lunedì 6 ottobre 2008
Racconti - Il bacio della buonanotte
(ispirato ad una tragica vicenda realmente accaduta tanti anni fa sulle nostre montagne)
Era una giornata strana. C’era un sole che bruciava nel cielo. Quel sole pallido e infuocato che mette in testa strani presagi. Il cielo popolato da nuvole gonfie, che lentamente sorvolavano le valli. Una giornata di inizio ottobre, con il verde della foresta che lentamente sbiadiva facendo posto ai primi bagliori rossastri dell’autunno: l’insieme della scena offriva uno spettacolo di malinconia e desolazione. Le piogge delle scorse settimane erano state abbondanti. La terra asciutta, arsa dal sole dell’estate, finalmente aveva ricevuto il ristoro di tre giorni di pioggia ininterrotta. Il bosco si era rigenerato e con il clima mite dei giorni successivi erano spuntati funghi delle specie più svariate. In poche ore ne erano cresciuti a tonnellate e la voce si era sparsa per i villaggi. Tutti, piccoli e grandi, amavano scovare questi frutti misteriosi della foresta. Molti erano quelli che si divertivano più a cercarli che a mangiarli. Tanti cercavano quell’attimo di infantile contentezza che si prova davanti ad un porcino dal gambo o dal cappello enorme, oppure quando si incontrano gli esemplari di una colonia destinata ad ingrossarsi passo dopo passo. I tre piccoli amici erano entusiasti della notizia. Volevano partire anche loro all’avventura. Volevano tornare con i cesti pieni di funghi. Volevano trovare gli esemplari più grossi per mostrarli ai più grandi, fieri della loro buona raccolta. Decisero di inoltrarsi in un posto dove non erano mai stati; decisero di varcare la linea della foresta di faggio e abete bianco che delimitava il loro piccolo orizzonte. Non avevano mai visto una città, se non nel sussidiario di scuola o in qualche foto di giornale. Erano cresciuti liberi nella campagna, tra boschi e campi arati. Quando non aiutavano i genitori nel lavoro dei campi si divertivano a correre, a salire sugli alberi, a rubare pere e ciliegie nell’orto di qualche contadino. Il loro orizzonte ultimo era costituito da quelle solenni cime, che tra un po’ si sarebbero imbiancate con le prime spruzzate di neve. Avevano guardato quel cielo sereno, inondato dal sole, con quelle rassicuranti nuvole che si spostavano lentamente sotto la spinta di un alito di vento. Ad uno di loro era parso di sentire un tuono, lontano, sommesso. Ma non poteva essere. Era una bella giornata e il tempo sarebbe sicuramente rimasto stabile. Abbandonarono il villaggio sotto gli occhi di qualche contadino che li vide passare. Percorsero dei campi arati e imboccarono una strada che conduceva nella fitta foresta.
Quel pomeriggio le nuvole avevano cominciato ad ingrossarsi e l’orizzonte si era colorato di un grigio cupo e minaccioso. Cominciarono a sentirsi i primi tuoni lontani e il cielo cominciò ad essere squarciato dal bagliore elettrico dei fulmini. I contadini sapevano che sarebbe arrivato un grosso temporale, e si sarebbe riversata sulla terra una furiosa pioggia battente. La foresta lontana si era tinta di un blu cupo, quasi a voler riflettere l’umore del cielo in quel momento. L’acquazzone arrivò tempestoso, accompagnato dai bagliori dei fulmini e dal cupo rombo del tuono. La grandine cominciò a battere sui davanzali delle case e il suo tintinnino sembrava bussare alle finestre. La grandine ricordava beffardamente ai contadini che dei piccoli granelli di ghiaccio avrebbero potuto rovinare il frutti del loro lavoro. La pioggia continuò per tutta la notte e portò con sé un’aria fredda, quasi gelida per il periodo. I tre piccoli amici non erano tornati. Non avevano detto dove sarebbero andati. La foresta era un labirinto immenso, con migliaia di possibili percorsi al suo interno. Trovarli sarebbe stato difficile. Si sperava che i tre bambini si fossero riparati in qualche grotta e che tornassero all’alba, quando finalmente avrebbe smesso di piovere. Ma non si vide nessuno scendere dalla stradina che portava verso quei boschi che circondavano il villaggio.
Le ricerche cominciarono all’alba. Un sole pallido spuntava lentamente sotto la volta di un cielo brillante, che sembrava essere stato tirato a lucido dall’acquazzone del giorno prima. Una calma serena scendeva lentamente sulle valli e il cinguettio degli uccelli annunciava che la violenza della tempesta era ormai un ricordo, e che la vita ricominciava dall’espandesi di quei raggi di luce rossastra. I boschi si affollarono di gente che gridava i nomi di quei bambini. Gli uccelli spaventati svolazzavano a quegli strani richiami e al rumore provocato dai passi pesanti delle persone.
Li avevano trovati. Era un angolo remoto di quella foresta misteriosa, dominata da secolari esemplari di faggio. Il sole aveva cominciato a penetrare quell’oscurità illuminando di bianco, come fa una lanterna nel buio notturno, i rami ed fianchi dei tronchi. Le gocce d’acqua sulle foglie e i rametti brillavano come perle preziose, e così i sottili finimenti delle ragnatele. Accasciati per terra, rannicchiati come piccoli leprotti, stavano i tre piccoli amici. I loro volti erano pallidi, gli occhi chiusi, i vestiti fradici di pioggia. Erano distanti l’uno dall’altro, ognuno appoggiato al suo albero, come se questo avesse potuto dare loro una qualche forma di conforto. Ognuno di essi aveva aspettato la sorte chiuso nella propria solitudine. Si poté solo immaginare cosa fosse successo. Forse avevano smarrito la strada, o forse, sorpresi dalla pioggia si erano fermati. La tempesta e l’oscurità li avevano sorpresi; la pioggia incessante, il freddo e la paura li avevano uccisi. Gli dèi strani della terra quella notte avevano sfogato tutta la loro rabbia ancestrale. I lampi, i tuoni e quel buio angosciante, che aveva la voce del sibilo del vento, si erano riversati con tutta la loro forza sulla foresta, terrorizzando quei bambini dai deboli corpi e dagli animi ancora più indifesi. Era stata proprio la paura ad averli uccisi, più del freddo e dell’acqua. La natura, con la sua forza ambigua e misteriosa, li aveva avvolti nel gelido abbraccio della morte. Più tardi, quando il sole aveva ormai penetrato quell’angolo di foresta, le persone del villaggio trovarono anche i cestini dei tre piccoli amici: erano ricolmi e capovolgendosi, tanti funghi si erano riversati sul tappeto di foglie secche…
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Uagliò, ti ho mandato una mail per la faccenda dei fumetti, famm sapè, cià
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