Dove soggiorno adesso, dalla terrazza della mia stanza svettano lontani i picchi rocciosi del Gran Sasso, che da tempo sembravano invitarmi alla scoperta dei loro segreti. L'occasione è arrivata subito. Vincenzo A., amico e fidato compagno di escursioni nella natura selvaggia, mi viene a trovare, per organizzare la nostra prima uscita alla scoperta degli scenari naturali di queste montagne imponenti e austere. Ad aggiungersi a noi c'è stata anche una nostra simpaticissima amica di Teramo, che conosce già il Gran Sasso ed ha subito approvato la mia proposta. L'idea era di compiere un'escursione di "avvicinamento", non troppo impegnativa ma che ci regalasse visioni di natura aspra e selvaggia, nel "cuore" del Gran Sasso appunto. Non conosco la zona ma guardando la cartina dei sentieri noto che c'è un bel percorso che da Pietracamela, piccolo paesino incastonato nella roccia, risale un torrente chiamato Rio Arno, ammantato di boschi, fino a sbucare in un vallone in mezzo alle montagne.
Il percorso dà l'idea di un cammino che raggiunge il cuore di queste montagne, un cammino di contemplazione, che non ci imporrà la scalata di alcuna cima ma che si svolgerà al cospetto di un anfiteatro di ghiaioni, pareti verticali e picchi rocciosi sfiorati dalle nuvole... Non mi sbaglierò, perché l'escursione ci regalerà momenti indimenticabili. Pietracamela: qui, all'imbocco del sentiero, abbiamo una manifestazione della suprema forza della natura: una frana, massi rotolati giù, uno di essi enorme, fermatosi a ridosso delle case, il sentiero che non c'è più, travolto dal cedimento del terreno... Di regola non si potrebbe proseguire, ma sono convinto che il sentiero riapparirà se supereremo il pendio franato. Vado in perlustrazione e come pensavo ritrovo il sentiero... do quindi il segnale di via libera ai miei compagni d'escursione. La nostra amica ci dice che la frana ha travolto anche alcune incisioni rupestri, che si ritrovavano lungo la prima parte del percorso. Le vette delle montagne svettano dalla foresta. Dovremo percorrete tutto il vallone per poi sbucare in mezzo alle montagne, dirigendoci verso la località Val Maone. La prima parte del percorso si snoda lungo una strada sterrata, attraverso una vegetazione di macchia mediterranea, poi via via cominciano ad apparire i primi faggi e alla stradina sterrata si sostituisce uno stretto sentiero, più o meno in prossimità di un cancello con edifici di captazione delle acque. Il bosco regala angoli fiabeschi: in prossimità del torrente, sfiorato di tanto in tanto dal sentiero, faggi monumentali sono circondati da enormi massi. Richiamo sempre l'attenzione dei miei compagni d'escursione quando mi si para davanti qualcosa di bello da vedere...
Ogni tanto grandiosi faggi abbattuti dalla furia degli elementi ci sbarrano il passo. Poi appare una radura da cui possiamo ammirare i vicini picchi rocciosi, radura in cui ci riposiamo un po' e che ci fa pensare a propositi di "meditazione", oltre a farmi sfoderare in maniera piuttosto ilare citazioni di Whitman, London, Chris McCandless. E come sottofondo musicale per queste atmosfere c'è lo scrosciare tumultuoso del torrente. Il sentiero risale i ripidi pendii boscosi facendoci sbucare presso una gola, la cui integrità selvaggia è stata purtroppo compromessa dal cemento delle strutture di captazione. Anche se più sopra il gettito delle cascate del Rio Arno è sicuramente suggestivo. Incrociamo il sentiero che va ai Prati di Tivo, che faremo al ritorno, e proseguiamo dritti seguendo il vallone da cui prende vita il corso del torrente, ormai fuori dal bosco. Qui comincia la wilderness vera e propria di questa parte del Gran Sasso. Ai nostri lati, a destra come a sinistra, si ergono picchi e pareti rocciose a strapiombo, circondati da enormi ghiaioni: a ovest svettano il Pizzo dei Caprai e Picco Pio XI, mentre ad est dominano le immense propaggini rocciose del Corno Piccolo e del Corno Grande: nella cartina leggo di toponimi come Coste del Calderone e Valle del Ginepro (forse chiamata così per le estese e basse macchie di ginepro che ricoprono i ghiaioni?).
Nel Vallone numerose sono le fioriture primaverili, con fiori delle specie più svariate (ci sono rarità botaniche, come dei fiori già incontrati sulla Maiella, di cui però non ricordo il nome e altre probabilmente molto rare, per non averle mai viste da nessuna parte) e possiamo contemplare enormi massi erratici; sparuti boschetti di faggio resistono ancora a queste alte quote coprendo alcune aree in prossimità dei fianchi del vallone. Per me è inevitabile catturare questi scenari scattando decine e decine di fotografie... Qualche volta dobbiamo anche attraversare degli isolati nevai.
Poi c'è la visione di tre grotte che sembrano scavate dall'uomo: forse si tratta di cavità naturali modificate in passato dai pastori in funzione di riparo, e forse il toponimo Grotta dell'Oro trovato sulla cartina corrisponde ad esse. Dei corvidi neri vanno e vengono dalle pareti rocciose: si tratterà sicuramente di gracchi alpini, penso, ma poi, confrontando gli esemplari che ho visto con le foto trovate su internet si può affermare che si tratta del gracchio corallino (che ha il becco non giallo e dalla caratteristica forma ricurva); specie che dalle informazioni che ho ricavato popola le rocce d'alta quota di questa montagna.Ci dirigiamo verso le capanne dei pastori, nella Val Maone, come indicato dal segnale che incontriamo lungo il sentiero. Una barriera di creste fatta di rocce e neve si apre davanti a noi, dando l'idea di una conca chiusa tra le montagne. Abbiamo raggiunto la nostra meta a quanto pare, che ci regala così nuove prospettive panoramiche. Noto subito dei resti di muretti a secco e lo faccio presente agli altri. In effetti i ripari di pietra sono qui, tra le rocce, e destano in me richiami ancestrali della vita pastorale, vita a cui mi sento legato per le mie profonde origini contadine. Questi piccoli ripari di pietra si armonizzano al paesaggio delle vette e mi fanno fantasticare su giorni di solitudine tra queste desolazioni selvagge, e di notti fredde trascorse al riparo dagli elementi , com'erano quelle dei pastori di un tempo.
Ci riposiamo un po' a ridosso delle "capanne" e consumiamo il nostro pranzo frugale chiacchierando e scherzando. Mi prodigo in un'imitazione di Messner (uno dei miei eroi) ironizzando la sua resistenza alla fame e alla fatica, alludendo alla circostanza che ho portato nel mio zaino solo un paio di biscotti e un sacchetto d'uvetta, sia per gli spuntini che come pranzo. Vincenzo A. aggiunge l'aneddoto della "pasticca effervescente"... E' ora di ritornare, seguendo il percorso dell'andata fino alle cascate... poi faremo un altro sentiero per arrivare ai Prati di Tivo e poi a Pietracamela.
Il tempo sta peggiorando e arrivano delle goccioline d'acqua, poi si mette a piovere... sarà sicuramente una pioggia passeggera. Le pareti delle montagne e i massi rocciosi rotolati giù al limitare della valle assumono con il breve temporale una colorazione grigia e ci appaiono molto diversi, perciò, da come li avevamo visti stamane, illuminati dal sole. Vincenzo e la nostra amica teramana si sono fermati, sono davanti a me e sembrano osservare qualcosa... Vincenzo a gesti indica qualcosa, mimando il gesto dello scatto fotografico e invitandomi perciò a sfoderare subito la mia Nkon. Avranno avvistato qualche animale selvatico, penso subito. Sui massi che delimitano il vallone appare un camoscio solitario, che si arrampica lentamente saltando agilmente da un masso all'altro. Mi avvicino in silenzio, punto l'obiettivo e comincio a scattare foto a ripetizione dello stupendo esemplare di camoscio che sta davanti a me. L'animale si è accorto della nostra presenza, ma sembra sicuro di sé e per niente spaventato. Ovviamente la sua diffidenza istintiva di selvatico l'ha spinto subito ad allontanarsi da noi, riparandosi verso l'alto, su quelle rocce inaccessibili. Resto quasi commosso da questo incontro, poi penso che oggi è il mio compleanno e che questo è probabilmente il più bel regalo che oggi potessi ricevere. Nella mia prima escursione sul Gran Sasso abbiamo avuto per caso un incontro ravvicinato con un esponente di una specie che è anche un simbolo, un po' come l'orso e il lupo, della natura selvaggia e inviolata!