venerdì 3 dicembre 2010

Un vagabondo nella wilderness - John Muir, "La mia prima estate sulla Sierra" (Vivalda edizioni)


John Muir in contemplazione. sotto: panorama di Yosemite, in una foto di Ansel Adams;
Muir assieme al presidente Roosvelt; Muir da giovane; cartina della John Muir Wilderness Area, in California; francobollo americano con John Muir.




"Mai, per quanto stanco, cadrà lungo la via colui che ha avuto la grazia di un giorno di montagna; quale che sia il suo destino, lunga o breve la vita che gli è data in sorte, tempestosa o quieta, egli è ricco per sempre."

"Qui non v'è affanno nè ora vuota; non v'è timore del passato, nè cura del futuro. Questi monti benedetti sono così colmi della bellezza di Dio che non v'è spazio per le nostre meschine speranze ed esperienze personali."
(John Muir)

John Muir, di origini scozzesi, emigrato all'età di undici anni in America, dopo aver fatto  innumerevoli mestieri, nel 1869, all'età di trentuno anni,  partì "in cammino con un gregge di pecore" per le montagne della Sierra, facendosi impiegare come aiuto-pastore. Non avendo un soldo in tasca, Muir trovò così il modo per raggiungere quello che desiderava: vagabondare nella wilderness alla ricerca della "bellezza". 
Muir è il prototipo del "Tramp": "...parola cara alla tradizione americana: evoca grandi spazi e uomini che li percorrono a piedi - una tradizione, letteraria e non, che dai primi pionieri arriva fino ai poeti beat di questo secolo" (dall'introduzione). Lo spirito del "Tramp" è ben esemplificato in questa frase di Muir: "buttare una manciata di foglie di tè e un po' di pane in un vecchio sacco e saltare il cancelletto del giardino di casa".
Il libro "My first summer in the Sierra", si rifà proprio al diario che Muir tenne giorno dopo giorno nel periodo del suo vagabondare tra le montagne dello Yosemite. 

Grande è l'abilità descrittiva di Muir, che con dovizia di particolari, riporta osservazioni dettagliate su piante fiori e animali incontrati nel corso del suo vagabondare. 
Ma, seppure egli mostri grandi doti di naturalista (ne sono un esempio le osservazioni sull'origine glaciale della Valle di Yosemite),  l'approccio di Muir è quello del "mistico", del contemplatore della natura, dell'uomo che ricerca lo stupore che la wilderness è capace di infondere nell'animo umano con le sue meraviglie; Muir è un escursionsita instancabile e non si fa scappare nessuna occasione per lasciare il gregge di pecore e partire solitario all'esplorazione di montagne, valli e cascate. Come afferma Paola Mazzarelli nell'introduzione: "dietro il naturalista che minuziosamente, anche pedantemente riporta particolari, affiora il mistico cui l'esperienza del tutto offre l'estasi". L’esaltazione per la bellezza della natura e per la visione dei suoi scenari maestosi ripercorre un po’ tutte le pagine del libro. Ecco alcuni dei tanti passaggi riferiti alle emozioni suscitate in Muir dalla visione della valle dello Yosemite; stati d’animo in cui si potrà ritrovare chiunque abbia vissuto personalmente l’euforia e la gioia suscitati dal contatto con gli scenari selvaggi…
 “Mai mi sono trovato dinanzi a tanto impotente spettacolo, a tanta illimitata profusione di sublime bellezza montana. A chi non abbia almeno una volta ammirato un simile panorama con i propri occhi nessuna descrizione, per quanto elaborata, potrà comunicare neppure un’idea della grandiosità e spiritualità che da questa veduta emana. In un empito di irrefrenabile entusiasmo urlo e gesticolo, con grande meraviglia del San Bernardo Carlo...”

“Ogni volta, ritiratomi da quei punti di osservazione entusiasta della veduta, mi dico: ‘Ora basta, non tornerò più sul ciglio’. Ma che può il consiglio della cautela di fronte allo spettacolo di Yosemite? Sedotto dall’incantesimo il corpo va dove più gli s’aggrada, mosso da una volontà sulla quale apparentemente abbiamo poco potere”.
Muir richiama la sacralità della natura selvaggia, e in più occasioni  userà termini come “templi” e “cattedrali” con riferimento ai luoghi selvaggi. “Non stupisce che monti e boschi siano stati i primi templi di Dio; più li si taglia e li si abbatte per costruire chiese e cattedrali più lontano e opaco appare il Signore. La stessa cosa si può dire per i templi di pietra…”
Muir, sebbene occidentale, era un uomo lungimirante, che andava oltre la mentalità dominante della sua epoca (caratterizzata proprio dalla febbre della conquista del West, per il “progresso della civiltà”), perchè già aveva compreso l’importanza di pensare alla natura come a qualcosa che detenesse un “valore in sé”; indipendentemente dal suo uso per fini utilitaristi e per il soddisfacimento, invece, dei bisogni emotivi dell’uomo. “Come tante altre cose la cui utilità all’uomo non è evidente, questa pianta ha pochi amici e si sente spesso ripetere l’ottusa domanda ‘Perché è stata creata?’. Non viene mai in mente a nessuno che forse è stata creata innanzi tutto per se stessa”. Il “valore in sé” della natura rimanda a quella concezione fiolosofica che ha poi costituito la base fondamentale del movimento conservazionista americano, di cui Muir fu uno dei primi pionieri. Un uomo lungimirante dicevamo, che aveva già intuito gli aspetti consumistici del modaiolo turismo cittadino, che all’epoca cominciava a invadere l'immacolata Valle di Yosemite. Muir vede il turista benestante come un individuo che quasi non riesce ad apprezzare la bellezza dei posti che visita, preoccupato com’è delle pratiche sportive in cui è impegnato. “Pare strano che i turisti in visita a Yosemite siano così poco commossi da tanta inusitata grandiosità, quasi avessero gli occhi bendati e le orecchie tappate (…) Pure, gente di aspetto assai rispettabile, gente che pare perfino savia a guardarla, sta ad infilzare pezzi di verme su pezzi di filo di ferro ricurvi, allo scopo di catturare trote. Questa attività chiamano sport".
Muir è  anche così sensibile dal lamentarsi più volte del devastante calpestio del gregge nelle valli fiorite dello Yosemite, che lui stesso accompagna!
 Forse si può unicamente rimproverare a Muir la scarsa considerazione con cui egli valuta i  nativi americani in alcune pagine, visti come non “più naturali” dei bianchi civilizzati, e di cui non sopporta la “sporcizia” (è sicuramente da considerare l'impatto che la civiltà dei bianchi ebbe sulle abitudini degli indiani).  Muir comunque ammetterà anche che: “forse se li conoscessi meglio li apprezzerei di più”. Ma non si potrà certo accusare Muir di discriminazione, visto che altrove è cosciente della perfetta armonia dell’indiano con il resto della natura, in contrasto con l’uomo bianco, che per Muir lascia dovunque segni distruttivi. “Gli indiani hanno il passo leggero e feriscono il paesaggio poco più degli uccelli e degli scoiattoli; le loro capanne di fronde e corteccia durano più o meno quanto i nidi delle arvicole e anche i loro monumenti più durevoli svaniscono in un paio di secoli tranne le tracce lasciate nella foresta dagli incendi…”

Il diario di viaggio di Muir è anche una descrizione avventurosa della rude vita dei montanari, per niente idilliaca, di pastori che vivono in solitudine, “instupiditi dalla fatica” e  dagli abiti così sporchi da formare una stratificazione di interesse quasi “geologico”; di situazioni in cui il pane scarseggia e lo si sogna la notte. E poi vi sono gli attraversamenti del gregge dei torrenti e le incursioni degli orsi nella notte, e i bivacchi notturni all’aria aperta sotto la luce della luna.
E’ a Muir che si deve la designazione delle prime aree protette in America. Come afferma la curatrice del libro nell’introduzione: “ lo schivo amante della wilderness dedicherà gli ultimi quindici anni della sua vita a combattere per la creazione di aree protette. Tutti i parchi americani i stituiti in quegli anni, a cominciare da quello di Yosemite, devono la loro esistenza in gran parte alla sua opera”. Muir condurrà la sua battaglia contro gli interessi di speculatori, industriali e allevatori che minacceranno la distruzione dei grandi santuari della wilderness americana.
Muir è uno dei “grandi padri” del Movimento Wilderness; in lui i quattro poli della fiolosofia wilderness: l’ esperienza nella natura selvaggia, il sentimento, la conoscenza scientifica e la lotta per la conservazione si intersecano, nel suo contributo culturale e umano da egli dato alla comprensione e conservazione della natura selvaggia.

5 commenti:

  1. Bel post su una figura straordinaria...

    Vincenzo A.

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  2. Bellissimo questo blog!
    mi associo al primo commento...personaggio straordinario che fino ad oggi PURTROPPO non conoscevo.

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  3. Grazie dell'apprezzamento! E' una recensione che nasce con lo scopo proprio di far conoscere questo pioniere della conservazione della natura di cui purtroppo in Italia è pubblicato solo questo libro. Uomini così sono maestri da seguire...
    Ciao.
    Indio

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  4. Complimenti.

    Vi raccomando la rivista Nunatak (la montagna come luogo di resistenza).

    Si sono conosciuti Muir e Thoreau?

    Peperone Nero

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  5. Grazie... Ho dato un'occhiata al vostro sito di Nunatak. Sembra interessante. Poi la leggerò con calma. No, non penso che Muir e Thoreau si siano mai conosciuti. Ti consiglio anche la lettura dell'articolo su Edward Abbey su questo stesso blog (etichetta libri), filosofo della Wilderness che probabilmente si avvicina alle vostre idee (almeno da quello che ho potuto capire).
    A presto
    ciao

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