La montagna incantata
da Mezzana Salice alla cima di Serra del Prete (escursione in solitaria)
Panorama dalla cima di Serra del Prete - foto by Indio |
Non poteva mancare anche quest'inverno,
una lunga escursione "dall'uscio di casa" fino alle sommità innevate
delle montagne, tipologia di escursione che rimanda al periodo dei miei anni
giovanili, quando il gusto dell'avventura mi portava spesso da solo ad
arrancare sui pendii delle montagne. Il tempo passa inesorabile, ma
l'importante è riuscire ancora a fare quello che ci piace... come ad esempio
vivere un'immersione nella natura selvaggia invernale, più inospitale e severa
rispetto ai periodi della bella stagione...
La meta è Serra del Prete, posso sempre osservare la sua cima dalla
finestra della mia stanza, vedendone mutamenti giorno dopo giorno: la neve che
è caduta copiosa e che forma i cornicioni, la neve sulla cresta spazzata via
dai venti di scirocco, la cima avvolta dalle nubi, il bosco ghiacciato dalla
galaverna e poi il rinverdire lento della faggeta sui suoi fianchi, quando
l'inverno cede il passo alla primavera. Soprattutto in questa stagione, dopo le
nevicate e con le basse temperature, sento sempre il richiamo di questa
montagna: una piramide che svetta sulle valli, che con la neve e il ghiaccio si
abbellisce come un tempio sacro e ispira così l'escursione, in una sorta di
pellegrinaggio postmoderno. Per chi vive in montagna il motto di John Muir
"andare in montagna è tornare a casa" acquista una valenza ancora più
intima; chi vive in un paese di montagna è come se si sentisse a casa anche
sulle cime, perché esse fanno parte di quella "Heimat" che si rivela appunto come il " luogo fisicamente e paesaggisticamente
determinato, in cui si è nati e cresciuti o in cui, per confidenza acquisita
attraverso una lunga frequentazione ed una profonda sintonia, ci si sente a
casa"(1)
La neve non è tanta, ma è fresca e
soffice; si sprofonda, il manto nevoso scivola sotto i piedi. Senza
l'avvicinamento in macchina fino a Impiso l'escursione diventa, sprattutto con
la neve, abbastanza impegnativa: si deve costeggiare il torrente Frido
percorrendo l'altopiano a cui si accede da Conocchielle, fino al Piano di
Vacquarro e poi alla cima, con un dislivello nominale di 1230 m. Procedo veloce
sulle alture punteggiate di numerosi agrifogli monumentali, al cospetto delle
selvagge pareti di Cresta della Madonna del Pollino, bastione roccioso che
domina la Valle del Frido, poi mi inoltro nel bosco di faggio: qui la neve e il
ghiaccio cominciano a ricoprire i rami e i tronchi degli alberi, la neve ha
decorato la foresta con la suaveste immacolata. E' proprio vero che si può
percorrere lo stesso sentiero ma avendo sempre una percezione, una visione
diversa dell'ambiente circostante: la wilderness è uno stato d'animo anche in
questo senso, il paesaggio muta in base alle stagioni o per un diverso tipo di
luce... e la nostra sensibilità è stimolata sempre in maniera differente. Le
solitarie consentono proprio di affinare meglio i sensi, di immergersi in
raccoglimento nelle atmosfere invernali della montagna, di "sentire"
le grandi forze che hanno plasmato il nostro pianeta.
Superato il bosco d'alta quota, con i tronchi ricoperti di galaverna che crea
un'incantevole atmosfera, arrivo sul crinale scoperto dove la neve fresca,
spazzata dal vento, ha lasciato il posto ad una crosta ghiacciata, che consente
di arrivare velocemente in cima. Gli ultimi faggi sono un simbolo di
resistenza, piccoli e sofferenti, sono quelli esposti maggiormente alle
condizioni climatiche avverse. Procedo spedito con le mie ciaspole dotate di
ramponi laterali, il cielo è sereno, il sole di fronte mi acceca, sferza un
vento gelido durante la scalata. Si sente solo il rumore del metallo dei
ramponi, che stride a contatto con il ghiaccio, il vento e il mio affanno.
Davanti a me si stagliano sculture di neve e ghiaccio, e l'artista è il vento
che li modella nelle forme più svariate... Intanto si aprono gli estesi panorami
che regala questa montagna; essendo oggi l'aria molto tersa e limpida gli
orizzonti sono ancora più sconfinati, una percezione che mi viene soprattutto
dalle onde lontane del Mar Tirreno, che si rivelano nell'azzurro chiaro che
emerge sotto la catena di nubi, difficilmente visibili in altre situazioni meteorologiche.
Sulla cima l'aria diventa calma, mi godo i raggi del sole. Poi, appena
imboccata la via del ritorno seguendo a ritroso le mie tracce, il vento
comincia a soffiare più forte, un vento gelido, che "taglia la
faccia"; calano le nuvole e la neve fresca è spazzata via, come sabbia, il
sole diventa un puntino bianco che traspare dalla nebbia: uno spettacolo che mi
fa esultare. Provo a fare delle foto per immortalare quegli attimi, ma le mani
sono gelate, sto perdendo sensibilità alle dita. Lascio perdere la macchina
fotografica e indosso i guanti pesanti. Procedo spedito in giù lungo il crinale
nord; la montagna, dopo l'ospitalità ricevuta in cima adesso è come se mi
respingesse... vai via, tornatene a casa, sembra voler dire...
Raggiungo finalmente il bosco che ammanta il crinale, più in basso: sono al
riparo, le mani tornano a riscaldarsi. Adesso bisogna scendere dalla montagna,
facendo attenzione lungo i ripidi pendii. Il manto nevoso è instabile, si rischia
di scivolare, mi aiuto puntando avanti i bastoni.
Sceso giù a valle, non mi resta che seguire le tracce dell'andata, mentre la
grande montagna alla mie spalle è ormai avvolta dalla nebbia... e lentamente si
dissolvono le ultime luci del pomeriggio.
by Saverio De Marco (Indio)
(1). http://leucodermis.blogspot.com/2017/04/heidegger-e-la-questione-della-tecnica.html
Indio - autoscatto |
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