Nei santuari dell'abete bianco: dal Fronte di Mola a Cugno dell'Acero
Buck lungo il sentiero del Fronte di Mola, che si snoda tra le radici degli abeti secolari: uno dei "santuari" dell'abete bianco - foto by Indio. sotto: 1. Pantano Grande; 2. abeti secolari; 3. la radura, presso Fronte di Mola; 4. un tratto di Canale Cugno dell'Acero.
Pensavo di conoscere ormai abbastanza bene le pendici boscose che ammantano i crinali di Serra Crispo.
Eppure c'è un luogo magico che ancora non avevo visto, se non da lontano, dalle alture rocciose di Serra di Crispo e Pietra Castello: si tratta della foresta di abeti di Cugno Ruggeri-Fronte di Mola, che circonda ad est le pendici di Serra di Crispo. In realtà, come ho scoperto dopo, ne aveva accennato anche Braschi in uno dei suoi itinerari, nel libro "Sui sentieri del Pollino ": "...il tracciato termina nell'ampia radura pianeggiante di pantano Grande delimitata a monte dalla foresta di abete bianco.
Ci si inoltra nel bosco seguendo un'evidente traccia di sentiero che inizia di fronte al termine della strada tra grandi esemplari di abete" (1993, pag. 140). Questo posto mi ha dato lo stimolo per l'escursione che avevo in mente, da farsi interamente nella foresta, lontano dalle vette bruciate da sole e avvolte dalla foschia di questi giorni. Ad accompagnarmi il fido Buck, che finalmente può seguirmi, dopo le tante volte in cui era stato lasciato a casa sconsolato, in occasione di escursioni assieme agli amici.
La prima parte del percorso è davvero dura: sciami di tafani non mi danno tregua. Non serve nemmeno la pomata. L'unico rimedio è il sventolare il tradizionale rametto d' albero che fa da ventaglio e li allontana. La parte più noiosa dell'escursione è ovviamente quella lungo il tratto di strada asfaltata da cui inizia il sentiero per Lago Fondo. Incontro tre turisti milanesi a cui fornisco indicazioni e poi un cane maremmano, della stessa razza di Buck. Appena ci vede scappa impaurito. I maremmani possono spaventare per la loro mole, ma sono in genere cani timidi e mai aggressivi. Ovviamente si limitano a fare il loro dovere istintivo: abbaiare agli estranei nei pressi della proprietà o del gregge che difendono.
Il sentiero che conduce nella foresta si prende dopo il Rifugio Segheria e sale attraverso boschi caratterizzati dall'associazione di cerri, faggi e piccoli abeti bianchi. Eccoci arrivati a Pantano Grande: Buck si rinfresca rotolandosi nel pantano, tra l'erba alta. Gli abeti, altissimi, spuntano con le loro cime sulla foresta. Siamo arrivati alla porta del "santuario". Dal bosco si passa alla foresta vera e propria: l'ingresso è caratterizzato da spiazzi popolati da monumentali abeti bianchi, altissimi e dritti, alcuni piegati obliquamente. Ecco, qui posso davvero avvertire l'autentico "spirito wilderness". Lo spettacolo continua durante til resto del percorso. Il sentiero comincia a salire, aggirandosi tra le possenti radici degli abeti. Arriviamo nei pressi di un ruscello e Buck si disseta. Sento i passi pesanti di animali nel bosco. Riconosco il rumore: sono cinghiali. Me ne accorgo prima io del cane. Si avvicinano e comincio a vedere le loro orecchie spuntare dalla vegetazione. Sono un branco di cinghiali di tutte le età.
Vedo anche qualche piccolo cinghialino. Il cane adesso ha rizzato le orecchie e si è accorto anche lui della loro presenza. Ed ecco che un cinghiale mi vede e salta per aria dallo spavento con un grugnito. Scappano subito via impauriti, inseguiti dal mio cane. I cinghiali se imbestialiti possono assaltare e uccidere sia cani che lupi, ma solo se aggrediti. In questo caso si son presi solo un bello spavento, perchè andavano dritti per la loro strada e si son visti davanti due strani esseri, immobili come fantasmi vicino al ruscello. Chiamo il cane ma non viene. Sento il suo abbaiare lontano. Dato che non è un cane da caccia dovrebbe ritornare subito, e infatti ritorna scendendo lungo i pendii boscosi. Ci aspetta subito dopo quest'incontro, un altro posto magnifico: una radura nella foresta punteggiata da un gruppo di abeti. Allargo le braccia per la meraviglia. Mi sento fortunato quando ancora riesco a scoprire per la prima volta posti come questi. Questo è il luogo ideale per fermarsi, mangiare qualcosa e riposarsi. Il mio pranzo è a base di prugne e cioccolata, quello del mio cane a base di pane e sugo di salsiccia. Proseguiamo lungo il Fronte di Mola: adesso l'obiettivo è incontrare il sentiero che circonda Serra di Crispo, procedere verso Pietra Castello e poi, raggiunta la cresta nord, buttarsi nella foresta di Cugno dell'Acero in direzione di Piano di San Francesco. Dalla cresta nord dobbiamo trovarci la strada da soli, perché esistono solo deboli tracce di sentiero che si perdono e ricompaiono. Ne seguo una, che però mi porta un po' troppo a ovest e infatti, sbucato in una radura, su un'altura rocciosa posso notare come mi sia spinto verso la Timpa del Ladro, ovvero il lato sud-ovest di Crispo.
Mi dispiace cane, dobbiamo tornare indietro e proseguire più a est... Scendo nel bosco aggirando dei crinali rocciosi. La foresta è qui labirintica e silenziosa e, anche se ormai ho dimestichezza con questi posti e so più o meno dove dovrei sbucare, quel sottile senso di disorientamento e angoscia ti pervade sempre. La foresta offre scorci indimenticabili: scopro delle strane rocce che sembrano composte da tanti mattoni... incontro abeti secchi abbattuti dalla furia del fulmine.
Ed eccomi in un posto dove son giunto sempre per caso, nelle occasioni come questa in cui vago nella foresta trovandomi la strada. E' un tratto del Canale Cugno dell'Acero e lungo le rive enormi abeti bianchi dominano questo anfratto della foresta. Adesso dovrei essere vicino Piano San Francesco, sotto cui passa appunto il torrente. Proseguendo a est raggiungerei (come alcune volte m'è capitato) i pressi di Acqua Tremola, preoseguendo a ovest si incontra il sentiero che conduce al Piano. E infatti lo trovo, anche se sta quasi per essere inghiottito dalla foresta: è ormai affollato da tanti piccoli abeti.
Ed eccomi al Piano di san Francesco, posto che scoprii la prima volta con mio padre, all'età di 15 anni... Anche qui l'abete la fa da padrone. Adesso non ci resta che proseguire lungo la strada e poi di scendere dalla montagna lasciandosi alle spalle prima gli abeti, poi i faggi, e poi i boschetti di cerro e i pascoli che sovrastano le frazioni della Valle Frida... E' stata una bella sfida per Buck, compagno di escursione che mi ha sempre seguito restando al mio fianco, nonostante il caldo (i cani così pelosi come lui lo soffrono parecchio!), la fatica e la lunghezza del percorso.
Presso la Timpa del Ladro (dorsale ovest di Serra Crispo) in un'escursione assieme all'amico Simone ho avuti modo di rivedere dopo parecchi anni l'ingresso a forma di pozzo della caverna che si afferma fosse adibita a rifugio dalla Banda Franco... Entusiasmante sarebbe l'esplorazione di questo suggestivo luogo naturale.
foto d'epoca: dalla mostra "Come Eravamo", a San Lorenzo Bellizzi - foto by Indio
"Aggrappato alla montagna stava il paese e con esso gli uomini. Costruirono il paese una casa sull’altra, una casa attaccata all’altra, separate solo dal dedalo di viuzze strette che si inerpicavano e scendevano, in ogni direzione. E le case sembravano scivolare, in quella posizione così precaria. Quella gola lontana e arida che domina il paesaggio pare ricordare sempre agli uomini il loro destino di pietra, fa da sfondo e allo stesso tempo da monito. Chi voleva vivere in un posto così desolato e aspro, non poteva che raccogliersi e riunirsi in una solida architettura comunitaria. Ma come in passato il borgo antico era vivo e risuonava delle voci di vecchi, donne e bambini, adesso restavano case vuote e porte sigillate o spalancate, e finestre antiche aperte sul nulla, e piante di fico ed erbacce che crescevano sugli scalini delle case, per quei vicoli ormai abbandonati, coi muri pieni di crepe e mucchi di pietre che ingombravano le stradine. E’ sempre la terra a decidere, e la terra si mosse. Le case rimasero a testimoniare la presenza di uomini che ormai non sono più, nati e vissuti nella nuda terra, per ritornarvi come dal nulla. Uomini che da quelle contrade si dispersero per il mondo. Restano dei nomi impressi in lapidi di marmo, qui, come altrove, foto ingiallite e ricordi che sfumano nell'oblio della Storia . E le loro storie si confondono con quei muri, che non possono parlare né recare testimonianza alcuna. E poi tornarono altri uomini e rimisero in piedi le vecchie case, così nuove e allo stesso tempo così antiche, case che luccicavano di speranza in mezzo a quel borgo semidiroccato. Come fioriture in aride pietraie. Le case del presente, o del futuro forse. Con ostinazione risorgeva anche la tenace volontà degli uomini, le loro lotte e le ideologie. E sentimenti sopiti da tempo riapparvero, come piantine che sboccino attorno all' albero abbattuto, desiderose di ricrescere sulle radici della vecchia madre. Ma sullo sfondo del paese la gola è sempre la stessa, con quelle pareti di roccia nuda, grigia, ostile, primitiva: immersa nella desolazione della propria imperscrutabile anima…" (Indio)
Scorci
"Quella gente ti accoglieva in casa sua, ti faceva riposare e mangiare, e dava da mangiare al tuo cavallo e tutti piangevano quando te ne andavi via. Saresti potuto restare lì per sempre."
(Cormac McCarthy)
Sallorenziani
Franco, lungo il sentiero che conduce alla fonte "Porcile"
trasporto di vino per i vicoli con carriola
fiera in paese
alcuni "ragazzi" di San Lorenzo Bellizzi
immagine evocativa di pastori ai Piani di Pollino: foto (di una foto) della mostra "Come Eravamo"
altri "ragazzi" suonatori, in una cantina
"Come separare l'istante vissuto dal suo ricordo? E' questo, ciò che non abbiamo modo di dimostrare a noi stessi. E' questo ciò che manca dalla mappa, e dal disegno che v'è tracciato.Eppure è tutto ciò che abbiamo."
(Cormac McCarthy)
Lungo la strada
giungla di felci, sopra Monte Pelato
la Falconara dal versante est: sulla destra un piccolo pino loricato (?)
stagno, presso Colle Corsillo. In fondo il Timpone Rotondello
Da Mezzana a San Lorenzo Bellizzi in mountain bike
lo scenario del trekking in MTB: tra Timpa di San Lorenzo e Timpa Falconara, viste dalla strada sterrata, presso Serra Corsillo - foto by Indio
la cartina del trekking nella zona sud-est del parco: in rosso il percorso d'andata, in blu le varianti del ritorno
panorama da San Lorenzo Bellizzi: i tetti rossi delle vecchie case sullo sfondo della Gola di Barile
"D'ora in poi non voglo più cercare la fortuna, io sono la fortuna
D'ora in poi non voglio più lamentarmi, non più rimandare,
nè aver bisogno di nulla,
Ma forte e felice io cammino per la strada aperta"
(Walt Whitman, Canto della strada)
Mi mancava un bel trekking in mountain bike sulle strade sterrate. Era più di un anno e mezzo che la mia bicicletta stava a riposo. L’occasione per riprendere a pedalare lungo le piste forestali e strade di pastori del Pollino mi è stato fornito quando alcuni amici di San Lorenzo Bellizzi, mi hanno invitato in occasione della costituzione dell’Associazione “I Ragazzi di San Lorenzo Bellizzi”. Non ero mai stato prima in questo paese. Ogni volta che mi si presenta l’occasione per un ritaglio di vita errabonda non posso non approfittarne. Se l’Indio verrà non potrà che farlo attraversando le montagne! Un giorno per arrivare, un giorno di riposo nel bellissimo borgo del Pollino ed un giorno per ripartire da dove ero venuto. Una mountain bike campionessa dello sterrato, zaino grande in spalla con le cose essenziali da portare per non sovraccaricare la schiena, la mia fidata Nikon D70 sistemata sul comodo “portabagagli”… ecco tutto ciò che mi serviva per affrontare circa 50 chilometri di strade bianche per arrivare al paese di San Lorenzo Bellizzi, starci un paio di giorni e poi ripartire. Ero già stato in mountain bike altre volte da queste parti, ma non mi ero mai spinto oltre le pendici di Timpa Falconara. Ci vorranno cinque ore di mountain bike attraverso boschi, pascoli, percorrendo piste forestali, sentieri, e strade asfaltate di sperdute contrade. Lo scenario è quello del versante sud-est del Pollino, caratterizzato da ambienti molto diversi: dalle foreste verdeggianti di faggio e abete bianco ai paesaggi agresti dominati dalle selvagge Timpe Falconara e San Lorenzo e dalla Gola di Barile, da cui il Raganello comincia la sua corsa. L’obiettivo è stato arrivare ad uno dei borghi antichi più belli e caratteristici del Pollino.
Il mio trekking ripercorre la memoria del mondo contadino di un tempo. I contatti tra San Severino e San Lorenzo erano in passato frequenti. Come mi raccontava infatti un vecchio contadino della frazione Maddalena (durante il trekking a piedi dell’Anello delle Aquile) i contadini di San Lorenzo arrivavano fino al mio paese per commerciare il grano, facendo la stessa strada che adesso io ho percorso in mountain bike. Ricordo che l’anziano signore conservava un ricordo positivo degli abitanti delle “Mezzane”…
Primo giorno
una masseria presso la contrada Maddalena, a ridosso dei "Lisci"
Prima tappa del trekking è arrivare ad Acqua Tremola. Non vado per il santuario, ma per la scorciatoia che faccio sempre quando vado a piedi, attraverso pascoli e boschetti di cerro. Un bel tratto è asfaltato. I primi momenti sono duri, mi devo fermare frequentemente per riprendere fiato. Riuscirò ad arrivare a San Lorenzo Bellizzi in queste condizioni? Finisce l’asfalto e inizia la strada sterrata, nel punto in cui sorgono due ovili di pastori. Sullo sterrato è come se la bicicletta diventasse d’un tratto leggerissima. Sei fatta per lo sterrato cara bicicletta… sull’asfalto mi fai faticare! Ed ecco un’ulteriore scorciatoia. Un sentiero di pecore che devo percorrere a piedi portando a mano la bici. Mi farà sudare questo tratto, perché invaso da felci e rovi. Le mie povere caviglie scoperte si riempiono di graffi! Attraverso i pascoli punteggiati dalle prime macchie di faggio e arrivo alla faggeta vera e propria. Finalmente un tappeto pulito di foglie secche, finalmente la frescura dei faggi secolari! Qui ricomicio a pedalare lungo la pista forestale fino ad Acqua Tremola. Alcuni scout impegnati nei loro incomprensibili (per me) rituali mattutini (forse stanno giocando). Da piccolo volevo diventare anch’io uno scoutino e invidiavo i loro campeggi… dato che la compagnia era poca cominciai ad andare da solo e poi diventai subito un solitario esploratore dei boschi avverso a qualsiasi disciplina. Ma un po’ di regole ci vogliono: riempio la borraccia per esempio. L’acqua non mi piace, bevo poco, ma è necessario bere quando si è in mountain bike, quando si pedala per così tante ore. Ho provato l’esperienza della disidratazione, dovuta alla mia incuria… e vi assicuro che non è bella! Da Acqua Tremola bisogna attraversare la foresta di faggio-abete bianco, in direzione di Rigugo Segheria - Chidichimo. Superato il bosco in discesa ritrovo la strada asfaltata e passo vicino al rifugio, una bella struttura purtroppo abbandonata. Di nuovo sterrato e di nuovo faggeta. Arrivo alla biforcazione: qui bisogna decidere se fiancheggiare le pendici di Timpa Falconara ad est o ad ovest risalendo per Tuppo Vuturo. Scelgo l’est. Il versante est è attraversato da una strada di pastori. Alcuni tratti sono impraticabili per i sassi e il terreno franato e devo portare la mountain bike a piedi, anche nei tratti di discesa, che sono predominanti. Il paesaggio è quello dei pascoli punteggiati dalla macchia mediterranea. Lontani si stagliano il Timpone Rotondello e i Boschi di Lagoforano. Dopo una curva ecco comparire il versante est di Falconara. Se non sbaglio quello che cresce sulle rocce, lassù è un giovanissimo pino loricato. Ancora lontana Timpa di San Lorenzo. Arrivo al bivio. A destra si aggira il fianco sud della Falconara, a sinistra si scende verso le masserie della Maddalena, dal colle Corsillo. Osservo uno stagnetto. Fino alla Maddalena sarà una lunga e divertente discesa prima sullo sterrato e poi sulla strada che più giù comincia ad essere asfaltata. In discesa mi accorgo di aver perso la cartina di Braschi. Ormai è inutile tornare indietro. Se rimane a terra la recupererò al ritorno. Abbiamo sul Pollino un patrimonio di piste da mountain bike che se fosse valorizzato farebbe la gioia di tanti appassionati: e non bisogna fare niente perché le piste, sono belle così come sono, anche coi loro ostacoli da aggirare velocemente con rapidi sterzate, come dossi, sassi, buche. Strade che attraversano gli ambienti più disparati del Pollino. Oggi c’è la moda (principalmente sulle Alpi) di andare ad alta quota in montain bike, per fare biking estremo, cosa che reputo assolutamente sbagliata: i sentieri devono restare chiusi alla mountain bike, mentre si devono valorizzare appunto le strade forestali e dei pastori, quelle a bassa quota. Non sarebbe male un bel depliant con la descrizione degli itinerari. Ma chi lo fa? Lo faccio io? Raggiungo case attorniate da strumenti da lavoro, come aratro, rimorchi e altro. I cani furiosi mi abbaiano quando mi sentono arrivare. Per chi ha paura dei cani non è consigliabile questo itinerario. Arrivo nei pressi di un gregge di pecore e capre. Le pecore non sembrano badare a me mentre le capre proseguono un po’ esitanti. E’ d’obbligo fermarsi in questi casi. Faccio passare il corteo, e il servizio d’ordine lo segue: sono cani da pastore che mi abbaiano appena mi notano… tranne un maremmano che mi osserva con occhi stupiti. Evidentemente vedono pochi ciclisti da queste parti e la bicicletta gli sembrerà un mezzo più diabolico di un trattore (forse perché va veloce senza far rumore?). Il corteo e il servizio d’ordine si allontanano e posso proseguire. Dietro il gregge c’è una panda verde con una famiglia al suo interno. Il paese è ancora lontano. Sembra vicino ma è lontano cioè. Scompare e ricompare dopo una curva o una salita. Arrivato a valle adesso mi tocca risalire le curve che mi condurrano all’ingresso del paese. Prima del paese si incontra la bella fonte di San Pietro. L’Indio fa il suo ingresso in paese, preparategli l’accoglienza. Chiedo di Franco, colui che mi ospiterà e mi dicono che sta nel centro del paese. Non gli posso telefonare perché non esiste linea. Mi aggiro così tra i vicoletti del paese antico, semivuoto. Un ragazzo mi accompagna al Pino Loricato, il bel locale dove si può anche mangiare, ed è anche così cortese da farmi telefonare. Per la strada incrocio Lorenzo A… ci riconosciamo subito. Qui sono già noto a parecchi sallorenziani come Indio, in nickname che ridendo e scherzando mi è rimasto incollato addosso, per la mia attività di articolista e ambientalista a tempo perso (mettiamola così). Il primo sallorenziano con cui entrai in contatto fu Vincenzo T., che gestisce un bel sito su San Lorenzo Bellizzi. Al Pino Loricato comincia ad arrivare gente che conosco “virtualmente” e tutti mi accolgono a braccia aperte, contenti di conoscermi. Il primo a capire che quello strano individuo accaldato e con le gambe piene di graffi è Giustiniano che arriva con la moglie e altri amici. Una bambina dagli occhi chiari mi osserva curiosa. Arriva anche il buon Francone (noi c’eravamo già conosciuti personalmente) con la moglie, che mi conduce alla sua casetta, dove pernotterò questi due giorni. Francone è uno di quelli che pur non essendo sallorenziano (lui è del centro-nord) scoprì questo paese e il paesaggio delle gole per caso e si innamorò subito del posto. Uno dei primi a comprare casa a San Lorenzo Bellizzi. Dopo di lui molti altri hanno seguito il suo esempio, e si è diffusa l’abitudine sia di molti originari di San Lorenzo che di esterni di comprare le case vecchie e abbandonate del centro storico e di ristrutturarle, per poi usarle come luoghi di soggorno e villeggiatura. Infatti il centro storico è in gran parte stato abbandonato dopo la frana dei decenni passati. Tante case sono quindi abbandonate e inagibili. San Lorenzo Bellizzi resta comunque uno dei borghi più belli del Pollino, bello già così com’è; se il centro storico fosse ristrutturato con criterio diverebbe un vero gioiello architettonico, inserito in un paesaggio spettacolare, che è apputo quello delle Timpe e della Gola di Barile. Esistono anche qui tutte le potenzialità per una rinascita sallorenziana a cui debbono contribuire i sallorenziani rimasti, quelli emigrati e i forestieri che si sono innamorati di questo antico borgo agropastorale. Il paese ha la forma del caratteristico “muro” di case, addossato ad un fianco della montagna. A seguito della frana fu costruito il paese nuovo, a ridosso dei boschi della Montagnella (boschi che tra l’altro hanno rischiato il taglio per la speculazione di una società inserita in progetti di produzione di “energia alternativa”, la “Bioenergy”). Ovvero il paese nuovo sta in pratica sopra il paese vecchio. Tutto il borgo non supera gli ottocento abitanti. Dopo il lauto pranzo al Pino Loricato ci aspetta l’assemblea di costituzione dell’associazione “I Ragazzi di San Lorenzo Bellizzi”, che nasce con lo scopo di promuovere lo sviluppo del territorio di San Lorenzo con idee e pratiche d’azione anche autogestionali, partendo dal basso, e mettendo in campo le migliori energie creative di sallorenziani e non. Turismo ecosostenibile, valorizzazione del centro centro storico del borgo di San Lorenzo (ad esempio con l’idea dell’ “albergo diffuso”), rivalutazione dell’agricoltura e dell’allevamento, dei prodotti tipici: sono queste alcune delle idee in cantiere. L’associazione non intende solo sollecitare i politici ad intervenire, ma vuole anche colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni, occupandosi direttamente nella gestione del territorio con le proprie proposte, idee, attività. Prima di andare all’assemblea faccio un giro in paese con Domenico C., ex sindaco di San Lorenzo e grande poeta del dialetto, e Giuseppe, maestro artigiano della pietra, che mi mostra la sua casa (auto) restaurata. Domenico mi racconta un po’ la storia del paese, mentre saliamo e mentre fotografo i tanti scorci che mi si aprono davanti. All’assemblea conosco altre persone, come ad esempio i pittori Lorenzo G. e Domenico A., Maria L. Avverto davvero una grande atmosfera di accoglienza e dico che ormai mi possono dare la cittadinanza onoraria! Questo paese, seppur piccolo, mostra un grande fermento culturale e civile. Ne è un esempio proprio l’assemblea che si presenta molto partecipata: basti pensare che 100 persone non sono poche in un paese che conta solo 800 abitanti. Partecipata e ricca di contenuti l’assemblea, che porta alla costituzione dell’associazione. Si va a festeggiare in una pizzeria locale. La finestra della stanza in cui sono ospitato si affaccia sulla strada ed è un quadro vivente: la cornice è rappresentata dagli infissi della finestra. In primo piano le tegole di una casa, e poi la scena del paese con lo sfondo sulle gole. Una vista migliore non si poteva desiderare.
Secondo giorno
scorcio di San Lorenzo con lo sfondo della gola: dalla finestra della mia stanza
Mi sveglio verso le 8 e apro la finestra: la luce tersa del mattino illumina il “quado vivente”. Una veloce colazione e poi si esce in paese, a fotografare i vicoli, accompagnato da Franco. C’è anche una piccola fiera in paese. Una volta si vendevano gli animali qui. Chiacchiero un po’ con un signore di San Lorenzo sugli antichi contatti tra i nostri rispettivi paesi, quando i contadini attraversavano le montagne con i muli per commerciare il grano. Franco poi mi porta a visitare le sorgenti di San Lorenzo, seguendo un bel sentiero che lascia il paese, si snoda tra gli orti per poi condurre ai boschetti del fossato. L’acqua migliore è quella di località Porcile: qui l’acqua sgorga direttamente dalla sorgente. Più sotto si raggiunge la strada e la località San Pietro, con l’altra fontana importante. Ritorniamo in paese e mi fermo a chiacchierare con altri “ragazzi” sorseggiando un bicchiere di aglianico in onore della Basilicata, da cui io provengo. Ho notato che c’è tanta gente che raccoglie origano, qui molto diffuso. Domando se c’è qualche zona dove posso trovarlo. Lorenzo P., non se lo fa ripetere due volte dicendo che me lo regala lui un bel mazzo di origano, già secco. Mi porta a casa sua e mi mostra la sua raccolta, tanti mazzi di origano appesi ad una trave. Lorenzo mi mostra una particolare qualità di origano, di colore bordeaux scuro, più profumata e aromatica di quella classica. Lo metterò nello zaino e lo porterò a casa come souvenir. Lorenzo conosce anche molto bene le gole e mi invita a fare un’escursone nei prossimi giorni. Ma domani devo riparire. Oggi riposiamoci, perché domani sarà dura riattraversare le montagne. Pranzo a casa di Franco, la cui moglie ci prepara un piatto sallorenziano: pasta al finocchietto selvatico. Per suggellare anche a tavola il gemellaggio tra i due paesi, San Severino e San Lorenzo assaggiamo la soppressata di Mezzana, trasportata in bici per 50 chilometri. Il pomeriggio lo passo tra i vicoli del paese, divertendomi a fotografare i tanti scorci, chiacchierando con le persone. Franco parla un po’ a tutti della mia impresa in bicicletta e qualche vecchietta non vuole credergli… La mia frazione qui è ancora chiamata col nome di “Le Mezzane”. Più tardi da solo salgo poi per le stradine del borgo, mentre la luce dorata del tramonto illumina le vecchie case. Arrivo sul punto più alto del paese. Il sole fra un po’ scomparirà dietro Timpa di San Lorenzo. Il Dolcedorme, Serra delle Ciavole, Grande Porta… sono molto lontane e si intravedono appena dietro la Gola del Barile: sto sull’altro versante del Pollino e un po’ mi sento spaesato, nell’osservare le montagne così in lontananza. Oltre al mazzo di origano come souvenir avrò un bel libro che acquisto al bar, su San Lorenzo Bellizzi e il suo territorio. Uno degli autori è Costantino F. un geologo originario del paese che ha speso una vita a scavare pozzi nei paesi più poveri del mondo, lavorando anche per l’Onu. Molti i suoi progetti filantropici a favore dei villaggi dell’India. Si cena nella cantina di Francone, riadattata a “taverna”, con gli altri amici. A riempire di allegria la serata ci pensano due sonatori che ci vengono a trovare… uno di essi è un ragazzo che ha la mia età e di cui non ricordo il nome. Nino, del gruppo speleologico, accompagna con la chiave e la bottiglia. Poi tocca a me… ma la chiave non la so usare. Io uso il cucchiaio. Stasera doveva arrivare un gruppo folk a San Lorenzo, ma hanno sbagliato perché a quanto pare… sono andati a finire San Lorenzo… del Vallo! Torno da solo a casa. Devo preparare lo zaino e cercare di dormire almeno sei ore. Domani mi aspetta una risalita difficile. Farò lastessa strada fino a Serra Corsillo, poi costeggerò la Falconara dal versante ovest, per dirigemi verso Toppo Vuturo: in questo modo ripeterò l’Anello della Falconara fatto in mountain bike due anni fa. La mia ossessione per i percorsi ad anello mi fa prospettare un giro lungo fino a Civita, da lì a Colle Marcione per poi ricongiungermi alla Falconara. Ma ci vorrebbe troppo tempo per aggirare Timpa di Cassano e la risalita diverrebbe lunga ed estenuante... anzi, massacrante. Meglio non esagerare. Tra l’altro ho perso anche la cartina di Braschi e trovare la strada non sarebbe facile. Mi metto a letto e fuori sento la musica degli organetti. Il gruppo folk dev’essere arrivato. Chiudo la finestra per non sentire la musica e piombo nel buio più totale.
Terzo Giorno
autoscatto di Indio durante una sosta, lungo la strada del ritorno
Alle sei son già sveglio, ma resto ancora un po’ nel letto. Alle sette sono già pronto per partire. Francone s’è svegliato anche lui. Un bel caffè ci vuole prima della partenza. E’ tutto ok. Non ho lasciato niente. Franco mi apre la cantina, dove è rinchiusa la bici. Entro dentro ma perdo l’equilibrio sullo scalino, formato da un ceppo e cado per terra come una pera. Bel colmo, dopo tanti chilometri in bici cadere così. Nulla di grave, solo una piccola contusione al ginocchio. Franco mi immortala fotografandomi assieme alla mia gloriosa mountain bike. E’ tempo di salutarci. Ringrazio Franco della gentilezza e dell’accoglienza che ho ricevuto in questi giorni e riparto in discesa. Non ho difficoltà nelle salite che incontro dopo, appena raggiunte le masserie della Maddalena. Oggi sono molto più allenato rispetto all’altro ieri. Ripasso accanto alle masserie, agli orti e ai pascoli, che stranamente non sembrano più gli stessi posti dell’altro giorno. Di fornte a me gli impresionanti Lisci di Pascalone, ridiscesi una volta con l’amico Vincenzo A.. La Falconara è ancora lontana e per adesso è l’ obiettivo a medio termine: quando avrò aggirato il fianco sud starò a metà del percorso. Bevo parecchio lungo la strada, perché il sole comincia a picchiare forte. Incontro altre masserie e altri cani che mi abbaono furiosi. “Fanno solo il loro dovere”, dico ad una signora che s’è affacciata per richiamare i suoi cani. In alcuni tratti devo farmela a piedi. Il problema non è solo la pendenza ma il fatto che una strada ripida e sassosa fa slittare le ruote e impedisce alla bicicletta di arrancare. Mi porto verso il Piano della Mandria. Lascio la strada principale e mi inerpico su quella che passa accanto al rifugio, fatta all’andata. Forse ho perso qui la cartina, che è sobbalzata dalla borsa della bici. Ma qui devo portarmi la bicicletta a piedi. Nessuna traccia della cartina. Il ginocchio mi fa male e per evitare che la ferita sia esposta al sole e alle mosche apro la mia scatola di sopravvivenza, taglio un po’ di garza, la avvolgo al ginocchio e la fermo con il nastro medico adesivo. Mangio mezza cioccolata e mi faccio un autoscatto. Arrivo finalmente a Serra Corsillo e da qui la strada si fa più pianeggiante. Aggiro il fianco sud passando accanto ad altre masserie. In una vedo dei pastori tedeschi davanti la porta di casa. Uno è sdraiato, sonnecchia, mi guarda e poi torna a chiudere gli occhi. Gli altri nemmeno si son accorti della mia presenza. Le capre bianche nel recinto più sopra invece mi osservano incuriosite. La strada adesso attraversa alcuni boschetti. Eccomi arrivato al valico. La Falconara si staglia in tutta la sua imponenza, con le aride e bianche pareti rocciose arse dal sole. Un altro tratto di strada da fare obbligatoriamente con bicicletta a mano è quello che conduce al Colle Falconara, appena arrivati alla biforcazione (l’altra strada, sulla sinistra, permette anche di arrivare fino a Casino Toscano). Il sole picchia e comincio ad essere stanco. Non vedo l’ora di arrivare al Toppo Vuturo per affrontare una rilassante e divertente discesa sullo sterrato. Rapide sterzate per aggirare le buche e i massi e un sapiente uso dei freni, è così che ci si comporta in discesa. Ritornano le tappe del percorso dell’andata: Chedichimo, Rifugio Segheria, il bosco di Cugno Ruggeri e la pista forestale di Cugno dell’Acero, la foresta a cui sono più affezionato. Poi esco ad Acquatremola e stremato percorro l’ultimo tratto di salita prima della bella discesa verso la strada per il santuario, che mi riporterà nella Valle del Frida e a casa mia. Buck, il mo cane, era convinto che fossi partito per la città e quando mi vede tornare mi fa le feste…
La "polvere vivente". Un' ammucchiata impressionante di microscopici insetti appena distinguibili ad occhio nudo. Lascio eventuali considerazioni agli esperti...
Serra Dolcedorme dal crinale nord (Passo delle Ciavole)
loricati monumentali alla splendida radura poco sopra Passo delle Ciavole, sul crinale nord del Dolcedormeloricati sotto: 1. piccoli pinus leucodermis sullo sfondo del Monte Pollino; 2. veduta da pochi metri sotto la cima... la nebbia corre via veloce; 3. loricati secchi spuntano dalla foresta di faggio, che ammanta le pendici settentrionali del Dolcedorme... dietro c'è Serra delle Ciavole.
Erano ben cinque anni che mancavo dal Dolcedorme e quando Pino mi ha chiesto di scegliere io la meta da raggiungere per la prossima escursione non ho esitato a pensare al Dolcedorme. L'obiettivo è stato raggiungere la cima dal sentiero che comincia a Passo delle Ciavole scendere poi per la via classica a Sella Dolcedorme e poi alla Piana del Pollino. Arriviamo in poco più di un'ora ai piani. Mucche al pascolo. Attraversiamo la Piana e notiamo tre pastori su una collinetta rocciosa, seduti a chiacchierare. Sembra una scena d'altri tempi. Sono lontani ma uno di loro sembra un pastore di mia conoscenza. Si avvicina un maremmano e ci abbaia.
Conosco bene questi cani così diffidenti ma tento lo stesso di avvicinarlo Gli lancio un biscotto, lo mangia, smette di abbaiare e mi guarda incuriosito. Ma non si avvicina. Altro biscotto ma il cane si mantiene sempre a distanza: è un buon cane da guardia, visto che non cede alle lusinghe degli estranei. Di fronte a noi il valico che separa le due montagne. Passo delle Ciavole è vicino. Ci inerpichiamo per la collinetta di sassi e poi sbuchiamo nella bellissima radura del crinale, popolata da monumentali pini loricati. Sono innamorato di questo posto e arrivare qui già vale l'intera escursione. Abbiamo incontrato un altro pastore che scendeva solitario. Gli domando se il pastore che abbiamo visto prima è quello che conosco io, originario del mio stesso paese, e lui mi dà la conferma. Quante volte ci siamo incontrati, solitari entrambi, sui sentieri di queste montagne. Da quando io avevo l'età di 17 anni e sbucai a Piano Iannace per la prima volta (ero andato a funghi da solo e mi ero spinto nella foresta; volevo capire se la strada portasse da qualche parte). Non ci conoscevamo e la prima cosa che gli domandai fu: "Sono bravi questi cani, no?" "Se.. quando dormono..." mi aveva risposto lui...! Incontri di poche battute e tra uomini di poche parole. Il pastore capisce che saliamo al Dolcedorme e dice che sì sulla cima c'è stato, ma solo una volta e tanti anni fa... e per giunta a cavallo! I pastori non amano tanto le cime delle montagne... sul Pollino come forse dovunque. Dico al pastore di salutarmi Gioacchino (così si chiama) e proseguiamo lungo il sentiero. Anche qui c'è una faggeta spettacolare, che poi si dirada progressivamente con la quota. Osserviamo che nel tratto più ripido i faggi assumono una forma contorta. Probabilmente è per il peso della neve, pensiamo. Nell'ultimo tratto del crinale le macchie di faggio sono basse e intricate come cespugli. Sempre nell'ultimo tratto il sentiero si fa ripido ed è scavato nella roccia.
Notiamo una strana polvere viola per terra. Vi intingo l'indice, lo guardo e su di esso posso notare degli insetti microscopici che scappano da tutte le direzioni. Sono insetti! Un mucchio enorme di insetti piccolissimi spostati dal vento! Studiosi degli insetti, a voli la palla. Spiegateci questo mistero: che insetti sono e cosa fanno tutti insieme sotto il Dolcedorme? Il sentiero sbuca finalmente in alto, vicino al pino secco che ne segnala la traccia. Il sentiero si riallaccia poi alla dorsale del Dolcedorme. Adesso non dobbiamo fare altro che salire, fino alla cima. Le nuvole corrono sfiorando la cresta della montagna. Vanno e vengono e a volte ci sommergono.
Ritrovo i tanti piccoli pini loricati. Alcuni resistono, altri non ce la fanno e i loro aghi arrossiscono: è la loro veste funeraria. Fra centinaia d'anni il paesaggio qui cambierà e ci aggireremo forse tra pini monumentali, ognuno con una sua "personalità". Arrivati in cima ci spostiamo un po' sotto la cresta per ripararci dal vento. Qualcuno ha messo delle bandierine tibetane. Non è la prima volta che le trovo. Anche a me piacciono, ma non siamo certo in Tibet! Lasciamola libera sta cima... Se ad ognuno di noi viene l'idea di lasciare lì qualcosa la cima diventa allora una specie di museo... Consumiamo il pasto qualche metro sotto la cima.
Osserviamo le nuvole spostarsi varcando le montagne. Nuvole che corrono veloci. La discesa avviene lungo la via classica, che si snoda seguendo il crestone ovest fino a condurre alla Sella. Prima di arrivare qui è d'obbligo contemplare il monumentale pino loricato a ridosso della faggeta, posto sul pendio.
Ma il mio sguardo si concentra verso i loricati secchi che lontani spuntano dalla faggeta, scheletrici e slanciati. Il faggio ha invaso il loro territorio ed essi sembrano ormai sconfitti ma ancora orgogliosi dell'antico splendore del passato. Faccio diverse foto alla scena: non l'avevo mai considerata prima, eppure son stato qui tante volte (ma forse non avevo abbastanza zoom per considerarla!). Siamo arrivati al sentiero che ci porterà alla Piana del Pollino. Prima di sbucare nella luce della piana, passiamo al vecchio faggio secolare che ritrovo spezzato in due da un fulmine. Lo avevo disegnato una volta sul mio taccuino per ricordarmi l'imbocco del sentiero (o meglio uno degli imbocchi). Mi arrampico sopra l'albero per una foto ricordo. Nulla è mai come prima e anche in montagna tutto cambia...