"Lo sguardo neutrale è una menzogna, specie nel mio lavoro, dove basta spostare la macchina da presa di pochi centimetri perché tutto cambi"
(Vittorio De Seta)
"Lo sguardo neutrale è una menzogna, specie nel mio lavoro, dove basta spostare la macchina da presa di pochi centimetri perché tutto cambi"
(Vittorio De Seta)
“Presso di noi non c’erano templi o santuari che non fossero quelli della natura. Uomo della natura, l’indiano era intensamente poetico. Avrebbe ritenuto sacrilego costruire una casa per Colui che si poteva incontrare faccia a faccia nelle misteriose, ombrose navate della foresta primordiale, nel seno soleggiato delle praterie vergini, o sulle guglie e i pinnacoli vertiginosi di nuda roccia, e lassù nella volta ingioiellata del cielo notturno!”
(Charles Eastman)
Gli Indiani d’America hanno rappresentato una grande cultura nella storia recente dell’umanità. Perseguitati e decimati dalle guerre coloniali degli Stati Uniti, considerati dei selvaggi contrari al progresso dell’umanità, ancora oggi in lotta per l’affermazione dei loro diritti e la difesa della loro cultura tradizionale, essi possono offrirci spunti molto importanti per riflettere sul ruolo dell’uomo nel suo rapporto con l’ambiente naturale, in un’epoca come quella attuale caratterizzata dallo stravolgimento dei cicli naturali e dal continuo sperpero di risorse naturali. Gli Indiani d’America (ma in genere tutti i popoli tribali: gli indiani americani ci hanno offerto solamente molte più testimonianze) avevano una visione molto semplice dell’uomo e della natura. Per la loro religione l’uomo non era un essere superiore la cui missione fosse quella di assogettare sotto di sé ogni manifestazione della natura. Nella Bibbia invece l’uomo è il padrone assoluto, creato a immagine e somiglianza di Dio che lo incita a dominare su ogni altra creatura della terra. Penso come loro che non siamo, noi esseri umani, talmente speciali rispetto agli animali, per possedere l’anima o un posto in paradiso; siamo diversi, certo, ma non superiori. L’uomo per gli indiani era invece parte della natura, parte di un Tutto, ed ogni cosa appartenente alla natura era degna di considerazione e venerazione; persino le rocce, l’acqua, la terra erano considerate qualcosa “di vivo”; quasi “parlavano” per essere i testimoni e i custodi delle gesta degli antenati. L’indiano non aveva paura poi della morte, in quanto la morte, nella loro visione del mondo, faceva parte della vita. L’indiano era cosciente della vera natura del suo posto nel mondo. Non c’era come nelle religioni monoteiste attuali, ma anche come in un certo esistenzialismo nichilista di matrice laica, un rapporto nevrotico (ovviamente è un mio giudizio personale) con la morte. Con la cessazione della vita l’uomo si ricongiungeva al Grande Mistero, alla natura, all’eternità delle cose. La vita per l’indiano, proprio perché intessuta fortemente con i ritmi della vita naturale, era connaturata dalla ciclicità e seguiva la successione delle stagioni, per cui tutto ritornava nel mondo ma contemporaneamente tutto si trasformava. L’uomo capiva di essere inserito in un equilibrio delicato che riguardava tutti gli esseri della terra; la sua intenzione perciò era vivere in armonia con la natura, i suoi cicli e le sue trasformazioni. Questa visione “ecocentrica” del mondo era una diretta espressione del modo di vita indiano, basato su una sorta di comunismo primitivo che portava l’indiano a ritenere inconcepibile il concetto di proprietà privata e la superiorità dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi, una visione del mondo che è riassunta in una celebre frase dei nativi americani passata alla storia: “non è la terra che appartiene all’uomo ma è l’uomo che appartiene alla terra”. Per affrontare l'argomento delle tradizioni e della spiritualità indiana non basterebbe un'enciclopedia; mi limiterò ad esporre liberamente alcuni aspetti della loro visione del mondo.
Alla base della spiritualità indiana c’era il concetto di Wakan Tanka, parola sioux che significa "Grande Mistero", tradotto erroneamente dai gesuiti col termine Grande Spirito (fatto questo che evidentemente mostra come i missionari tendessero ad influenzare ed a vedere sotto la luce del cristianesimo le concezioni religiose dei popoli nativi). Come afferma Eastman, autore del bellissimo libro L’anima dell’indiano:
per lui esso era il concetto supremo, portatore della massima gioia e del massimo appagamento possibili in questa vita. Il culto del “Grande Mistero” era silenzioso, solitario, scevro da ogni egoismo. Era silenzioso, perché ogni parola è necessariamente imperfetta; perciò le anime dei miei antenati si innalzavano a Dio in muta venerazione.
Questo concetto è molto lontano dal Dio delle religioni monoteiste, in quanto il Grande Mistero, Wakan Tanka, era concepito come una forza invisibile presente in tutte le cose, ovvero si identificava con la stessa natura. Scrive Eastman:
agli elementi e alle grandiose forze della natura – il Fulmine, il Vento, l’Acqua, il Fuoco e il Gelo – si guardava con sacro timore come a potenze spirituali, ma sempre di carattere secondario e intermedio. Noi credevamo che lo spirito permeasse di sé tutto il creato, e che ogni essere avesse un’anima anche se in gradi diversi, e non necessariamente un’anima consapevole. L’albero, la cascata, l’orso grigio incarnano tutti una Forza, e come tali sono oggetto di venerazione.
Come afferma ancora Eastman l’indiano era un pensatore logico e chiaro e il suo culto riguardava in ultima analisi il mondo fisico. Tuttavia l’indiano
non aveva ancora fatto una mappa dell’immenso campo della natura né aveva espresso la sua meraviglia in termini scientifici. Con la sua limitata conoscenza di cause ed effetti vedeva miracoli ovunque – il miracolo della vita nel seme dell’uovo, il miracolo della morte nel balenio del fulmine e nell’oceano in burrasca. Nessun prodigio poteva sorprenderlo, come un animale che si metta a parlare, o il Sole che si fermi in mezzo al cielo. La nascita da una vergine non gli sarebbe parsa molto più miracolosa della nascita di ogni bambino che viene al mondo, né il miracolo dei pani e dei pesci lo avrebbe stupito più del raccolto che cresce da una sola spiga di grano.
I riti di questo culto fisico, d’altra parte, erano assolutamente simbolici; l’indiano non tributava un culto al Sole più di quanto il cristiano adori la Croce. Il Sole e la Terra, secondo un’ovvia parabola, appena più ricca di metafora poetica che di verità scientifica, erano ai suoi occhi i genitori di ogni forma di vita organica. Dal Sole, il padre universale, deriva il principio vivificante della natura, e nel grembo paziente e fecondo di nostra madre, la Terra, si celano gli embrioni degli uomini e delle piante.
Anche se Wakan Tanka esprime la Forza ineffabile che dà origine a tutte le cose e anche se appare invisibile, in ultima analisi non è come separato dal mondo e dalla Terra. E’ sempre nella natura che va ricercato il fondamento della spiritualità dei nativi americani. Wakan Tanka è perciò nella stessa natura: negli animali, nelle piante e nel vento… nella stessa materia inanimata. Come afferma Simone Bedetti
il respiro della sua esistenza può essere riconosciuto solo a partire da tutte le cose. Il legame profondo che unisce gli Indiani d’America alla Terra, concepita come madre e sorella, Terra che dà nutrimento a tutti i suoi figli, che accoglie i suoi morti e grazie alla quale tutte le creature possono vivere, non può non influenzare tutto il loro pensiero, ogni tipo di riflessione intorno alla loro esistenza.
Wakan Tanka non fa riferimento ad un Essere pefetto, al di là e al di sopra di tutti gli altri. Il Grande Mistero non è inoltre un essere unico e immobile: “… singolare come espressione verbale e plurale nel significato, non è una personificazione; lo sono le sue manifestazioni: fenomeni naturali come il Vento, le Stelle (il woniya di Wakan Tanka, il respiro del Grande Respiro), il Sole (Wi), la Luna (Hanwi), la nascita di un bambino. E’ a Wakan Tanka, l’energia suprema, la fonte di tutte le cose e presente in tutte le cose, che si rivolge un Sioux quando prega…” (Marco Messignan, sulla spiritualità dei Sioux).
In complesse pratiche tradizionali come la ricerca della visione, il rito della Capanna del Sudore e la Danza del Sole si cercava proprio il contatto con il Grande Mistero . Scriveva Eastman:
la comunione solitaria con l'Invisibile, la più alta espressione della nostra vita religiosa, è parzialmente racchiusa nella parola hambeday - letteralmente "sensazione misteriosa" - , che è stata variamente tradotta come "digiuno" o "sogno". Più propriamente si potrebbe rendere con "coscienza del divino"
Proprio in quanto Wakan Tanka è l’origine di tutte le cose, esso è posto nel centro della Ruota di medicina degli Indiani d’America. La Ruota di medicina è il simbolo per eccellenza dei nativi americani, e racchiude in qualche modo l’intera cultura di questo popolo e le sue tradizioni spirituali. La Ruota aveva la forma di un cerchio costruito sulla terra con sassi e ciottoli. Spesso al centro della Ruota veniva posto un cranio di bisonte, animale sacro a molte tribù, che diventava proprio il simbolo di Wakan Tanka. Come scriveva Alce Nero
tutto ciò che il Potere del Mondo fa, lo fa in un circolo. Il cielo è rotondo, e ho sentito dire che la terra è rotonda come una palla, e che così sono le stelle. Il vento, quando è più potente, gira in turbini. Gli uccelli fanno i loro nidi circolari, perché la loro religione è la stessa nostra. Il sole sorge e tramonta sempre in un circolo. La luna fa lo stesso, e tutti e due sono rotondi. Perfino le stagioni formano un grande circolo, nel loro mutamento, e sempre ritornano al punto di prima. La vita dell'uomo è un circolo, dall'infanzia all'infanzia, e lo stesso accade con ogni cosa dove un potere si muove. Le nostre tende erano rotonde, come i nidi degli uccelli, e inoltre erano sempre disposte in circolo, il cerchio della nazione, un nido di molti nidi, dove il Grande Spirito voleva che noi covassimo i nostri piccoli. Ma i Wasichu ci hanno messi in queste scatole quadrate. Il nostro potere se ne è andato e stiamo morendo, perché il potere non è più in noi.
Come dice Hyemeyohsts Storm, pittore nativo autore di numerose rappresentazioni del Cerchio nel suo famoso libro Sette Frecce:
il Cerchio della Ruota di medicina è l’universo. E’ mutamento, vita, morte, nascita e apprendimento. Questo Grande Cerchio è la dimora del corpo, della mente e del cuore, è il ciclo di tutte le cose che esitono. Il Cerchio è il nostro modo di toccare e di provare armonia con tutte le altre cose che ci stanno intorno; e per coloro che cercano di capire, il Cerchio è il loro specchio.
All’interno del cerchio sono tracciate le Quattro Direzioni o Quattro Venti (Nord, Sud, Ovest ed Est), simboli di altrettante energie spirituali. Nella Ruota l’uomo non è un centro, ma un frammento tra i frammenti, creatura tra le creature; l’individuo dipende da tutte le creature e tutte dipendono da Wakan Tanka. L’individuo per i nativi americani nasceva in una dei quattro quadranti dalle quali prendeva pregi e difetti…
Come afferma giustamente Simone Bedetti, bisogna concepire la Ruota di medicina non come simbolo di pefezione, ma come simbolo di mutamento e trasformazione. La Ruota è il simbolo dell’armonia universale, nel quale trovano posto tutte le cose, ma quest’armonia è frutto delle trasformazioni e dei continui mutamenti. Cioè siamo in presenza di un’armonia nella disarmonia. Questo concetto, espresso dal pensiero dei nativi americani è un’acquisizione anche della filosofia della scienza attuale se si pensa ad esempio ad un autore contemporaneo come Ilya Prigogine secondo cui “l’ordine galleggia nel disordine”. Come scrive Simone Bedetti riprendendo le considerazioni di Kenneth Meadows, il significato di “medicina” “non è uno strumento terapeutico volto a lenire i sintomi di una malattia fisica, mentale e spirituale, ma indica principalmente il potere della realizzazione nella consapevolezza dell’armonia, che a sua volta costituisce il senso ultimo dell’esistenza umana. Ed è con la realizzazione, intesa come partecipazione consapevole e responsabile all’armonia universale, che si guarisce: è questa la medicina della Ruota”. L’armonia della Ruota non è nient’altro che l’armonia della nostra stessa esistenza nella natura, il riconoscimento di essere parte di essa e dei suoi ritmi. Per gli indiani la natura era sacra, anche perché la stessa esistenza dell’indiano americano dipendeva da essa. Non era una concezione astratta ma derivava dal modo di vita delle tribù native. Per l’indiano abenaki Joseph Bruchac ad esempio, l’indiano era attento alla salvaguardia delle specie animali e i vecchi indiani ripetevano che l’uomo non doveva pensare solo a se stesso ma anche alle generazioni future che sarebbero venute (un’acquisizione questa che è oggi è fatta propria dell’ecologismo moderno...). Il cosiddetto “pensiero ecologico” degli antichi nativi americani era infatti considerato una necessità pratica di vita piuttosto che una realtà divina (e quindi astratta); era cioè il risultato finale di esperienze primordiali. La sacralità della natura era così l’elemento più importante della Ruota di Medicina. Il recupero di questo senso di appartenenza e di rispetto per l'ambiente naturale è una sfida per l'uomo contemporaneo. Concludiamo con queste evocative parole di Pete Chatches, indiano dakota...
Ogni essere vivente, in sé, è una forza: persino una minuscola formica, una farfalla, un albero, un fiore, una pietra: poiché in ognuno di essi vive il Grande Spirito. L’attuale modo di vivere dei bianchi tiene questa forza lontana da noi, la indebolisce. C’è bisogno di tempo e pazienza per riavvicinarsi alla natura e lasciarsi aiutare da essa. Tempo, per meditare su questo e comprendere. Voi ne avete così poco per la contemplazione e l’osservazione: siete sempre di corsa, continuamente incitati, sempre a caccia di qualcosa. Questa inquietudine, questo inutile sforzo impoverisce gli uomini.
Riferimenti:
L’anima dell’indiano, Charles A. Eastman
La Ruota di medicina degli Indiani d’America, Simone Bedetti
I segreti degli Indiani d’America, Simone Bedetti
I Sioux, Marco Messignan