Una recensione e una riflessione
“Tanti anni fa, ma ahimè già troppo tardi, volli andare alla scoperta di ciò che ancora restava della Civiltà agropastorale che aveva popolato anticamente il Pollino, fissandone in immagini aspetti di vita, costumi e tradizioni”.
E’ con questo intento profondo che Mimmo Pace introduce i motivi che l’hanno spinto all’ideazione del volume fotografico “Pollino: Gente, Costumi, Tradizioni”. Il libro, edito da Freeworth Edizioni, viene ad aggiungersi idealmente alla biblioteca delle opere più rappresentative sul Pollino e accanto all’altro recente libro dello stesso autore, “Pionieri del Pollino”, dedicato ai precursori dell’escursionismo nel Pollino.
Pubblicato a maggio del 2011, il corposo volume si compone di ben 290 pagine e si configura come un vero e proprio tuffo nel passato, alla ricerca della civiltà agro-pastorale del Pollino, della sua gente, dei suoi usi e delle sue tradizioni. Un affresco iconografico diviso in varie sezioni: ambienti rurali e di paese, personaggi del mondo contadino, artigianato, folclore e altro ancora. Spicca però con forza in queste immagini la vita delle “classi subalterne”: pastori, boscaioli, braccianti, contadini, operai, spesso ritratti sullo sfondo dei loro ambienti di vita, i nostri paesini, i boschi e i pascoli di montagna.
Oltre ad avere pubblicato foto personali che sono frutto della sua esperienza di ricerca tra la gente del Pollino, obiettivo dell’autore è stato anche “allargare gli orizzonti di ricerca, espanderli in ogni possibile direzione, al fine di recuperare alla nostra Gente, testimonianze ben più significative, attraverso le quali quel mondo potesse venir quanto più fedelmente ricostruito e tramandato. Seguiva così un periodo denso di contatti intessuti tra vecchie e nuove conoscenze dislocate nei diversi Centri del Pollino lucano e calabrese, nonchè di reiterate visite a varie e interessanti realtà museali, al fine di rinvenire ed acquisire ogni documento visivo ritenuto idonea raffigurazione di quel crogiolo di etnie, che la Terra del Pollino ospita”. Risalta nel volume il confronto tra le foto più antiche e quelle più recenti, dove però ancora si possono respirare atmosfere, tradizioni e ambienti dell’antico mondo agreste. Mimmo Pace sottolinea giustamente nell’introduzione al volume che “il Pollino era un sistema di valori in pericolo, la cui crescente labilità era intimamente legata alla inarrestabile scomparsa della società rurale e arcaico-pastorale che l’aveva prima sorretto e salvaguardato, con una progressiva perdità di identità, causata da ripetuti errori di governo del territorio, i quali, senza generare sviluppo, si erano tradotti in emigrazione, sradicamento, squallore e anche devastazione ambientale”.
L’identità della gente del Pollino è stata, se non compromessa, quantomeno riformulata dalle trasformazioni della nostra società. Industrializzazione e fuga verso le città, urbanizzazione, spopolamento e progressiva scomparsa delle attività economiche tradizionali sono i grandi fenomeni con cui le popolazioni locali hanno dovuto fare i conti. Sarebbe un errore se idealizzassimo il mondo contadino: gli stessi volti e gli ambienti delle fotografie raccolte nel volume esprimono bene la fatica e la durezza delle condizioni di vita di contadini e pastori del Pollino. La modernità, tuttavia - come sembra voler affermare anche Pace - non condusse peraltro ad uno sviluppo armonico ed equilibrato dell’area, ma allo spopolamento progressivo dei paesi del Pollino, che si portò dietro anche perdita di identità culturale.
Nulla è perduto perché come dice Pace “nonostante tutto, il Pollino ospita ancora un complesso di diversità e di valori recuperabili e salvaguardabili”. Il sociologo Zigmunt Bauman ha sottolineato come l’identità oggi si ponga sempre di più come problema: “ci son volute la lenta disintegrazione e l’affievolirsi della tenuta delle comunità locali, sommati alla rivoluzione dei trasporti, per spianare il terreno alla nascita dell’identità: come problema e, principalmente, come compito”. La memoria storica allora, non si pone come un nostalgico sguardo verso un mondo bucolico che a dir la verità, non è mai esistito, ma come approccio costruttivo alla reinvenzione culturale del nostro territorio, che passa appunto attraverso la coscienza e la memoria di come eravamo: solo così la gente del Pollino potrà riaffermare - nel pieno della “globalizzazione” - la propria identità, facendo tesoro del suo passato e contemporaneamente proiettandosi in un futuro che lungi dall’essere predeterminato, è ancora tutto da costruire...
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