sabato 5 agosto 2017

Diario - 2 agosto 2017

Nell'Inghiottitoio di Zaperna
Nell'Inghiottitoio di Zaperna - foto di M. Lofiego

Fa caldo e questo pomeriggio non ho voglia di uscire... nè di camminare nè di prendere la bici. Maurizio mi chiama con l'idea di andare all'Inghiottitoio di Zaperna. Io non c'ero stato ancora: quando Maurizio, Antonio e Tonino andarono a vederla un anno e mezzo fa, ero fuori regione.
 Come premessa, bisogna fare cenno alla storia delle esplorazioni di questa magnifica grotta. La prima esplorazione dell'Inghiottitoio di Zaperna, detto in dialetto anche "Auz i Pizzulu", risale agli anni Novanta, ad opera di Giorgio Braschi e altri escursionisti di San Severino Lucano. Si sapeva che da quelle parti ci fosse una grotta ma solo i pastori conoscevano il sito. Gli speleologi riuscirono a trovarla su indicazione di "Zulio", un escursionista di Viggianello. Successivamente il Gruppo Speleologico Sparviere fece un'altra perlustrazione ed eseguì il rilievo della grotta, per procedere poi ad accatastarla. La relazione e il rilievo sono presenti nel libretto edito da "Il Coscile" "Le grotte della Valle del Mercure" (di C. Marotta, A. Larocca, A. Tedesco).
Esiste un video di Antonio Provenzano della prima esplorazione, e mi andava di fare delle riprese con la mia Go Pro al fine di creare un video per il nostro canale youtube. Arrivati all'ampio ingresso ci mettiamo le nostre tute da lavoro e cominciamo a scendere. Si procede facilmente senza corda luno un ampio corridoio, in discesa, per poi incontrare una stretta galleria. Bisogna strisciare, il passaggio è angusto. Questo è il punto chiave, una bassa strettoia che inizialmente era ostruita dai massi e che fu liberata nel corso della prima esplorazione speleologica. Una cosa che ci stupisce subito è il luccichio dorato delle rocce: l'effetto è dovuto a quelli che sono probabilmente dei licheni, i quali, coperti da goccioline di acqua che trasudano dalla roccia, riflettono la luce delle lampade frontali. Accanto a questi licheni dorati ne esistono anche altri "argentati". Cominciamo ad ammirare le belle concrezioni calcaree e le piccole stalattiti delle pareti. La galleria a volte si restringe ma con un po' di pazienza si passa facilmente. In alcuni punti si trovano delle rocce taglienti, a lama di coltello (a me hanno ricordato anche i denti degli squali!). Le nostre tute di cotone e l'imbrago si impigliano a volte su queste pareti. Solo in due casi mettiamo la corda, in prossimità di due salti rocciosi di due e tre metri, tranquilli ma scivolosi a causa dell'acqua: è sempre bene perciò assicurarsi. Nonostante i percorsi stretti e tortuosi subentra non la claustrofobia, ma una sensazione di sicurezza, quasi di pace, di libertà. Lasciarsi alle spalle il mondo della superficie con tutti i suoi problemi ed accedere al mondo sotterraneo... E' un ritorno simbolico al grembo di Madre Terra, che le culture primitive veneravano offrendo doni e realizzando pitture proprio nelle grotte. La luce delle lampade esplora le meraviglie create dall'acqua nel suo contatto con la roccia e le concrezioni calcaree sono i monumenti di queste cattedrali sotterranee. Un pipistrello svolazza in alto nelle spaccature della volta della grotta, successivamente troviamo degli strani funghetti su un ramo marcio portato dall'acqua. Si notano degli insetti appartenenti all'ordine dei ditteri, delle mosche che popolano gli ambienti ipogei. E' possibile che in ambienti come questi esistano specie ancora sconosciute.

Il momento più emozionante è quando troviamo le "perle di grotta", che Maurizio aveva già visto: in gergo geologico si chiamano pisoliti e si creano nelle vaschette piene d'acqua a causa di piccoli vortici che generano il deposito di successivi strati di calcite, per accrescimento intorno ad un nucleo iniziale. In questo caso ricordano dei "confetti" lucidi e luccicanti. Al di là dell'interesse scientifico, è primariamente la bellezza in sè di queste formazioni a sucitare la nostra meraviglia. Ovviamente questi piccoli tesori vanno solo ammirati, nemmeno toccati. La loro rimozione creerebbe un dano enorme all'integrità e alla bellezza di questa grotta; ed ecco perchè è bene che tali cavità siano conosciute e visitate da poche persone che le rispettino (e senza rivelarne l'ubicazione). Almeno in questo caso comunque la grotta si difende da sè, perchè richiede esperienza speleologica. Ci sono ancora altri saltini e tratti stretti di galleria prima di arrivare alla stanza finale, dopo la quale l'esplorazione si interrompe. Proprio qui abbiamo una grande sorpresa: Maurizio trova un cranio di capriolo con un bellissimo palco. L'ipotesi è che il cranio sia stato trascinato dall'acqua dall'ingresso oppure che qualche lupo abbia trascinato la carcassa all'interno della parte iniziale dell'inghiottitoio per nasconderla, e poi l'acqua l'abbia spinta ancora più giù. La grotta è lunga 165 metri, si sviluppa obliquamente, non è quindi un pozzo con lunghi salti verticali, che altrimenti avrebbe richiesto calate e risalite su corda per decine di metri. Siamo a circa 50 metri sottoterra. L'istinto è quello di contnuare, vorremmo ancora scendere, chissà quali altre meraviglie ci attenderebbero. E' il fascino dell'ignoto, è il richiamo della scoperta e dell'avventura che forse mai è amplificato come nelle grotte: forse l'ultima frontiera di una wilderness immutata nei millenni, che l'uomo ha esplorato solo in minima parte...

Video dell'uscita speleologica all'Inghiottitoio di Zaperna






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