Discesa in corda doppia alla grotta del Cacch'v - by Indio e Maurizio Lofiego
Era da tempo che volevamo fare una calata al Cacch’v, la mitica grotta conosciuta dai pastori e dai cacciatori di un tempo. Finora avevamo esplorato l’interno e il foro sommitale in due diverse escursioni. Con la calata abbiamo potuto fare una discesa integrale unendo i due percorsi. Arrivati all’ingresso prepariamo l’attrezzatura. E’ una discesa delicata, ogni manovra deve essere valutata con attenzione. In primo luogo avvolgiamo la mia mezza corda di 30 metri attorno ad un albero per arrivare al punto in cui dobbiamo fissare la corda di 60 metri, con cui ci caleremo nella grotta dall’ampio foro sommitale. Maurizio si assicura alla corda e si cala in doppia fino al grande albero su cui fisseremo la corda lunga, avvolge una fettuccia e tramite una longe si assicura all’albero creando una sosta; solo dopo che ha fatto questo si sgancia dal discensore.
Poi scendo io, sempre in doppia sul ripido pendio per portargli la corda lunga, che ho sullo zaino. Mi aggancio anche io all’albero. Srotoliamo insieme la corda e la buttiamo giù. “Fa impressione anche solo buttare la corda là dentro”, afferma Maurizio. Ed è così, il Cacch’v visto dall’alto fa un’enorme impressione ed è certo che in questi casi non si possono sbagliare le manovre, perché si rischia davvero “l’osso del collo”. Il Cacch’v era il recipiente usato dai pastori per bollire il latte, di forma cilindrica. In questo caso abbiamo a che fare con un cilindro di una trentina di metri, quasi a forma di imbuto. Preparo il discensore e comincio a calarmi, un passo alla volta. Qualche pietra inevitabilmente rotola giù, finendo nella grotta con un rumore ritardato. Qualche anziano mi ha raccontato che da giovani i pastori si divertivano a buttare le pietre dall'alto per sentirle rotolare giù per diverse decine di metri.
Arrivati sull’orlo della grande apertura circolare, sappiamo che non potremo più tenere i piedi alle pareti e dovremo calarci nel vuoto per una quindicina di metri. E’ il momento più adrenalinico della discesa. Ci sono finalmente, è ora di staccarmi dalle pareti; il movimento mi viene un po’ brusco e sbatto con il ginocchio sinistro, ma non forte; la corda si tende, resto sospeso nel vuoto. In realtà calarsi nel vuoto appesi "ad un filo" è più facile e comodo rispetto a quando si tengono i piedi alla parete; averne timore è per lo più un fatto psicologico. Arrivato giù, grido a Maurizio che sono sceso e mi sono staccato dalla corda. Mi allontano dall’apertura, perché Maurizio smuoverà delle pietre che potranno cadere... e così succede. Maurizio da sopra mi grida che cascano le pietre, ma lo tranquillizzo perché sono al riparo sulle pareti sul lato destro della grotta. Accendo l'action-cam e la macchina fotografica, per riprendere la scena, fra un po’ Maurizio sarà dentro: arriva, sembra stare a testa in giù come un pipistrello. Eccolo staccarsi e scendere sullo sfondo del cerchio illuminato dell’apertura circolare, che contrasta con la scarsa luce dello "stanzone" interno della grotta.
Recuperiamo la corda, facciamo una sosta e poi ridiscendiamo: ci attendono altre due calate in doppia più facili, l’ultima delle quali difficoltosa per la presenza dei rovi. Stavolta usiamo la mezza corda da trenta metri. Mentre mi calo mi fermo dove posso e con il coltellaccio a taglio i rami delle spine, per agevolare la discesa del mio compagno. E’ un misto di speleologia, alpinismo ed escursionismo su terreno impervio e selvaggio, l'escursione di oggi.
Ma al di là dell’adrenalina e dei dettagli più tecnici di questa discesa, le osservazioni naturalistiche non sono mancate durante l'escursione: a cominciare dall’avvistamento di una grossa fatta di lupo, del merlo acquaiolo e di una coppia di corvi imperiali, oltre alle fatte ed impronte di cervo. Quel che conta è vivere la natura nel suo stato di wilderness, cercare sempre l’avventura, indipendentemente dall’attività praticata.
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