L'Ascesa
Traversata invernale del Pollino
(Conocchielle, Vacquarro, Serra del Prete, Monte Pollino, Dolcedorme, Piano di Acquafredda, Serra delle Ciavole (crinale sud-est), Piano di Iannace, Mezzana Salice)
In queste giornate di feste natalizie e bel tempo anomalo avevo proprio voglia di starmene un po' in giro tra i monti a bivaccare. L'amico Marco Simonetti, giovane (anzi giovanissima) "promessa" dell'escursionsimo sanseverinese, aveva espresso tempo fa il desiderio di fare una grande traversata di più giorni che congiungesse le maggiori cime del Massiccio del Pollino, come quella fatta in solitaria dal sottoscritto due anni fa a marzo: ho così colto l'occasione per ripetere questo trekking a fine anno L'alta pressione di questi giorni, la presenza di poca neve sulle cime e le fonti del Pollino non sommerse dalla neve, rendevano possibile l'impresa senza particolari difficoltà. Backpacking lo chiamano gli americani: è la forma più dura e allo stesso tempo più affascinante dell'escursionismo, comporta escursioni di più giorni in completa autosufficienza con tenda e viveri nello zaino, vivendo appieno le atmosfere della natura selvaggia.
Marco parte a piedi da San Severino e ci incontriamo a Mezzana, da lì si va a Conocchielle imboccando la via usata dai pastori nelle transumanze, che conduce a Vacquarro. A Colle Impiso ci aspetta Vincenzo A., amico di tante escursioni nonchè di avventure "fuorisede", che ci accompagnerà per la prima tappa salendo con noi a Serra del Prete. Il problema principale di un trekking del genere non è tanto il fatto di bivaccare all'aperto o la fatica del cammino, ma il peso notevole dello zaino. Anche disponendo di attrezzatura leggera e portando i viveri essenziali, il peso sarà sempre non indifferente: poco male se si fa un trekking con dislivelli irrisori, diverso invece se bisogna scalare creste e cime con dislivelli importanti. Scesi a Gaudolino, Vincenzo ci saluta avviandosi verso Colle Impiso. Nella baracca ci sono già sei-sette persone, gli ospiti sono gentili e ci invitano a bivaccare là, ma preferiamo montare la tenda, per stare più comodi e tranquilli. Marco è alla sua prima esperienza di "backpacking", ha un po' male alle spalle a causa del suo "zainone", ma è deciso nel proseguire. Sono ormai un "vecchio lupo" e conosco bene i disagi che comporta questo tipo di escursione, la quale non termina come quelle giornaliere all'arrivo alla macchina o a casa dopo sette-otto ore.
Prima del buio va organizzato il campo, scegliendo il terreno adatto; preparare da mangiare, in caso di necessità fare anche un fuoco per scaldarsi, organizzare gli oggetti che ci siamo portati appresso e disporne quando servono, tenendoli in ordine. Quando si bivacca all'aperto torniamo un po' uomini primitivi, pur disponendo di abiti e attrezzature tecnologiche: si pensa alle cose necessarie, al cibo, al riparo, l'acqua, stare al caldo e asciutti, a far fronte agli imprevisti. Non c'è spazio per i fronzoli e le comodità della vita civile. Una dura ma edificante scuola di vita in qualche modo, che riesce a far apprezzare il valore di un pezzo di pane e di un pasto caldo: come dice Mauro Corona, il tonno per essere buono in montagna non dev'essere tagliato col grissino. Certo, parlare di queste cose in un' era consumistica come la nostra, dove si spera di risollevare le sorti dell'economia con una nuova spirale di produzione di merci che il mercato del consumo nemmeno riesce più ad assorbire, può sembrare fuori luogo, suonare quasi come anacronistico... Ma andare e vivere in montagna è, se vogliamo, un modo per "ergersi", anche metaforicamente, rispetto alle bassezze e alla frivolezza dei costumi urbani. Si va oltre anche il concetto di montagna come sport e turismo... cose buone e giuste, ma a volte schiave di un aproccio utilitaristico: la montagna, la natura selvaggia, prima di tutto "è", ha un valore in sè; solo in secondo luogo "serve" o "è utile per"...
Dopo aver mangiato ci mettiamo subito in tenda. L'aria è fredda ed umida. Riesco a dormire ma mi sveglio più volte in tarda notte per i brividi: devo mettere un'altra giacca per isolarmi meglio, non basta solo il pile. Ho sognato un caminetto, di stare vicino al fuoco. La temperatura comunque non sarà più bassa dei tre-quattro gradi sotto lo zero. Il sacco di Marco è più adatto del mio alle temperature rigide. Prima dell'alba ci svegliamo facendo una colazione a base di tè caldo e panettone, servirà anche a riscaldarci. Smontata la tenda ci avviamo verso il sentiero della via classica al Pollino: è ghiacciato e mettiamo dei ramponcini leggeri d'emergenza. Arrivati allo scoperto ci inondano i raggi del sole sui pascoli esposti al sole. Nessuna presenza di neve qui. La salita è faticosa ma non demordiamo. Facciamo tutta una tirata, prima di arrivare alla sella sostiamo, poi riprendiamo la marcia in salita fino al Dolcedorme. Noto stormi di uccellini che poi identificherò come sordoni. Volano tra le pietre, sembrano a loro agio in questi ambienti austeri... E' sempre confortante la presenza degli animali, di altra vita rispetto alla propria. Le valli sono avvolte da una nebbia sottile. Lontana scorgiamo la sagoma dell'Etna che spunta dal mare di nubi. Adesso si tratta di scendere dal versante nord del Dolcedorme, coperto dall'ombra, freddo e innevato; sfoderiamo le nostre piccozze. Dobbiamo arrivare prima del buio al Piano di Acquafredda per montare la tenda e rifornirci di acqua. Troviamo un posto a ridosso di grandi faggi, dove le foglie secche sembrano formare un materasso naturale.
Anche senza materassino staremo comodi stanotte. In mancanza di altro anche una coperta di foglie secche ci darebbe un po' di calore. Racconta mia madre che un tempo si raccoglievano nei sacchi per utilizzarle al posto della paglia nelle stalle degli animali. Stasera mangeremo pastina in brodo, per modo di dire, visto che la pasta è troppa rispetto all'acqua presente nella gavetta da campo... la pastina risulterà quindi un po' cruda, ma con la fame che abbiamo è buona lo stesso. Non poteva mancare per secondo il nostro "pemmicam" (carne secca), la sopprressata fatta in casa, accompagnata da piadine preparate da mia madre, che ho portato perché leggere e poco ingombranti. L'aria è secca, si sta bene, la notte dormo rilassato e al caldo. Verso le sei ci svegliamo, solito "scalda budella", panettone e poi si riparte. Decidiamo di risalire il ripido crinale sud-est di Serra delle Ciavole, popolato da maestosi loricati, per arrivare in cima, rinunciando alla vetta di Serra di Crispo per dirigerci dalla Grande Porta a Iannace; poi scendendo nella foresta verso la strada per il Santuario e infine a Mezzana, usando scorciatoie per i boschi di cerro. Per me il trekking è finito mentre Marco decide di tornare a San Severino a piedi... rinunciando, imperterrito, a farsi venire a prendere in macchina.
Marco parte a piedi da San Severino e ci incontriamo a Mezzana, da lì si va a Conocchielle imboccando la via usata dai pastori nelle transumanze, che conduce a Vacquarro. A Colle Impiso ci aspetta Vincenzo A., amico di tante escursioni nonchè di avventure "fuorisede", che ci accompagnerà per la prima tappa salendo con noi a Serra del Prete. Il problema principale di un trekking del genere non è tanto il fatto di bivaccare all'aperto o la fatica del cammino, ma il peso notevole dello zaino. Anche disponendo di attrezzatura leggera e portando i viveri essenziali, il peso sarà sempre non indifferente: poco male se si fa un trekking con dislivelli irrisori, diverso invece se bisogna scalare creste e cime con dislivelli importanti. Scesi a Gaudolino, Vincenzo ci saluta avviandosi verso Colle Impiso. Nella baracca ci sono già sei-sette persone, gli ospiti sono gentili e ci invitano a bivaccare là, ma preferiamo montare la tenda, per stare più comodi e tranquilli. Marco è alla sua prima esperienza di "backpacking", ha un po' male alle spalle a causa del suo "zainone", ma è deciso nel proseguire. Sono ormai un "vecchio lupo" e conosco bene i disagi che comporta questo tipo di escursione, la quale non termina come quelle giornaliere all'arrivo alla macchina o a casa dopo sette-otto ore.
Prima del buio va organizzato il campo, scegliendo il terreno adatto; preparare da mangiare, in caso di necessità fare anche un fuoco per scaldarsi, organizzare gli oggetti che ci siamo portati appresso e disporne quando servono, tenendoli in ordine. Quando si bivacca all'aperto torniamo un po' uomini primitivi, pur disponendo di abiti e attrezzature tecnologiche: si pensa alle cose necessarie, al cibo, al riparo, l'acqua, stare al caldo e asciutti, a far fronte agli imprevisti. Non c'è spazio per i fronzoli e le comodità della vita civile. Una dura ma edificante scuola di vita in qualche modo, che riesce a far apprezzare il valore di un pezzo di pane e di un pasto caldo: come dice Mauro Corona, il tonno per essere buono in montagna non dev'essere tagliato col grissino. Certo, parlare di queste cose in un' era consumistica come la nostra, dove si spera di risollevare le sorti dell'economia con una nuova spirale di produzione di merci che il mercato del consumo nemmeno riesce più ad assorbire, può sembrare fuori luogo, suonare quasi come anacronistico... Ma andare e vivere in montagna è, se vogliamo, un modo per "ergersi", anche metaforicamente, rispetto alle bassezze e alla frivolezza dei costumi urbani. Si va oltre anche il concetto di montagna come sport e turismo... cose buone e giuste, ma a volte schiave di un aproccio utilitaristico: la montagna, la natura selvaggia, prima di tutto "è", ha un valore in sè; solo in secondo luogo "serve" o "è utile per"...
Dopo aver mangiato ci mettiamo subito in tenda. L'aria è fredda ed umida. Riesco a dormire ma mi sveglio più volte in tarda notte per i brividi: devo mettere un'altra giacca per isolarmi meglio, non basta solo il pile. Ho sognato un caminetto, di stare vicino al fuoco. La temperatura comunque non sarà più bassa dei tre-quattro gradi sotto lo zero. Il sacco di Marco è più adatto del mio alle temperature rigide. Prima dell'alba ci svegliamo facendo una colazione a base di tè caldo e panettone, servirà anche a riscaldarci. Smontata la tenda ci avviamo verso il sentiero della via classica al Pollino: è ghiacciato e mettiamo dei ramponcini leggeri d'emergenza. Arrivati allo scoperto ci inondano i raggi del sole sui pascoli esposti al sole. Nessuna presenza di neve qui. La salita è faticosa ma non demordiamo. Facciamo tutta una tirata, prima di arrivare alla sella sostiamo, poi riprendiamo la marcia in salita fino al Dolcedorme. Noto stormi di uccellini che poi identificherò come sordoni. Volano tra le pietre, sembrano a loro agio in questi ambienti austeri... E' sempre confortante la presenza degli animali, di altra vita rispetto alla propria. Le valli sono avvolte da una nebbia sottile. Lontana scorgiamo la sagoma dell'Etna che spunta dal mare di nubi. Adesso si tratta di scendere dal versante nord del Dolcedorme, coperto dall'ombra, freddo e innevato; sfoderiamo le nostre piccozze. Dobbiamo arrivare prima del buio al Piano di Acquafredda per montare la tenda e rifornirci di acqua. Troviamo un posto a ridosso di grandi faggi, dove le foglie secche sembrano formare un materasso naturale.
Anche senza materassino staremo comodi stanotte. In mancanza di altro anche una coperta di foglie secche ci darebbe un po' di calore. Racconta mia madre che un tempo si raccoglievano nei sacchi per utilizzarle al posto della paglia nelle stalle degli animali. Stasera mangeremo pastina in brodo, per modo di dire, visto che la pasta è troppa rispetto all'acqua presente nella gavetta da campo... la pastina risulterà quindi un po' cruda, ma con la fame che abbiamo è buona lo stesso. Non poteva mancare per secondo il nostro "pemmicam" (carne secca), la sopprressata fatta in casa, accompagnata da piadine preparate da mia madre, che ho portato perché leggere e poco ingombranti. L'aria è secca, si sta bene, la notte dormo rilassato e al caldo. Verso le sei ci svegliamo, solito "scalda budella", panettone e poi si riparte. Decidiamo di risalire il ripido crinale sud-est di Serra delle Ciavole, popolato da maestosi loricati, per arrivare in cima, rinunciando alla vetta di Serra di Crispo per dirigerci dalla Grande Porta a Iannace; poi scendendo nella foresta verso la strada per il Santuario e infine a Mezzana, usando scorciatoie per i boschi di cerro. Per me il trekking è finito mentre Marco decide di tornare a San Severino a piedi... rinunciando, imperterrito, a farsi venire a prendere in macchina.
"L'Ascesa" - video della Traversata