E’ finalmente uscito il film “Into the Wild”, di Sean Penn, che tanto attendevamo. “Into the Wild” si rifà alla storia vera di Chris McCandless, raccontata nel libro pubblicato in Italia da Corbaccio “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer. Sulla qualità tecnica del film non mi dilungo; basta dire che è davvero bellissimo, uno dei film migliori usciti negli ultimi anni forse… “Into the Wild” si presenta come la storia di un viaggio, un classico viaggio on the road sulle strade dell’immenso ovest americano, con una destinazione ben precisa, l’Alaska, con i suoi sconfinati spazi selvaggi, che diventa la meta ideale e anche l’epilogo finale dell’intera avventura. Chris McCandless non è che un emblema dei tanti sognatori folli e romantici che hanno cercato nella wilderness il sogno della loro liberazione. Chris è un ragazzo particolare, cresciuto in una famiglia benestante, il quale non sopporta il vuoto conformismo dei doveri e delle aspettative borghesi, come la carriera, gli oggetti di consumo di cui circondarsi, la patina di rapporti familiari stabili, ma che nascondono in realtà astio ed incomprensione. Chris è un ragazzo che vuole fuggire da tutto questo e cerca nella natura e nel vagabondare senza meta l’opportunità di una liberazione autentica, la sperimentazione della vitalità pura, la possibilità di trovarsi faccia a faccia con se stesso. Prima di partire, darà in beneficenza tutti i suoi risparmi e si metterà un nuovo nome: Alex Supertramp. Nel suo lungo vagabondare, durato due anni, incontrerà numerose persone; tutte saranno colpite dal carattere giocoso ed affabile di Chris, ed egli, come viene mostrato anche nel film, rimarrà nei cuori di molta gente. Incontrerà hippie e contadini, viaggerà clandestino sui vagoni dei treni come il Jack London de “La strada”; incontrerà una ragazza che si innamorerà di lui, e alla fine un vecchio solo e stanco, che vorrebbe adottare Chris come un figlio o un nipote. Forse il rapporto d’amicizia che si instaura tra Chris ed il vecchio è una delle parti più toccanti dell’intero film (e quindi dell’intera autentica vicenda). Chris incoraggerà il vecchio ad uscire dalla solitudine, ad aprire gli occhi sulla grandezza e la bellezza del mondo, a spostarsi e viaggiare. In primavera Chris ha finalmente l’opportunità di realizzare il suo sogno: vivere per un certo periodo di tempo da solo in mezzo alla natura selvaggia, procurandosi il cibo con la caccia e la raccolta. Si accamperà in un vecchio pulmino abbandonato nella foresta, che diverrà in qualche modo il suo “campo base”. Chris intraprende la sua avventura in maniera (volutamente) impreparata, senza una cartina della zona, con pochi viveri e poca attrezzatura. Forse il suo desiderio era quello di riuscire, con la sua caparbia volontà, di sopravvivere nella natura con poco. Ma forse c’era anche un desiderio inconscio di voler essere sopraffatto dalla natura, in una specie di recondita volontà d’annientamento, non esplicitata ma presente comunque nella decisione di chi cerca la solitudine nella wilderness, sottoponendosi ad ogni sorta di pericolo. Di sicuro McCandless, anche se spericolato, non ambiva al suicidio. La sua personalità, per quanto controversa, lo portava ad essere istrionico e giocoso. Mc Candless non ha cercato la morte: egli era invece innamorato della vita e di ciò che in essa c’è di più bello e maestoso. Mc Candless cercava l’autenticità e la verità; i suoi principi comportavano l’esaltazione della vita e non già il ripiegamento verso se stessi o l’autocommiserazione. E’ uno spirito che ricorda parecchio Jack London. Non per niente Jack London era uno degli scrittori preferiti di Chris e se vogliamo, persino la sua stessa vicenda, soprattutto nella sua drammatica fase conclusiva, ricorda molto alcuni racconti del grande scrittore americano, dove gli uomini sono alle prese con la lotta per la vita, nell’ asprezza selvaggia dello Yukon. Mc Candless riesce a trascorrere sedici settimane da solo, vivendo solo di caccia e raccolta. Annoterà sulle pagine bianche di un libro di botanica l’esito delle sue battute di caccia e di raccolta. Dopo circa due mesi Chris aveva deciso di avviarsi sulla strada del ritorno. Ma c’è un imprevisto: il fiume che aveva guadato al suo arrivo con relativa facilità il mese prima è ingrossato dalla piena. Non può guadarlo e decide di ritornare indietro al pulmino abbandonato. Se avesse avuto una carta della zona, avrebbe visto che pochi chilometri più sopra probabilmente il fiume avrebbe potuto essereattraversato. Le settimane successive vedranno un calo della selvaggina nei dintorni. Mc Candless è costretto probabilmente a cibarsi di radici e bacche selvatiche. A questo punto commetterà un errore che gli costerà la vita: mangerà, scambiandola come specie commestibile, alcune bacche selvatiche velenose, che gli procureranno debolezza e denutrizione. Chris era uno studioso delle piante selvatiche e aveva portato con sé i suoi manuali. Ma la natura è sempre imprevedibile e sfugge a volte alle nostre classificazioni e categorizzazioni. Non avendo più le forze per cacciare, né per tentare di tornare indietro, la vita di Chris è destinata ad una tragica sorte: quella di morire di fame in solitudine. La natura che esalta con la sua bellezza e il suo mistero ha un nucleo che è definito, come dichiara il regista Werner Herzog, da “caos, conflitto e morte”. La natura non è per niente idilliaca, perché essa con la sua forza ci soverchia e ci distrugge. .. ma forse a ben vedere anche in questo sta il suo fascino e il suo irresistibile richiamo. Ogni imprudenza commessa da parte dell’uomo, nel Wild non può che essere fatale. Le bellissime scene finali del film evidenziano proprio quest’aspetto, con il giovane McCandless solo, a riflettere sulla sua condizione, mentre fuori, nel mondo naturale, continua la lotta spietata per la sopravvivenza. Una carcassa di alce, ucciso dal ragazzo con lo scopo di conservarne la carne, è invasa dai vermi; accorrono un branco di lupi ed un’aquila per spartirsi il bottino… Un orso enorme passa nei dintorni, accanto a Chris… la morte e il pericolo sono sempre in agguato… Allo stremo delle forze, ormai consapevole di morire, evidenzierà una frase da un libro di Pasternak (che assieme a Toltstoj e a London è uno dei suoi scrittori preferiti): “la felicità se è vera non può che essere condivisa”. Non possiamo fuggire dalla civiltà abbandonando la famiglia e in generale le persone che ci amano, inseguendo un sogno di libertà che alla fine non può che rivelarsi utopia. Chris l’aveva capito e voleva tornare indietro; fu solo per una tragica fatalità che non poté tornare nel mondo civile per testimoniare il suo amore per la vita e la bellezza della natura. Chris per alcuni rappresenterà un eroe, per altri un folle o un ingenuo. Sicuramente in un mondo ipocrita e povero di ideali come il nostro, la sua figura non può che ispirare simpatia e riconoscenza… potremo permetterci di giudicare un giovane che ha cercato nella vita “verità” e “autenticità” ?
giovedì 7 febbraio 2008
Into the Wild
una foto del "vero" Chris McCandless
“Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà,
egli fugge, e solo cammina sulla terra per smarrirsi nella foresta”
Chris McCandless
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