venerdì 13 giugno 2025

Pietra Castello, i pini loricati e gli abeti bianchi (articolo apparso su Apollinea di marzo/aprile 2025)


Pietra Castello, i pini loricati e gli abeti bianchi



Ogni tanto mi capita di sentire il discorso che per vedere il pino loricato e l'ambiente dell'alta montagna sia necessario fare lunghe escursioni riservate solo agli allenati. Pietra Castello è uno di quei luoghi che smentiscono questo assunto. Se si parte dalla strada di Lago Duglia (Terranova di Pollino), in un'oretta di cammino si arriva in un ambiente wilderness dominato da speroni di roccia, abeti bianchi e pini loricati monumentali, con un bel panorama sulla foresta di faggio-abete bianco. L'escursionismo non è solo arrivare sulle cime più alte, perché esistono luoghi della media montagna, come in questo caso (a 1650 metri), che meritano la medesima attenzione rivolta alle creste d'alta quota, e che consentono anche a persone non particolarmente allenate di poterli visitare.

Nel giro in solitaria di oggi son ritornato - con i pretesto di un sopralluogo - sul sentiero che da Lago Duglia va a Pietra Castello, poi son salito fuori sentiero fino a Timpa Castello, portandomi sotto le selvaggi pareti est di Serra di Crispo. Da lì, ho costeggiato la cresta nord e mi sono spinto in basso attraversando senza percorso obbligato (e orientandomi con l’esperienza che ho di questi luoghi), la foresta di Cugno dell’Acero, per ritornare al punto di partenza. Venendo dalla Valle del Frido son partito però dalla radura di Acquatremola, da qui c’è una bella pista forestale, ideale da fare in mountain bike, che si collega con la strada asfaltata per Lago Duglia che proviene da Casa del Conte.




Una volta partiti da lago Duglia, nel primo tratto il bosco è caratterizzato da specie come faggi, cerri, meli selvatici, biancospini e qualche giovane abete bianco. Successivamente si incontrano dei pascoli in via di rimboschimento, con vegetazione pioniera. Più avanti si incrocia il letto del fosso e lo si guada, in questo periodo è un torrente dalle copiose acque che scendendo veloci lungo i pendii rocciosi, formando delle piccole cascate. Successivamente si incontra la Sorgente Salicone e il terreno intanto comincia a farsi sempre più roccioso. Eccomi allo stagno di Lago Fondo, un’ oasi di biodiversità, ma siamo ancora in inverno, oggi in questo specchio d’acqua non sembra esserci vita. Il sentiero poi attraversa zone di pietrisco, si possono già ammirare degli imponenti affioramenti rocciosi. I pendii via via diventano più scoperti, si incontra qualche pino loricato e abete giovani. Salendo si arriva alla Sorgente Supr’ a’ Fund, è un percorso ricco di acque e di sorgenti, tutta quest’acqua che scorre a valle mette di buon umore, contribuisce all’atmosfera della primavera che ormai “brilla nell’aria”. Salendo ancora si cominciano ad incontrare gruppi di abeti e pini loricati di modeste dimensioni e una volta giunti ad un belvedere roccioso il panorama si apre verso Terranova di Pollino e la Val Sarmento. Ecco, in un’apparizione quasi surreale, l’ enorme e aspro dente di roccia calcarea che spunta dalla foresta, popolato alla base da qualche abete bianco e sulle pareti rocciose dai pini loricati, alcuni dei quali alti e dritti. Abeti e pini loricati qui condividono lo stesso ambiente. Salendo ancora si arriva all’incrocio con il sentiero della vecchia ferrovia boschiva Rueping che proviene da nord-ovest e che consente di collegarsi a Piano di Iannace.

Queste aree, che adesso dopo molti decenni sono ridiventate “wilderness”, un tempo subirono massicci disboscamenti di tipo industriale. La Rueping s.p.a. era una ditta tedesca che operò nei boschi all’interno dei confini dell’attuale Parco del Pollino: i tronchi venivano messi su carrelli che per forza di gravità scendevano lungo il tracciato (frenati dai conduttori) e poi agganciati ad una teleferica che li trasportava fino in pianura.

Più avanti, appaiono i tre magnifici pini loricati aggrappati agli scoscesi pendii soggetti ad erosione, con le monumentali radici in gran parte scoperte; il sentiero taglia in diagonale un ghiaione di pietrisco sui declivi sovrastati da altri pini loricati, che si sono adattati a vivere in queste condizioni avverse. Più avanti ci sono i resti del “patriarca” di Pietra Castello, un pino loricato dal tronco e dalle radici enormi, aggrappato alla roccia, purtroppo bruciato una ventina d’anni fa da ignoti. Provo sempre malinconia quando arrivo qui. Questi alberi non ci sono estranei, le comunità locali dovrebbero essere orgogliosi della loro presenza, anche perché sono parte della nostra identità: perché non siamo riusciti subito ad elevarci, ad aprirci mentalmente in modo da apprezzare le bellezze naturalistiche del nostro territorio? Quel pino, i cui resti giacciono tristemente sul pendio, avrebbero potuto meravigliare ancora per decenni gli animi dei visitatori e degli stessi abitanti delle valli del Pollino, di quei giovani a cui è stata tolta la possibilità di ammirare la maestosità di un albero vissuto per centinaia di anni. Come diceva Aldo Leopold, la creazione di nuova wilderness è impossibile, il mondo selvaggio può diminuire e mai aumentare, ecco dunque la necessità e l’importanza della conservazione.

Più avanti si giunge a Pietra Castello, si stagliano due imponenti spuntoni rocciosi: su quello di destra fino a qualche anno svettava un pino loricato secco, ancora presente ma abbattuto ormai a terra dalle intemperie. I pini loricati con le loro vicissitudini rimandano allo scorrere del tempo, esemplari giovani fotografati decine d’anni fa stanno crescendo; il tempo, inesorabile, è morte ma anche vita che si propaga, si risveglia, si espande... Mi affaccio sul ripido e suggestivo canalone roccioso alla cui base vivono degli abeti bianchi adulti, è un bel salto roccioso. Poi, costeggio le pareti rocciose e mi sporgo sul crinale della rupe, mi arrampico per qualche metro sulle rocce e arrivo così sulla sommità. Il vecchio pino secco che sta sullo sperone roccioso di fronte è accasciato al suolo e spezzato in due. Serra delle Ciavole, con il suo selvaggio versante est, si erge sullo sfondo, una sagoma fatta di roccia e neve che ricopre i canali, con terrazzi strapiombanti popolati da pini monumentali e altri, più sofferenti, che vivono sulla nuda roccia delle pareti verticali. Guardando verso la fascia di foresta di Pantano Grande-Cugno Ruggeri ho notato sugli abeti più imponenti numerose piante di Vischio dell’abete (Viscum album subsp. Abietis), anche se son lontani si può osservare la loro forma rotondeggiante dal colore verde chiaro brillante.

Il vento di sud-ovest oggi non dà tregua, adesso per tornare giù devo “disarrampicare” facendo attenzione a che gli spintoni dell’aria non mi facciano perdere l’equilibrio. Sceso dalla rupe decido di salire gli aspri pendii che portano verso Timpa del Castello, si notano solo tracce di sentieri di animali scavati sul pietrisco, l’ambiente è selvaggio; mi porto a ridosso di isolati pinnacoli rocciosi attraversando nevai o aree scoperte dalla neve, fino ad arrivare ad una colonia di pini loricati isolata, aggrappati ai pendii soggetti ad erosione: alcuni, in quest’equilibrio precario, mostrano le radici scoperte a causa del terreno scivolato giù. Per salire la scarpata innevata, mi aiuto con le solide maniglie rappresentate dalle radici dei faggi che vi sono abbarbicati. Noto un piccolo pino loricato cresciuto proprio alla base di un faggio, che ha sfruttato un po’ di terra presente sull’apparato radicale. Chissà, forse sopravviverà, riuscirà fra qualche decennio a crescere, a trovare la sua strada... e se sarà così prima o poi il faggio seccherà, marcirà, mentre il pino si svilupperà sul legno marcio del suo ospite? Chi può dire cosa accadrà? La vita è volontà, lotta e sopravvivenza, che si svolge nel succedersi degli eventi. Mi piacerebbe tornare qui fra qualche decennio e rivedere, ancora vivo e magari cresciuto, questo piccolo pino incontrato per caso… Raggiunta la sommità del pendio scendo verso lo stretto vallone (Valle degli Orsi) che costeggia le pareti est di Crispo. Imponenti massi caduti dalla montagna sembrano ergersi come monumenti in questa zona. Alcuni, per le geometrie simmetriche che presentano, sembrano quasi scolpiti, squadrati. La neve è instabile, tra un masso e l’altro ci sono molti ponti di neve, cammino a rilento, ogni tanto sprofondo, anche fino alla caviglia, tiro su la gamba e procedo con attenzione. La progressione è snervante, seguo il canalone in discesa e poi, per evitare altri sprofondamenti nella neve tra i massi rocciosi, mi porto nel bosco più fitto e procedo di tallone speditamente nella neve più compatta, che più giù si dirada fino a scomparire una volta raggiunta la base della cresta nord di Crispo. Anche qui, scendendo, si rivelano splendide propaggini rocciose, come una roccia cava, a forma di recipiente, attaccata ad un enorme masso di forma obliqua coperto di muschio e più giù una parete di roccia calcarea che sembra formata da tanti mattoncini cementati. Oltre agli abeti bianchi incontro gli aceri e anche qualche colonia isolata ma rigogliosa, con esemplari di grandi dimensioni, di pioppi tremuli, dalla corteccia liscia e chiara sulla sommità e sui rami degli esemplari adulti, che vivono qui associati all’abete e ai faggi. Scendendo, noto delle fatte (escrementi) di cervo e poi più avanti di capriolo italico, entrambi ormai presenze stabili di questa foresta. So che fra poco incrocerò il Canale Cugno dell’Acero, anche se non posso stabilire in che punto: vi arrivo e lo seguo per un tratto, dove le sue rive son popolate da enormi abeti bianchi coperti dai muschi di verde brillante; le sue acque limpide formano un calmo ruscelletto che attraversa la foresta. Dal tronco di un abete fuoriesce la resina e mi viene in mente mio nonno, che quando andava in montagna portava appresso sempre un barattolo per raccoglierla e usarla a casa per scopi medicamentosi. Ne stacco un pezzetto, sento il suo profumo e la sua consistenza appiccicosa . Vagando negli anfratti della foresta mi imbatto in rametti d’abete spezzati, caduti a terra, con le tipiche foglie della chioma più coriacee rispetto a quelle dei rami non esposti al sole, orientate verso l’alto e con un apice pungente. Ne prendo qualcuno, lo metto nella tasca esterna dello zaino, lo userò per abbellimento. Ed ecco al suolo, visibili ogni tanto, anche le squame delle pigne dell’abete, che si staccano e cadono a terra volta per volta. Sarà proprio l’abete il protagonista, come avviene da secoli, dei riti arborei che si svolgeranno in primavera in alcuni paesi del Pollino, simbolo sempreverde di rinascita e di fertilità, nell’approssimarsi ciclica della nuova, imminente stagione.




Saverio De Marco

Guida Ambientale Escursionistica

Delegato Basilicata Associazione Italiana Wilderness

Presidente Gruppo Lupi San Severino Lucano

(articolo apparso su Apollinea di marzo/aprile 2025)
























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