Il Monte Pelato è una piccola e strana montagnetta spoglia, dalla conformazione di terreno lavico. Esso fu nella mia adolescenza meta delle mie prime escursioni, quando mi avventuravo da solo per le stradine dei pastori e nei boschetti di faggio che ammantano i fianchi della montagna. La cima del monte è facile da raggiungere dal versante est. Si arriva con l'auto fin sotto la sommità e si prende il sentierino che vi conduce. Il versante ovest è molto più selvaggio e scosceso e ai suoi piedi si estendono ampi pascoli dove ancora oggi gli ultimi pastori di Mezzana conducono greggi di pecore e capre. I pascoli sono punteggiati da una grande varietà di alberi, dal cerro al faggio ai salici agli alberelli di spine e ogni tanto ci si imbatte in alcuni stagnetti dove crescono alti giunchi... Ricordo che da ragazzino mi fermavo in questi stagni ad osservare i girini che vi nuotavano e le rane nascoste nel fogliame che saltavano in acqua al rumore dei miei passi. Un fossato costeggia i piedi della piccola montagna e il terreno qui è tutto franoso. Gli alberi che crescono lungo le sponde a volte vengono sradicati e travolti così dalla frana. Questo terreno accidentato e brullo è percorso da sentieri creati dal calpestio delle greggi. Sono molto attaccato al Monte Pelato ed è nei suoi pascoli che son voluto ritornare dopo tanti anni, assieme al mio cane che oggi compie la sua prima vera escursione. Lungo il sentiero mi tornano alla mente quegli scorci che avevo scoperto durante le passeggiate della mia infanzia... Sciami di tafani (dette anche mosche cavalline) mi ronzano intorno. I loro morsi non si sopportano. Arrivo ai piedi della montagna e supero la frana formata dal fossato per poi dirigermi nei boschetti di faggio e risalire il fianco della montagna a sinistra. Buck è affannato dal caldo ma mi segue dovunque vada. Superiamo il fossato che scende lungo il fianco del monte, coperto dalle macchie di faggio. Buck ha difficoltà a superare un grande masso ma alla fine riesce a saltare. Esco dal bosco e noto che un pastore scende conducendo il suo gregge di pecore e capre, assieme ad un bellissimo cane da pastore bianco pezzato di marrone, che già digrigna i denti per avere avvistato il mio cane. Lego Buck al guinzaglio per evitare che il grosso cane possa aggredirlo. Riconosco il pastore, è Mario del mio paese, che non vedevo da tanto tempo. Gli dico chi sono perché ho capito che invece lui non mi ha riconosciuto. Faccio due chiacchiere con lui che mi rammenta un episodio della mia vita, quando un giorno (all'epoca avevo quindici anni) mi avventurai in questi luoghi da solo, il sole era tramontato e io ancora non ero ritornato a casa. Il villaggio si era allarmato per la mia "scomparsa" e subito erano cominciate le ricerche, alle quali si era unito anche il pastore. Non mi ero perso ma avevo fatto tardi e mia madre e un parente mi scontrarono proprio sopra il paese, mentre stavo ritornando, lungo la strada che scende dalla montagna. Saluto Mario che si allontana costeggiando il pendio e mi dirigo verso la fontana e il vecchio abbeveratoio, proprio dove finisce la strada asfaltata. Da qui si segue il brevissimo sentierino che conduce sulla sommità della montagna, popolata da basse macchie di ginepro. Il panorama è stupendo e per goderlo appieno bisogna stare qui nelle ore del tramonto, come stasera, quando i prati e il brullo terreno del monte riflettono la luce dorata del crepuscolo; le sagome delle montagne lontane, avvolte dalla foschia della torrida giornata estiva, si tingono invece di un azzurro pallido. Sulla cima sono giunti anche tre giovani turisti che cercano di accarezzare il mio cane. Lui diffidente non si fa toccare, da buon cane da pastore abituato a seguire il padrone e a rifiutare le coccole degli estranei! Il cane sembra un po' disorientato e resta sempre vigile e attento a quello che si muove intorno, forse perché finora non lo avevo mai portato così lontano e forse perché oggi sta scoprendo troppe cose tutte assieme. Dalla cima ci dirigiamo giù per prendere la via del ritorno. Un altro pastore, anche lui di una frazione di Mezzana, ha ormai concluso la sua giornata e comincia a dirigere il gregge sulla strada di casa. La sua giacca é infestata dai tafani ma egli non sembra badarci. Lego di nuovo Buck al guinzaglio perché uno dei cani del pastore si sta avvicinando. E' davvero grosso, bianco, con una cicatrice sul muso, si ferma vicino a me per annusare Buck, si tranquillizza e poi si allontana. Saluto il pastore che riprende a richiamare e spronare le sue pecore con quelle parole che sembrano i lasciti di un gergo arcaico, e riprendo così il sentiero. Intanto la luce soffusa del tramonto si espande dappertutto. Con il crepuscolo in questi pascoli sembra diffondersi come sempre un'atmosfera di serenità e calma interiore. L'aria è fresca e camminare adesso è davvero piacevole. Comincio a fischiettare lungo la strada... persino il cane sembra più giocoso, perché adesso mi corre davanti voltandosi a guardarmi, facendo finta di essere inseguito. Passo accanto ai ruderi degli ovili attorniati dai salici. I salici venivano piantati prima della costruzione dell'ovile perchè era necessario che le pecore stessero sempre al fresco, riparati dai raggi del sole. Gli alberi sembrano dei sopravvissuti a questi edifici di pietra ormai in rovina, muti testimoni di una civiltà , quella agropastorale, che già adesso appartiene ad un lontano passato. Lo sterrato finisce, ritrovo la strada asfaltata e mi avvio verso casa...
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