiamo fare il fuoco.Nella mia scatola da scout "brownsea", che porto sempre con me, ho dei fiammiferi e una candela... usiamo quelli. Mi è sempre piaciuto dormire all'aperto e sinceramente non amerei dormire in rifugio... Se esco di casa per andare in montagna più giorni, cerco sempre di non ritrovarmi di nuovo "tra quattro mura", perciò preferisco la tenda o ripari di fortuna. C'è da dire che per dormire all'aperto bisogna avere con sè un buon sacco a pelo; anche d'estate le temperature in montagna scendono parecchio.

Intanto il cielo è ritornato sereno e le rocce della Pania si tingono di luce rossastra... Poi cala lentamente il buio, mentre si sta attorno al fuoco a chiacchierare. Il buon Niccolò prepara una tisana utilizzando una gavetta militare. E' un buon "scaldabudella" prima di andare a dormire, mentre tutt'intorno il chiarore notturno del cielo ci dà la buonanotte.



by Indio

sabato 8 giugno 2013

Diario - 8 giugno 2013

Ritorno a Lago Vivo (Parco Nazionale d'Abruzzo)

Lago Vivo - foto by Indio

Dopo quasi due anni è stato davvero un piacere ritornare nel cuore verde e selvaggio del Parco d'Abruzzo, che ormai considero la mia "seconda patria", dopo il Pollino.L'amico Vincenzo A. non lo aveva mai visitato e così capitando a Roma c'è stata l'occasione di organizzare una bella escursione a Lago Vivo, uno dei posti più belli tra quelli che ho avuto la fortuna di visitare nel Parco. Per Vincenzo l'ideale era fargli scoprire questo Parco accompagnandolo qui, compiendo un'escursione facile e breve ma molto suggestiva. Da Pescina, il paese di Fontamara nel noto romanzo di Silone, ci portiamo in direzione di Pescasseroli. L'imbocco del sentiero è, come ricordo, dopo il paesino di Barrea. Il sentiero è il K4, ci porterà nelle splendide faggete del Serrone e poi a Lago Vivo. Proprio le faggete diradate sono uno degli ambienti che più mi affascinano del Parco, anche perchè sono in un buono stato conservativo, con esemplari di faggio enormi...



Si notano incise in alcuni faggi secolari, lungo il sentiero, delle vecchie scritte; bella la calligrafia... saranno molto antiche.

Più avanti avvisto un capriolo che pascola in una radura... se ne scappa nel bosco. Si stagliano imponenti sullo sfondo dei rami le Montagne della Meta. Lago Vivo è ormai vicino.
Sbuchiamo nel pianoro e possiamo notare il lago; due anni fa erano i primi di settembre e il lago era quasi prosciugato, invaso da cavalli e mucche. Ci sono altri escursionisti, nei pressi della Fonte degli Uccelli, una fontanella in pietra scolpita, che raffigura appunto due uccelli.

 Ci fermiamo a mangiare sulle rive del Lago, poi procediamo verso l'alto, in direzione dell'altro sentiero che ci porterà presso la Sorgente delle Donne  e più sotto verso la Sorgente Sambuco. Si stagliano imponenti il Monte Petroso, il Monte Tartaro e il Monte Meta... dei veri bastioni rocciosi della natura più integra dell'Appennino centro-meridionale. 


Poi proseguiamo verso la faggeta, dall'altra parte. Faggeta sempre stupenda, il sentiero che sembra una mulattiera poi scende ripido disegnando vari tornanti delimitati da massi allineati. Il bosco è tutto un concerto di melodie di specie d'uccelli... è curioso come a circa tre ore di macchina da una metropoli come Roma ci sia questa pace, in una natura ancora così incontaminata... Anche qui notiamo alberi maestosi. Poi alla fine sbuchiamo alla sorgente, segno che la strada sterrata che ci condurrà a quella asfaltata e al posto dove abbiamo lasciato la  macchina...


by Indio