Ascesa all'Eremo di San Saba
Prologo
Non sarà facile scalare la “piramide” di argilla e pietre,
dal versante che guarda verso il fiume le pareti sono ripide e scivolose, senza
alcun tipo di appiglio. Siamo curiosi di esplorare la sommità e vedere se magari
ci sono i resti dell’antico eremo. Siamo pessimisti, ma tentar non nuoce. Dal
crinale nord-est del pinnacolo notiamo degli alberetti che ci permetterebbero di
arrampicarci fino in cima. Decidiamo di provare. Ci sono una trentina metri di
pendio, con tratti quasi verticali. Con prudenza e molto attenti a dove
mettiamo i piedi, aggrappandoci alle radici e ai rami di piccoli ornielli,
roverelle e ginestre, ci portiamo appena sotto la sommità della rupe, nei
pressi di un boschetto di lecci e lentisco. Ad un certo punto sento esclamare
Maurizio, è davanti a me, mi chiama, è emozionato.
Ha trovato qualcosa! Mi avvicino e mi
appare una struttura in blocchi litici con un architrave sommitale. E’
l’entrata di una probabile celletta, tappata in gran parte dalla terra, ma si
notano perfettamente l’architrave e i muretti di pietra, perfettamente
squadrati. Una struttura antropica sicuramente antichissima e caduta da secoli
nell’oblio…
Nelle ultime esplorazioni nei calanchi del Sinni, io (
Saverio De Marco) e Maurizio Lofiego, rispettivamente presidente e segretario
dell’associazione Gruppo Lupi San Severino Lucano, avevamo raccolto
informazioni sull’Eremo di San Saba, che sulla base delle testimonianze
storiche doveva essere situato in cima all’isolotto piramidale nei pressi del
Sinni, chiamato anche “Dorso d’Elefante” in gergo geologico. Le informazioni
sugli eremi di questa zona ci disorientavano: lo stesso Braschi, nostro
Presidente onorario e guida storica del Parco, ci aveva indicato la presenza di
una grotta di sua conoscenza, nota per essere stata usata come romitorio dal
Beato Giovanni da Caramola, che è situata a nord del pinnacolo piramidale.
Tentiamo di trovarla seguendo le sue indicazioni ma non ci riusciamo.
In un
altro articolo del 2017 a cura dell’archeologo Valentino Vitale ecco cosa si legge: “L’eremo di San Saba doveva essere situato
pertanto sulla riva sinistra del fiume Sinni, nella località che il catasto
denomina Cella dell’eremita,
attualmente in agro di Fardella.
Oggi è possibile
vedere dalla S.S. Sinnica un isolotto piramidale nel letto del fiume che fino
al 1660 doveva essere attaccato alla terraferma, tanto che Gregorio De Lauro
nei capitoli III e IV della Vita
del Beato Giovanni lo descrive come una penisola. Giovanni si
stabilì in quest’eremo nel pianoro a settentrione dell’isolotto dove ancora
oggi esistono un pozzo d’acqua e una piccola grotta scavata nella roccia”
(https://associazionexerospotamos.wordpress.com/eremo-del-beato-giovanni/)
Altre
informazioni reperite in rete indicavano
la cima della “piramide” come sito dell’Eremo di San Saba. Ecco cosa ci aveva
detto Alberto Viceconte di Episcopia, conoscitore di storia locale: “quell'enorme scoglio che hai fotografato e
hai commentato come "cima inviolata" in realtà inviolata non è perché
fu il rifugio e l'eremo del Santo monaco italo greco Saba il Giovane che ne
abitò la sommità ben 1067 anni fa. In seguito questa imponente struttura prese
proprio il nome di "Eremo di San Saba" e venne abitata dal Beato
Giovanni da Caramola nel XIV sec. e dal monaco Pietro Cafaro di Episcopia nel
secolo successivo.” Secondo la testimonianza di un “anonimo trecentesco” raccolta in un libro
presente anche online sul Beato Giovanni
da Caramola si parla appunto di un eremo in cima alla rupe e delle difficoltà
di accesso allo stesso: “questo eremo si
trova nel territorio di Chiaromonte, su un'altissima rupe, sito inaccessibile
per natura e impervio, con possibilità di accesso da un solo lato; e anche
questo, sia per l'altezza a cui arriva, sia per la difficoltà del cammino,
unico praticabile perché gli altri non hanno uscita, è pericolosissimo anche
oggi dopo che è stata praticata un'apertura nella roccia e dopo che, ai nostri
giorni, è stato aperto un adito; e ci si arrampica con le scale”. (http://www.lucania.one/caramola/index.htm).
Su un altro sito si fa riferimento alla Cella dell’Eremita e all’isolotto
piramidale, ma si riporta la documentazione fotografica della grotta già
conosciuta e di un pozzo, in una zona facilmente accessibile e attribuita appunto alla
frequentazione del Beato Giovanni da Caramola (vedi foto della grotta a questo link https://www.visitfardella.it/leremo-di-san-saba-e-il-beato-giovanni-da-caramola/).
Arrivati in cima all’isolotto chiamiamo al telefono Giorgio Braschi per
comunicargli il ritrovamento, mentre al ritorno dell’escursione parliamo con il
nostro amico archeologo Vincenzo Tedesco, membro del direttivo del Gruppo Lupi, a
cui facciamo vedere le foto dei ritrovamenti (e che ringraziamo per la
consulenza archeologica fornita per la redazione di questo articolo).
Dalla documentazione in nostro possesso non risulta, tramite foto online e articoli scientifici, che sulla cima della “piramide” fosse stata trovata una qualche tipo di struttura che comprovasse l’esistenza del romitorio, anche se, come già detto,
le testimonianze storiche nonché le “voci di popolo” , parlano della sommità
della rupe come del sito dell’Eremo di San Saba.
Oltre alla celletta di pietra, sulla sommità scoperta della
rupe esistono i ruderi di un’antica struttura quadrangolare di modeste
dimensioni: è possibile notare le fondamenta, con le pietre allineate. Le
strutture murarie sono realizzate in blocchi litici sommariamente sbozzati, messi
in opera senza alcun legante (anche se le porzioni apprezzabili sono assai
limitate ). In associazione a tali evidenze è stato possibile osservare sul
terreno la presenza di tegole frammentarie. Inoltre, tutt'intorno, nei pressi
del boschetto di leccio, si riconosco
ancora ulteriori blocchi sbozzati, forse riferibili al crollo parziale degli
elevati della struttura. Abbiamo notato anche la presenza di un ulivo, con
relativi frutti. Il ritrovamento è stato documentato con foto e video: non
sappiamo a che epoca risalgono le ultime frequentazioni del sito, né se
qualcuno sia stato quassù prima di noi in tempi più recenti, ci siamo limitati a
documentare e descrivere quanto visto. Il paesaggio che si gode dalla
“piramide” è spettacolare e il luogo emana davvero un senso di elevazione
spirituale e di comunanza con il creato. Immaginiamo che anche questi dovevano
essere i sentimenti di quegli antichi monaci eremiti che si spingevano in
questi luoghi isolati per pregare e meditare. Era un luogo sacro… Non spostiamo
e non prendiamo nulla di quel che abbiamo visto e cerchiamo di lasciare meno
tracce possibili. Ci godiamo il paesaggio, mangiamo qualcosa sotto il sole che
illumina la cima e poi ci prepariamo a tornare giù. In discesa è d’obbligo la
corda, il terreno è scivoloso, si rischierebbe di cadere e di farsi male
seriamente. Sistemiamo la corda in doppia e affrontiamo il ripido pendio, in
tutto saranno una trentina di metri fino alla base della piramide… Quella di
oggi è stata una bella scoperta (o meglio “riscoperta”): per noi di sicuro è
una giornata indimenticabile che ci ha catapultati nei secoli passati, in
un’epoca in cui le nostre montagne e vallate erano rifugi che nutrivano l’anima
degli antichi monaci eremiti…
Saverio De Marco e
Maurizio Lofiego
(rispettivamente Presidente
e Segretario del Gruppo Lupi San Severino Lucano)
VIDEO
Ci sono salito circa più di un anno fa.... ho notato anche io il resto del rudere...e pezzi argilla cotta... enrico..... Lucca
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