sabato 5 giugno 2010

Le Quattro Volte - di Michelangelo Frammartino. Il Pollino protagonista a Cannes.

“Abbiamo in noi quattro vite successive, incastrate l’una dentro l’altra. L’uomo è un minerale perché ha in sé lo scheletro, formato da Sali e da sostanze minerali; attorno a questo scheletro è ricamato un corpo di carne, formato di acqua, di fermenti e di altri Sali. L’uomo è anche un vegetale, perché come le piante si nutre, respira, ha un sistema circolatorio, ha il sangue come linfa, si riproduce. È anche un animale, in quanto dotato di moralità e di conoscenza del mondo esterno, datagli dai cinque sensi completata dall’immaginazione e dalla memoria. Infine è un essere razionale, in quanto possiede verità e ragione”. (testimonianza di scuola pitagorica)

"Le Quattro Volte" è il film di Michelangelo Frammartino premiato a Cannes ed uscito ultimamente nelle sale italiane. Indubbiamente è a mio avviso uno dei film migliori che il cinema italiano abbia prodotto di recente. Soprattutto un'opera che non può essere ignorata da coloro i quali sono originari del Pollino, o vivono ancora nelle sue valli.  Gran parte delle riprese si sono infatti svolte nelle strade, nei pascoli e nei boschi  di Alessandria del Carretto, piccolo borgo del Pollino calabrese, paese già noto per un altro grande film-documentario: "I dimenticati", del grande regista Vittorio De Seta. Come in De Seta, anche in questo film i protagonisti appartengono al mondo sommerso della civiltà contadina, i cui relitti persistono ancora nelle sperdute contrade dell'appennino meridionale. I protagonisti di questo film non sono però solo contadini, ma anche animali, alberi, natura inanimata, ovvero la terra stessa. Come suggerisce la testimonianza di Pitagora l'uomo è egli stesso tutte queste cose. Proprio da questo concetto pitagorico si ricava il filo che tesse l'intera trama del film e che gli dà il titolo. L'originalità di Frammartino sta proprio qui: egli fa parlare quattro diversi protagonisti che rimandano anche alla suddivisione del film in quattro capitoli  differenti, ma legati strettamente l'uno all'altro. Ad aprire il film è un vecchio pastore di capre alla fine dei suoi giorni: anche se l'elemento simbolico più importante all'inizio appare la terra, come sostanza minerale, sotto forma della polvere accumulata sul pavimento della chiesa del paese... Una terra che assume carattere sacrale, per il pastore un rimedio magico ai suoi mali. Dalla morte che fa incursione nel piccolo paese la scena successiva ci mostra la vita che rinasce, questa volta sotto le sembianze di un capretto appena venuto al mondo.
La "terza volta" è invece rappresentata dalle vicissitudini di un abete bianco, colto nel mutare delle stagioni,  il cui destino è legato alla cultura della civiltà agropastorale. Attraverso il lungo cammino e le trasformazioni dell'abete si ritornerà nuovamente all'uomo, per inaugurare una distruzione che rappresenta però anche un nuovo inizio e un nuovo ritorno.
Morte e vita in questo film convivono e si confondono, e la successione delle scene rimanda anche alla rappresentazione dei cicli della natura, che pervadono l'esistenza dell'uomo nel mondo agreste delle montagne. Ogni essere è legato all'altro, anzi, ogni essere entra a far parte di un altro e della sua rispettiva sfera di vita, per poi ritornare alla sua origine (efficace ad esempio la scena dell'albero entra nel camino delle abitazioni e ne esce come fumo, espandendosi nell'aria...); e la successione delle sequenze dà quasi l'idea della reincarnazione... Penso che ci sia in questo film un forte accento sul cosidetto "senso del sacro": quest'ultimo è espresso dalla polvere della chiesa, usata nel rituale salvifico del vecchio pastore come medicina; e soprattutto nella venerazione della natura espressa dagli antichi  (e pagani) riti arborei. Quando, dopo che la festa è finita, l'abete verrà venduto ai carbonai, essi erigeranno una catasta verticale con i suoi ceppi, posta al centro della loro arena circolare di legna accatastata (mi viene in mente il significato che ha il cerchio nelle culture tradizionali..). Nel centro del cerchio, nell'interstizio della catasta, verrà appiccato il fuoco, con un gesto augurale che vuole in qualche modo "benedire" il risultato del duro e delicato lavoro dei carbonai e "ringraziare" allo stesso tempo il "tutto cosmico".
E alla fine il fumo della legna ritornerà tra gli alberi, confondendosi con la nebbia che aleggia sulla foresta di faggio e abete bianco (bella l'inquadratura degli abeti che spuntano dalla faggeta... al tempo stesso mistica e a me così familiare...).
Il pregio di questo film è anche dovuto all'elevato livello tecnico- espressivo. Grande importanza assumono perciò le meditate scelte stilistiche. Si capisce ad un'analisi attenta del film che in esso non c'è nulla di improvvisato. Ogni sequenza obbedisce alla solida logica filosofica che sta dietro a tutto il film. Lo sguardo del regista è inesorabile, distaccato: molte le scene girate dall'alto e con la telecamera fissa. Nell'inquadratura fissa c'è un mondo che vive, con le sue ripetizioni, la quotidianità, ma anche i suoi eventi di rottura e di cambiamento.  Fondamnetali anche i primi piani, fortemente evocativi: mi viene in mente il confronto fra la scena della formica che si aggira sul volto rugoso del vecchio pastore e la scena di un'altra formica, che invece si vede camminare sulla corteccia del grande abete che viene mostrato all'inizio del terzo capitolo...

La maestria del regista è anche l'aver saputo raccontare la sua storia evitando commenti fuori campo  e sottotitoli, e rendendo incomprensibili i limitati dialoghi che pure esistono in alcune scene del film. E' un film perciò che si esprime molto con l'immagine e gli effetti sonori. Un film di rumori e suoni quindi: i belati del capretto, i colpi di tosse del vecchio, i tuoni e il chiacchiericcio sommesso e lontano degli uomini, lo scricchiolio della legna carbonizzata...
Un film che sicuramente piacerà a noi giovani appassionati del Pollino, a tutti quelli in cui  è ancora viva la coscienza e la memoria che ci lega alle radici del mondo contadino, al ricordo della nostra gente e alle atmosfere della nostra terra. E' un fatto di cuore, e al cuore non si comanda...
Indio

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