venerdì 13 giugno 2025

Monte Pelato e i luoghi interiori (articolo apparso sulla rivista Apollinea di maggio-giugno)


Monte Pelato e i “luoghi interiori”




I luoghi, anche quelli naturali, possono essere intrisi di ricordi, ma non solo, possiamo immaginare durante i secoli uomini e donne che li hanno attraversati. Immaginare tutti i possibili vissuti legati ad un luogo, e quindi anche i sentimenti che hanno evocato, belli e brutti che siano.

La traccia di un vecchio sentiero di pastori diventa già il rimando, del resto, ad un vissuto. Sono cammini invisibili e si aggirano come fantasmi; non è solo la memoria delle nostre presenze passate in quelle località, ma anche quella che possiamo solo immaginare sulla base di racconti di altri, o con la fantasia.

I luoghi sono perciò anche spazi interiori oltre che fisici. È forse questa la ragione per cui i luoghi che frequentiamo da turisti, magari per una sola volta, ci appaiono più "freddi" ed estranei rispetto a quelli che ci sono più familiari per una lunga frequentazione; non hanno quel "carico di vissuto" che pesa invece sui primi...

Proprio perché sono paesaggi anche interiori, quando un luogo che frequentavamo viene deturpato denunciamo il danno materiale, ma inconsciamente è più il nostro animo ad essere ferito, evidentemente perché il luogo com'era una volta era associato ad emozioni positive e benessere psicofisico. È la ragione per cui non possiamo solo avanzare criteri utilitaristici (sebbene anche validi , come i servizi ecosistemici) nel discorso sulla protezione ambientale...

C’è un luogo a cui sono particolarmente legato del Pollino, fin dall’infanzia, e non si trova sulle vette di oltre duemila metri, ma più a bassa quota. È quasi snobbato a livello escursionistico anche se è importante dal punto di vista geologico: si tratta di Monte Pelato, spoglia montagna alle pendici delle foreste che circondano Serra di Crispo, caratterizzata da rocce di origine vulcanica e che non raggiunge i 1400 metri. È facile raggiungere la cima dal versante est, dopo una decina di minuti… vi arriva infatti una strada proprio sotto la sommità. Il versante ovest è invece più ripido e selvaggio e sovrasta Mezzana Salice, attraversata dal Fosso Salice, affluente del Frido, che si sviluppa proprio ai piedi di questa spoglia montagnetta. Fosso Salice è anche il corso d’acqua che permette di irrigare i campi agli abitanti di Mezzana.

Monte Pelato è per me una “montagna di ricordi”, la prima che abbia “scalato” da solo, quando ero ancora un ragazzino. Quando ero bambino la osservavo da casa e rappresentava un’attrazione irresistibile, una sorta di piccola frontiera della natura selvaggia. Mi immaginavo là, tra quei pendii ripidi e spogli, sui canali scuri per le rocce vulcaniche, ai miei occhi appariva una montagna grande, maestosa, una terra dell’avventura che prometteva intense emozioni.

All’epoca, nei primi anni Novanta, eravamo ragazzini delle aree rurali che ancora godevano di una grande libertà. I nostri genitori ci permettevano di girovagare per i boschi e i torrenti nei pressi del paese. Cominciai a compiere le prime escursioni in solitaria verso i 14 anni proprio in direzione dei pendii di Monte Pelato. Ricordo che a mio padre inventavo la scusa di andare a funghi nei boschi delle vicinanze, per poi spostarmi però verso i pendii di quella agognata montagna. Come compagno di camminata a volte avevo il fedele Zeus, un cane da caccia nero che mi seguiva in queste prime avventure. Ho vaghe memorie delle prime esplorazioni, ricordo che una prima volta non arrivai in cima, scalai i pendii per qualche centinaio di metri e poi tornai indietro. Un giorno, all’età di 15 anni, sempre con la scusa di andar per funghi, partii da solo da casa a piedi e giunsi nella faggeta che circonda la montagna, salii in cima al Monte Pelato e pensai bene di esplorare in discesa un fosso ripido e invaso dalla vegetazione che costeggia i versanti del lato sud. La discesa fu lenta, il terreno era accidentato e dovetti districarmi tra rovi e cespugli. Arrivai ai piedi della montagna sul versante nord nel pomeriggio inoltrato e mi riposai sull’erba dei pascoli; il sole era ancora alto ma avevo tanta strada da fare: tutta la zona ancora oggi è caratterizzata da fossi che bisogna superare scendendo e risalendo per le scarpate. Ero diretto ai boschi di cerro di Roccioli che conoscevo bene, perché c’ero già stato con mio padre a fare legna. Una volta imboccate le strade forestali di quella zona, sarebbe stato facile ritornare in paese. Purtroppo calcolai male gli orari perché quando arrivai alla strada erano dopo le 19 e stava già facendo buio: ero ansioso e preoccupato, perché con l’avanzare della notte i miei genitori si sarebbero allarmati. E così fu, era già scesa l’oscurità quando verso le 20.00 arrivai sopra Mezzana e vidi salire un’auto con alla guida un parente e mia madre. Il paese già si era allarmato perché era tardi e non ero ancora tornato a casa. Pensavano mi fossi perso o fosse capitato un qualche incidente. All’epoca non c’erano telefonini, né era presente il Soccorso Alpino, delle auto stavano partendo alla mia ricerca. Entrai in auto e raggiungemmo così un altro gruppo che era andato a cercarmi con mio padre verso il bivio Monte Pelato-Acquatremola. Tutto si risolse con qualche rimprovero dei miei familiari, arrabbiati per lo spavento che gli feci prendere, ma la mia voglia di esplorare le montagne della mia terra non per questo si era fermata.

Ritornai perciò spesso a Monte Pelato, e lo faccio tutt’ora, soprattutto a primavera, da solo o con amici o con gruppi di turisti che però accompagno lungo i sentieri segnati che oggi si dirigono verso la montagna (vi passa il Sentiero Italia, in un tratto della tappa Madonna di Pollino San Severino Lucano). Ma la mia escursione preferita, che faccio almeno una volta all’anno è quella in solitaria che ripercorre le prime esplorazioni della mia infanzia, da Mezzana risalendo verso i fossi creati dall’erosione di Fosso Salice fino alle ripide scarpate rocciose del versante che guarda verso l’abitato. E se una volta ad accompagnarmi era il fido Zeus, il cane da caccia di mio padre, negli anni successivi eccomi in compagnia di Buck, affezionato pastore abruzzese. Sono là sulla cima arrotondata della montagna, Buck ha circa sei mesi, sono le prime escursioni che fa assieme a me. Incontriamo i cani da pastore dell’ultimo pastore di Mezzana, che frequentava le pendici di questa montagna: “è un bel cucciolo dice”, mentre i cani adulti sono infastiditi dalla presenza di Buck. Ma rivedo lo stesso cane bianco ormai adulto, con la sua muscolatura possente, spostarsi agilmente sulle nere scarpate dei pendii della montagna, che mi seguiva contento ogni volta che tornavo al Monte Pelato.

Ma si torna ancora indietro nel tempo, sono in cammino attraverso i pascoli di Monte Pelato, non ho ancora vent’anni e incontro i cani di un altro pastore, di Mezzana Torre: mi vedono e si precipitano verso di me furiosi, ma io resto fermo e tranquillo, essi improvvisamente si fermano ad annusarmi, mentre il pastore accorso in mio aiuto esclama: “’ ‘A sai a mastrìa d’i cani!”, vuol dire “sai come comportarti coi cani da guardiana!”. Rivedo i tanti stagni di primavera: già da ragazzino mi fermavo ad osservare curioso gli ammassi gelatinosi di uova di rane che si potevano vedere nell’acqua.

Anche quest’anno non può mancare un’escursione a Monte Pelato da casa. Oggi sono in compagnia di Elvis, un ottimo e agile cane da compagnia che mi segue fedelmente senza allontanarsi. La prima volta che venne qui con me fu un anno fa, ancora cucciolo.

In questi decenni ho potuto riscontrare di persona le trasformazioni incorse sulle pendici della montagna: i pascoli si stanno riempiendo di vegetazione pioniera, ginestre, peri e meli selvatici, biancospini e rose canine stanno aumentando, ma la stessa faggeta è in espansione. Un tempo oltre ai pascoli vi erano ai margini della montagna anche terreni coltivati, dando un’occhiata ai catasti regionali qui risultano particelle ricadenti in proprietà private. Ciò che è cambiato poco sono i brulli pendii della montagna, la vegetazione sulle serpentiniti stenta a crescere. Pochi sono i faggi prostrati e aggrappati alle scarpate, che si incontrano quando si comincia a salire sui ripidi pendii. E poi i ginepri, dalle forme rotondeggianti e schiacciate tipiche dei luoghi scoperti. C’è persino un abete bianco di piccole dimensioni, che lotta per la sopravvivenza in un posto non proprio adatto alla sua specie. Salendo saltano agli occhi fiori di ginestre e stazioni di Iberide di pruitii color rosa pallido. E ogni tanto qualche orchidea. Sulla cima, oggi come decenni fa, ecco le fioriture del Muscari atlantico. Non ci sono più al pascolo pecore e capre, ma ogni tanto solo gruppi di vacche che si vedono anche da Mezzana, piccole macchioline bianche che contrastano sulle pendici scure e ripide del Monte. Mio padre da giovane frequentava Monte Pelato: ecco un’altra immagine, la foto di lui ventenne, a caccia di lepri col suo cane, seduto a ridosso delle rocce.

Esistono tanti cammini invisibili, esistono sentieri tutt’ora visibili percorsi dalla gente del passato, altri sono scomparsi, ma sempre potremmo avvertire – con la sensibilità della mente - che quei passi ci sono ancora, anche se li possiamo solo immaginare. Un luogo è anche uno spazio interiore, un insieme di vissuti, è memoria e ricordi. E questi vissuti lasciano labili tracce nell’ambiente circostante, che diventa quasi un libro da interpretare. Guardando l’insieme del paesaggio emerge la dimensione del tempo umano e il suo impatto con l’ambiente... e quella dei tempi geologici lunghissimi della terra, che ci sovrastano con l’ enigmatica presenza delle scure rocce vulcaniche...




Saverio De Marco

Guida Ambientale Escursionistica

Consigliere Nazionale Associazione Italiana Wilderness

Presidente Gruppo Lupi San Severino Lucano



















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