Erano anni che non scendevo d'autunno a casa. Uno studente universitario fuori sede in genere si fa a casa Natale, Pasqua e le vacanze d'estate. Qui in città l'autunno è come se non esistesse. Per capire cos'è l'autunno bisogna quindi farsi un giro in montagna.
Ai primi di novembre ho potuto, fuggevolmente, scendere in Basilicata per qualche giorno, nella mia terra. In questo periodo il paesaggio attorno al mio piccolo villaggio è un'esplosione di colori. Si va dal giallo acceso dei pioppi che costeggiano i torrenti, all'arancione, al rosso cupo delle foreste di faggio. Ogni albero ha il suo colore o la sua varietà di colori. Non ho potuto organizzare un'escursione, in montagna, ma ho deciso lo stesso di uscire fuori, attorno alla mia casa, per catturare gli scorci d'autunno del nostro Pollino, fatti non solo di paesaggi, ma di odori, di sapori, di abitudini che ritornano dopo ogni anno. Fotografo le case lungo le stradine e la chiesetta del paese attorniata di alberi dai colori più svariati. Il ciclo della natura si ripete, come si ripetono le attività e gli antichi mestieri dell'uomo legati ad esso; si ripetono le stesse immagini. Mi reco poi nel mio orto alla luce tersa del mattino. Anche qui c'è coacervo di colori e sensazioni. Avverto una gradevole sensazione di pace. Il mio gatto gioca spensierato, mia madre raccoglie la verdura nell'orto.
Gironzolo divertendomi a catturare immagini di gocce d'acqua sugli ortaggi, piante di granoturco ormai secche, cesti di noci e di castagne, foglie colorate delle piante da frutto... Nessun soggetto è banale. Tutto può avere in sè una sorta di poesia, che si manifesta in particolari momenti... Anche una goccia su una foglia può dire molto a chi ha occhio e un pò di sensibilità . Romanticismo a parte, molti fotografi della natura spesso non vanno chissà dove per fare i propri capolavori. Basta anche un prato, un orto, per mettersi alla ricerca di un'immagine che ritragga lo stupore e la bellezza della natura (ovviamente ci vogliono gli strumenti adatti, come magari un costoso obiettivo macro... ma questo è un altro discorso... ) La bellezza non è oggettiva, sta a noi saperla cercare, sta a noi riuscire a carpire quei momenti in cui la natura ci rivela le sue immagini segrete..
martedì 27 novembre 2007
giovedì 22 novembre 2007
Il progresso... verso la distruzione
Il concetto di progresso è stato l’ideologia motore, per certi versi, della modernità. L’idea comune che dominava la mentalità collettiva era che, con la crescita economica, l’industrializzazione e in generale con il dominio spinto sempre di più dell’uomo sulla natura l’umanità avrebbe progredito verso una meta fatta di felicità e benessere. Per il liberalismo era l’economia di mercato, la libera concorrenza e la creazione di nuovi bisogni indotti i fattori che avrebbero rivoluzionato in meglio le possibilità della civiltà umana. Contro questa ideologia si è sempre battuto il socialismo e i suoi teorici, i quali facevano anch’essi propri l’idea di progresso, ma interpretandola come il risultato della lotta che il proletariato avrebbe condotto contro la borghesia per l’edificazione di una società senza classi, la quale avrebbe enormemente sviluppato le capacità produttive dell’umanità in funzione dei bisogni sociali (e non del profitto). Tutti comunque fino alla fine del Novecento non mettevano in dubbio l’idea del carattere progressivo del mutamento storico. Oggi questa idea che ha dominato la mentalità e la cultura occidentale per secoli, sembra ormai in crisi. Qualcuno forse pensa davvero che progrediremo, viste le condizioni, verso il meglio? Se esiste o è un ignorante, un idiota oppure un individuo in malafede. Il futuro appare funesto e nell’immaginario collettivo si è imposta la convinzione che l’uomo debba pagare prima o poi i costi di un sistema economico che si è servito senza freni delle risorse naturali per sfruttarle senza mai pensare agli effetti sull’ecosistema. Ma ecco, siamo arrivati alla resa dei conti. E il giustiziere che appare all’orizzonte è proprio la natura. La natura “si ribella” agli scempi della civiltà umana, la civiltà delle grandezze apparenti e dello strapotere illusorio dell’ingegno umano. La civiltà dei grattacieli, delle grandi fabbriche che inquinano, delle auto lussuose che sfrecciano a 300 all’ora su strade di cemento che vogliono arrivare dovunque oltraggiando persino le maestose barriere montuose; la civiltà del nucleare e della corsa ad armamenti sempre più potenti, della distruzione di culture millenarie in armonia con la natura e delle metropoli del Terzo Mondo affollate di poveri disperati; la civiltà che ha annullato il rispetto per la vita e per la bellezza della natura; la civiltà che tratta ogni essere alla stregua di un oggetto senza anima, sia esso animale, pianta o persona, da sfruttare, perseguitare, uccidere, usare sempre e comunque per qualche fine utilitaristico. E’ la nostra civiltà, fondata sull’arroganza e sull’ignoranza, che impone stili di vita alienanti e massificanti, che si nutre di sofferenze continue, guerre e catastrofi ambientali … una civiltà che alla fine dei conti è fondata a voler ben vedere proprio sulla follia. Ma la natura sta cambiando e si rivolge contro questa civiltà della distruzione. I ghiacci si sciolgono, il clima cambia, gli uragani tempestano la terra, la siccità avanza desertificando vaste aree del pianeta e il mondo appare giorno dopo giorno più povero e più squallido. Ma che ci importa della natura? Il nostro progresso ci ha dato tante belle cose … il telefonino all’ultima moda, la televisione, i prodotti di bellezza, l’autostrada a dieci corsie, centri commerciali sfavillanti di luce, le notti bianche del consumismo sfrenato, i vestiti sgargianti alla moda e le vacanze nei villaggi turistici su costiere cementificate a dovere. Sono o non sono questi i grandi progressi dell’umanità? Ma siamo davvero progrediti? Lo sviluppo di una scienza e di una tecnologia che viene adoperata per distruggere e avvelenare rappresenta una conquista per l’umanità? Ancora c’è chi si ostina a definire le critiche degli ecologisti solo dei futili allarmismi … cose insignificanti; denunce di gente un po’ tonta che gioisce per gli uccellini che cinguettano e pensa solamente a come salvare i panda dalla distruzione; gente fanatica che ci vorrebbe far tornare indietro all’età della pietra! Ma non viviamo del resto in quello che il filosofo Karl Popper ha definito, riferendosi al Novecento, come il migliore dei mondi possibili, nonostante tutto? Per il filosofo liberale le due guerre mondiali, i totalitarismi, la fame nel Terzo Mondo, i disastri nucleari e chi più ne ha più ne metta sono stati solo una bazzecola. I critici della modernità rappresentavano per Popper i nemici della “società aperta”. Sarà. Pace anche all’anima sua... E così andiamo avanti, ancora, senza tregua. Non si pensa a come salvare in extremis questo mondo alla deriva, ma a come fare in modo che riprenda la crescita economica, a come essere competitivi sui mercati, a come partecipare alla spartizione imperialista del pianeta, alle grandi opere con le quali distruggere quel poco di ambiente che ci sta attorno. Il liberalismo è ormai la nuova religione. E il gergo liberale ammanta ormai anche i discorsi dei moderati “di sinistra”; di coloro che da giovani si proclamavano rivoluzionari e che adesso guardano al capitalismo come a qualcosa di ineluttabile, ad un sistema quasi "naturale" che dobbiamo alimentare nonostante stia scavando la fossa a questa povera umanità. Ma il cinismo dei cosiddetti moderati caratterizza ormai sia la destra che la sinistra. Cosa ha rappresentato questo progresso per l’umanità, dove ci sta portando? La promessa della civiltà capitalistica è consistita nella prospettiva di un benessere fondato sul consumismo, un consumismo che pervade ogni aspetto della vita delle persone, di quelle ricche e di quelle povere, anche di quelle che quindi non possono consumare. L’aspetto dominante della vita è diventato quello della quantificazione, del possesso, per cui ogni cosa ha valore soltanto nella misura in cui questo valore è misurato in termini economici. Per dirla con Erich Fromm è la modalità dell’avere a dominare ogni aspetto delle relazioni sociali, in questo mondo usa e getta. La ricerca ossessiva dell’opulenza, di oggetti di cui circondarsi, di status symbol recanti comunque il richiamo al prestigio ed alla ricchezza sono i tratti dominanti della nostra epoca. Ed in una società fondata sull’opulenza una profonda voragine separa chi sta all’estremo positivo di questa opulenza e chi all’estremo negativo, quell’estremo che è rappresentato dalla miseria e che si configura come la base e la condizione perché pochi ricchi si approprino delle ricchezze a scapito della maggior parte di coloro che ne sono esclusi. La ricchezza cioè esige la povertà... è una storia vecchia. Le periferie del mondo sono piene di gente affollata nelle baraccopoli delle grandi metropoli, di gente che ha reciso i legami con la propria terra ed è stata costretta ad emigrare. Sono quelle che Zigmunt Bauman chiamava efficacemente le vite di scarto, i soggetti ingombranti di questa civiltà dei rifiuti. Intanto una classe di pochi privilegiati ingrassa sulla distruzione e la miseria del mondo. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo procede di pari passo allo sfruttamento dell’uomo sulla natura, la cui distruzione si configura ovviamente necessaria per la sopravvivenza di un modello di sviluppo fondato sulla corsa irrefrenabile al saccheggio delle risorse naturali, per produrre beni che a loro volta infittiscono i danni all’ambiente. Questo modello è ben rappresentato dalla selvaggia crescita economica della Cina, in meno di un decennio, che come un incubo ha ricalcato lo sviluppo moderno del capitalismo industriale che si era protratto in Occidente in un lungo arco di tempo. Questo modello di sviluppo economico ha in sé ancheuna sua valenza ideologica fondata su alcune assunzioni di base. Si prevede che l’uomo debba vivere in megalopoli affollate e inquinate, che si debba costruire e cementificare sempre di più, che non ci sia limite al reperimento delle risorse naturali, che la natura sia qualcosa di cui disporre a nostro piacimento, che il lavoratore non sia altro che un manichino che debba lavorare come una bestia per ore e ore; che nel consumismo si realizzano le aspirazioni fondamentali delle persone. La nostra civiltà dominata dalla tirannia si rivolge così allo stesso tempo contro l’uomo e contro la natura. Il modello di sviluppo economico dominante è fondato sull’anarchia del libero mercato, sullo strapotere delle multinazionali, sulla fine di ogni tipo di criterio razionale nella gestione delle risorse naturali. Già è opinione di molti studiosi che l’uomo ormai debba adattarsi ad un mondo che sta cambiando, un mondo caratterizzato dall’avvento della catastrofe ambientale, il che configura uno scenario davvero apocalittico. L’idea di progresso viene quindi a scemare. Ma l’avvento della crisi ambientale schiaccia per sempre le nostre illusioni. La coscienza che ormai alcuni danni sono irreparabili e avranno conseguenze nel futuro immediato sminuisce in qualche modo la fede nella speranza in un mondo e in un uomo nuovo. L’idea utopica permeata dall’ideologia del progresso di un “regno della libertà”, di un mondo migliore emancipato da guerra e sfruttamento rimane sempre attuale e necessaria, ma perde forza, perde quell'alone di grandezza e luminosità che la circondava in passato, di fronte alla gravità della crisi ecologica. I dati parlano chiaro: senza cambiamenti immediati il riscaldamento globale aumenterà la sua intensità. Invece dell’ altro mondo possibile vediamo stagliarsi le ombre minacciose della distruzione che incombono sul destino di tutti gli esseri viventi. Se anche venissero apportati dei mutamenti nella struttura del sistema economico le conseguenze degli sconvolgimenti attuali non potrebbero essere invertite, se non fra centinaia d’anni. Ciò che possiamo fare è solo evitare che si producano gli effetti più nefasti. Anche in presenza di cambiamenti decisivi a livello politico nei prossimi decenni non si può più tornare indietro. Il mondo non sarà più lo stesso. L’uomo del futuro forse si abituerà agli sfaceli che verranno. Forse ci sarà una mutazione antropologica e l’uomo si adatterà a vivere ancora meglio nel mondo artificioso e artificiale che si è costruito attorno come un guscio protettivo. Non farà forse più caso a ciò che mancherà sulla terra, come le estese foreste del passato o i ghiacci perenni che avvolgevano le montagne. Accetterà come la norma le estati torride e gli uragani che spazzano via ogni cosa. Si adatterà con l’aiuto della tecnologia. Non gli importerà degli animali selvatici che un tempo solcavano i cieli e le acque della terra, non darà più importanza agli spettacoli mozzafiato della natura a cui ancora oggi si può assistere. Di sicuro la prospettiva non è allettante, anzi, a dir poco parecchio squallida. Coloro che si impegnano per trasformare la società devono abituarsi e adattarsi al destino di un mondo sconvolto dalla crisi ambientale. Non ci resta che lottare caparbiamente affinché si possa salvare il salvabile. Questa prospettiva lascia poco spazio ai sogni del passato su un avvenire splendido e luminoso per l’umanità. Svanisce per sempre l’ideale post – illuminista del progresso, seppellito dalle macerie della civiltà capitalistica. Solo fino ad un certo punto si potrà abolire lo stato di cose presente. Le cose potrebbero cambiare solo con una profonda trasformazione dell’economia e con politiche esclusive determinate a riparare, con l’aiuto di tecnologie sofisticate, i danni enormi prodotti all’ambiente naturale. Ma abbiamo ormai poco tempo. Ciò sarà possibile solo con un mutamento profondo della nostra visione del mondo. Il conflitto oggi estremizzato dell’uomo con la natura è il frutto di una determinata mentalità, che non casca dal cielo ma nasce direttamente con la proprietà privata e l’evoluzione del capitalismo. Ma dove risiede la sostanza di questo problema epocale? L’ideologia della civiltà occidentale (a cui non è immune nemmeno l’intellighenzia di sinistra) ha sempre considerato l’uomo il centro del mondo. La visione dominante dei nostri tempi è stata ed è antropocentrica. Questa visione è viziata da un errore di fondo: il fatto di non aver mai voluto vedere, che l’uomo è parte della natura (come invece notava Engels acutamente centocinquanta anni fa). All’uomo non tutto è permesso proprio in quanto egli appartiene ad un equilibrio nel quale sono inserite tutte le specie viventi. L’immagine propagandata dalla modernità è quella di un uomo il quale ha pensato invece che tutto fosse possibile, che egli fosse un essere superiore rispetto agli altri esseri viventi, che potesse disporre di tutto e di tutti. Il paradosso dell’antropocentrismo risiede proprio nel fatto che nel corso dello sviluppo storico l’uomo, nel suo eccesso di megalomania, ha pensato con potersi rivolgere contro la natura, ma facendo ciò non ha fatto altro che rivolgersi contro se stesso: proprio perché alla fine dei conti noi non siamo esterni alla natura ma parte di essa; ogni danno fatto alla natura lo facciamo di conseguenza a noi stessi. La prospettiva opposta a quella antropocentrica è quella ecocentrica, una prospettiva culturale, etica e sociale che non può trovare uno spazio reale nel sistema socioeconomico attuale. Si possono cambiare le cose cambiando il modo di pensare della gente? Mi pare proprio di no. Resta valida l'affermazione di Marx, secondo cui "non è la coscienza che determina l'essere, ma l'essere che determina la coscienza". Senza una rivoluzione che spazzi via il marcime della società attuale sarà impossibile salvare sebbene in extremis, il pianeta. Senza un cambiamento nelle strutture produttive della società ogni nostro tentativo sarà vano. Cos'è l'ecocentrismo? Esso fa riferimento ad una convivenza pacifica e armonica con la natura e i suoi cicli biologici, nella convinzione che dalla natura possiamo prendere quello che ci serve, ma solo il necessario per soddisfare i nostri bisogni vitali. Secondo questa visione del mondo l’uomo non è un essere creato da un Dio e così superiore da meritarsi l’anima dopo la morte o il paradiso, come vogliono il cristianesimo e le altre religioni monoteiste, ma un essere come gli altri, sicuramente diverso, ma che deve obbedire come gli altri esseri alle leggi imposte dalla natura e non oltrepassare certi limiti. Nella prospettiva ecocentrica l’uomo è così legato agli altri esseri viventi, ne dipende, è inserito in una rete di relazioni biologiche in cui ogni elemento influisce sull’altro e ne viene a sua volta influenzato. L’uomo ecocentrico ha un profondo rispetto per gli altri esseri viventi e per le stesse forze naturali come il vento, l’aria e l’acqua. La cultura non si pone in antagonismo con la natura ma cerca l’equilibrio con essa. Era questa la visione ecologica dei popoli disprezzati per secoli come “primitivi”, i popoli tribali (Marx , a proposito di questi popoli, aveva parlato giustamente di “comunismo primitivo”). L’uomo non può così fare a meno della natura, perché ne dipende ed ogni contaminazione e manipolazione della natura non può che ritorcersi anche contro l’umanità. La prospettiva di Marx era “socialismo o barbarie”. Il socialismo non è stato mai realizzato … riusciremo ad evitare la barbarie imminente?
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