domenica 8 giugno 2014

Diario - 6-7 giugno 2014

La Cresta dell'Infinito
Solitaria di due giorni
(Piano di Vaquarro, Piano di Acquafredda, Passo del Vascello, Manfriana, Timpa del Principe, La Fagosa, Casino Toscano, Piano Iannace)

"Ma cerchiamo la stessa cosa anche in altri luoghi –
nelle grotte, nei labirinti, nei deserti dove ha dimora il
Tentatore. Per chi sa riconoscere i simboli, ogni luogo
racchiude una vita immensa. Mosè batte con la verga
contro la parete di roccia da cui sgorga l’acqua della vita.
Quell’istante è sufficiente poi per migliaia di anni.
Soltanto in apparenza tutto ciò è disperso in tempi
lontani e in luoghi remoti. In realtà ogni uomo lo alberga
in sé, a ciascuno è trasmesso in forma cifrata per
permettergli di comprendere se stesso nella sua forma
più profonda, sovraindividuale."

(Ernst Junger, "Trattato del Ribelle")



Il Pollino non si finisce mai di "scoprire. Avevo "toccato" la Manfriana solo una volta, ma raggiungendo il primo cocuzzolo (punto quotato) da Passo del Vascello. Raggiungere la Manfriana dal versante lucano presenta problemi logistici non di poco conto; solitamente  si raggiunge solo la cima, ma da Civita. Cambiando approccio e muovendosi a piedi per più giorni tutto diventa più semplice (si fa per dire!): l'idea era appunto quella di una traversata di due-tre giorni che mi avrebbe permesso di percorrere tutta la Cresta dell'Infinito e poi attraversare/costeggiare la foresta della Fagosa, ritornando a casa dal sentiero Rueping... nello stile di quello che gli americani chiamano "backpacking", un trekking in autosufficienza senza orari prestabiliti, in piena libertà. Non conoscendo quelle montagne e le difficoltà che avrei incontrato, ho programmato l'escursione portando viveri sufficienti per due pernotti. In realtà, come si vedrà, son riuscito a compiere la traversata in due giorni, ma  camminando quasi 13 ore al giorno. Soprattutto il primo giorno mi ha regalato emozioni uniche a contatto con una natura aspra e inviolata, sebbene vissuta dall'uomo, già da migliaia di anni: come testimoniano i massi scolpiti da un'antica civiltà, sulla cima della Manfriana,  là abbandonati, forse un tentativo di erigere un tempio in omaggio agli dèi...Un tentativo fallito, una rinuncia forse. Massi distinguibili dagli altri solo per le linee geometriche dell'intelletto umano, lasciati là come testimonianza ma anche come monito alla caducità della civiltà umana...


La traversata ha inizio da Conocchielle. Il sentiero è inondato dal profumo delle ginestre. Mi inoltro nella faggeta, nei pressi dello spiazzo con faggi monumentali e formazioni rocciose che il sole illumina, e che mi pare di vedere oggi sotto nuova luce... il concerto dei fringuelli fa da colonna sonora al primo tratto della traversata. 

Sceso a Vaquarro incontro i resti del pasto di un colombaccio... forse è opera di una sparviero. Prendo due penne e le infilo sul cappello a mo' di ornamento e riprendo il cammino diretto ai Piani. Mi devo fermare alla fonte di Rummo per fare rifornimento. Sulle creste non vi sarà acqua, perciò devo abbondare, anche se l'acqua è una di quelle cose che rendono lo zaino più pesante. Nelle pozze vicine alla fonte noto delle larve di Tricotteri con il loro caratteristico guscio fatto di granelli, legnetti, sassolini. Si  confondono con i sassolini dell'acqua e noto che alcuni già si muovono, mentre spuntano zampe e antenne. I Tricotteri sono indicatori di acque pulite... e di sicuro non c'è acqua più pulita di questa!


Attraverso i pascoli fioriti dei Piani. Vi sono già mucche al pascolo. Poi è la volta del Piano di Acquafredda e da qui prendo il sentiero che costeggia il fianco est del Dolcedorme, che ho fatto spesse volte, molto bello ma che purtroppo rischia di perdersi col passare del tempo.


 Si attraversano i ghiaioni che scendono dalla cima del Dolcedorme e rocce popolate da colonie rade di pino loricato. Direzione Passo del Vascello, dove iniziano i saliscendi della Cresta dell'Infinito e da cui si apre il panorama superbo della cresta est del Dolcedorme, Serra delle Ciavole con i dirupi del versante est e La Fagosa, foresta che attraverserò domattina.. Siamo abituati a dare il nome ad ogni montagna, ma le montagne attaccate come sono una all'altra vanno oltre le nostre categorie classificative. 
Se amo tanto le cime è perché sono anche un simbolo di Resistenza della natura selvaggia,   aiutata dagli uomini che le apprezzano e le vogliono conservare nella loro veste primigenia. Per quanto l'uomo, sia rurale che urbano abbia colonizzato anche le loro pendici, queste vette aguzze restano indomite; consentono di arrivarvi, ma si procede a passi lenti, come in un tempio...



 Qui non vi è traccia di sentiero e bisogna trovarsi la strada tra rocce ora aguzze, ora stratificate, piegate e frastagliate, frantumate dalle forze tettoniche e degli elementi... I pini loricati si fanno via via più sporadici, ma ognuno di essi ha delle forme uniche. Sotto di me si vede la forma arrotondata di Timpone Pallone, che sovrasta il paese di Frascineto. La chiamano "Cresta dell'Infinito" e l'espressione è giustificata, perché superato un pizzo, se ne affaccia più avanti un altro, disegnando una linea continua in direzione sud-est. 


Finalmente ho la vetta della Manfriana di fronte, ma mi conviene abbandonare la cresta, scendere giù dai pendii boscosi e poi risalire: in questo tratto la cresta è spezzata, non si congiunge alla cima. Il bosco qui ha qualcosa di primigenio, inviolato. Faggi contorti, alberi serpente, popolano i pendii rocciosi; più giù, finita la discesa, una splendida valletta d'alta quota  si apre alla base, sotto la vetta. 

Dopo la faticosa salita (il peso dello zaino si sente!) ecco vedermi apparire un masso scolpito: è quello a forma di architrave, che avevo visto nel libro di Braschi. Più in là ci sono altri massi, visibilmente scolpiti da mano umana, millenni fa. Il segno dell'uomo e della sua civiltà geometrica, ma anche un segno di soggezione e meraviglia per il Creato, che oggi resta qui come testimonianza di fede e dell'inesorabile caducità umana nei confronti delle forze naturali. L'ascesa alla vetta è forse il momento più significativo ed emozionante di questa traversata. 


 Si scende di quota, verso la Timpa del Pincipe con i suoi pendii spogli che degradano verso i timponi di Frascineto. Da qui in poi un sentiero stretto ma evidente segue la linea di cresta, aggirando di tanto in tanto i pinnacoli rocciosi. Il cielo è rimasto nuvoloso, ma forse è meglio così, visto che sulle creste quando il sole picchia forte non è mai un bene. Incontro sul crinale i resti di una vecchia teleferica, traversine di legno conficcate nel terreno e grossi cavi d'acciaio. Si tratta del Passo Marcellino Serra. Proseguo la discesa, mentre ad est la luce tersa del pomeriggio illumina gli strapiombi impressionanti di Timpa di san Lorenzo.



 Arrivo a Timpa del Principe, e adesso devo cominciare a pensare ad un posto per bivaccare, che sia in piano. Un paio di cani  lontani notano la mia presenza e si mettono a latrare, mentre ancora più lontani, sui fianchi della montagna, si sentono i campanacci delle vacche. Le ore di luce sono ancora parecchie, ma sono molto stanco e allestire il campo richiede un minimo di tempo. Trovo un posto buono ma è ancora presto e decido di provare più avanti. Scenderò dalla montagna domattina presto, con tutta calma. Finalmente trovo un posto adatto, sotto una macchia di grossi e alti faggi. Il posto è in piano e devo liberarlo solamente dai rami.  Mentre comincio a montare la mia tendina superleggera, moscerini, ragni, "forbicine" e bruchi iniziano curiosi ad invadere la tenda, tanto che devo subito chiudere la zanzariera. Ho invaso il loro habitat e loro provano ad invadere il mio. Il terreno è pieno di forbicine (in dialetto "pizzicrocchia"), insetto terricolo che si nutre anche di foglie morte. Metto tutto dentro e sistemo fuori la roba da mangiare. Ho i pantaloni pieni di ragnatele... ricoprono, come un velo, l'erba dei pascoli...

Dopo essermi rinfrescato e pulito le mani comincio a "cucinare", usando la gavetta e il fornellino a gas. Acqua, un po' di pastina a cottura veloce, un dado vegetale e un po' d'olio... e la cena è servita. Mi sorprendo come sembri buono un semplice piatto di brodo. Come dice Mauro Corona in montagna  "il tonno per essere buono non deve tagliarsi col grissino". Non è retorica, la montagna mi ha insegnato davvero ad apprezzare il valore del cibo, anche di un semplice pezzo di pane che teniamo nello zaino e che sarà il nostro unico sostentamento mentre vaghiamo per boschi e creste. Per secondo non poteva mancare la soppressata, ottima perché nutriente e perché essendo carne secca non si deteriora mai, anche se ha l'inconveniente di far venire sete. E a proposito di acqua, anche questa non deve mancare: meglio portare un po' di peso in più che trovarsene senza, a combattere la sete (mi è capitato... e non è bello!). 


Mentre il brodo si raffredda faccio due passi sul crinale. Da lontano i faggi sotto cui ho montato la tenda sembrano davvero accoglienti, con la loro grande chioma come tetto. Mi metto subito a dormire, perché domani mi sveglierò alle cinque. Calma totale, si ode solo i verso di un allocco. Riesco a dormire ma mi sveglio spesso e mi accorgo anche di russare. Sogno di salire in alto, affacciarmi da un picco roccioso e rivedere di nuovo una cresta che continua, di non poter così più scendere dalla montagna. Ma dalla montagna domattina scenderò, perché i pendii vanno ormai verso le valli semi-abitate. 


Mi alzo e smonto velocemente la tenda dopo aver fatto una frugale colazione. La tenda è piena di forbicine,  e utilizzo un ramoscello di faggio per spazzarle via. Il cielo è sereno e la luce tersa dell'alba illumina la lunga cresta e il Dolcedorme ormai lontano. 

Invece di scendere dritto lungo il crinale, mi sposto a sinistra, verso ovest, in modo da portarmi direttamente sulla pista che attraversa La Fagosa. Verso sud-est si nota bene la fiumara di sbocco del Raganello, il Monte Sellaro e il Golfo di Sibari... Per sicurezza controllo la cartina e prendo l'azimut con la bussola. Prossimo obiettivo è Casino Toscano. La faggeta è bella ma a lungo andare diventa monotona. Più che a piedi sarebbe ideale percorrere questa stradina in mountain bike. Incontro poi quello che dev'essere il Piano di Ratto. L'acqua qui non manca, si incontrano ruscelli e fontane lungo il percorso. Bella anche quella che dovrebbe essere la Fontana della Malma. Ogni tanto dal bosco riesco a vedere le cime percorse ieri, prima la Manfriana e poi il fianco est del Dolcedorme. Passa un fuoristrada con due uomini, e saranno gli unici esseri umani incontrati in due giorni di cammino. 

La faggeta lentamente cambia aspetto per la presenza del cerro e la presenza di sottobosco, poi comincia a predominare il cerro. Incrociato il torrente Raganello subito dopo mi appaiono degli edifici, una baracca ancora in piedi e utilizzabile (magari se fosse ripulita all'interno!), e altri capannoni fatiscenti e o crollati, di cui ignoro a cosa servissero [come saprò dopo, si tratta di ciò che resta di edifici legati al tentativo di speculazione edilizia di un'agenzia immobiliare, la "Gioconda", con progetti di villette, ristoranti e strade nel cuore del Pollino].


Procedendo a sinistra si va vero Casino Toscano. Si sale di quota e ritornano i faggi oltre a bellissimi esemplari di acero di monte. Noto lungo la pista quello che ha tutto l'aspetto di un edificio moderno, magari il tentativo di costruirsi in maniera speculativa una bella villetta, alle pendici di Serra delle Ciavole [si tratta, come saprò dopo, di Masseria Rovitti, legata a progetti speculativi degli anni 70-80]! Arrivo a Casino Toscano,  dal valore storico e bello anche architettonicamente: questo sì, un edificio da ristrutturare mantenendo lo stile originario e da adibire a rifugio, magari gestito anche per i soli mesi estivi (ma ovviamente "rifugio" significa non farsi venire in mente progetti di asfalto nel cuore del Pollino... per arrivare al rifugio!). L'acqua limpida della sorgente rumoreggia tra gli alberi. Sono circa le due e constato che ormai vale la pena di tornare direttamente a casa, anche se lo zaino pesa e la fatica è già tanta, per cui dovrò per forza stringere i denti nell'ultimo tratto. Sarò infatti a Piano Iannace verso le tre e mezza-quattro e da lì per arrivare a casa impiegherò altre 3 ore, tornando molto prima del tramonto. Il problema non sono le gambe ma i piedi, che cominciano a far male!

Dopo il verdeggiante piano dei Moranesi continuo lungo il sentiero percorso molte volte, che si snoda tra le rocce. E' un po' abbandonato e andrebbe ripulito dai vari rami caduti in mezzo, oltre ad aggiustare qualche pietra. Agiro la cresta nord di S. Crispo con i suoi loricati secchi... Si incontrano, nelle aree più soleggiate, ornielli, sorbo degli uccellatori, sorbo montano e ramno... e varie specie di acero, compreso il Lobelius. Ed ecco Piano Iannace. 




Ritorno attraversando la bella foresta, diretto a nord e seguendo le tracce del vecchio sentiero. Le spalle mi fanno un po' male ma soprattutto i piedi; mi fermo a dare una rinfrescata ai piedi, li massaggio e cambio i calzini. Adesso va un po' meglio, e va meglio anche camminare sulle soffici foglie del bosco. Incontro uno spiazzo nella foresta popolato di fioriture bianche e scendo ancora, fino a sbucare dal bosco: le case sono là, lontane ma molto vicine per chi ha camminato tanto come me. Pensare che stamani stavo a ridosso di Civita, mentre stasera son di nuovo qui nella mia valle.  Scendo, fino ad incontrare la strada e riprendere un nuovo sentiero, l'ultimo, in mezzo alle ginestre fiorite, ai biancospini e alle rose canine... Oggi avrò percorso circa trenta chilometri...   Non mi sento mai tanto libero quando cammino in montagna senza limiti di orari e impegni e senza l'obbligo di "tornare alla propria auto".  E' il vantaggio di vivere in un paese alle pendici delle montagne, almeno per quanto riguarda l'escursionismo. Ritornano i vincoli della natura selvaggia, certo... è l'altra faccia della medaglia, ma quelli si ricercano: il bello del gioco in fondo è proprio quello...



Saverio De Marco (Indio)

2 commenti:

  1. Non c'è che dire.Un giro davvero notevole visto che sei partito dalle tue parti attraversando ambienti di diversa natura come il Pollino sa regalarci.Solo una cosa:non ho capito bene se hai toccato la vetta del Dolcedorme perchè a rigor di termini per cresta dell'infinito intendono da Colle della Scala al Dolcedorme.Comunque visto il giro che hai fatto va benissimo così,sei davvero da ammirare.Spero di fare qualcosa insieme,magari avremo modo di sentirci.
    Un abbraccio

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  2. Grazie Giuseppe. No, il Dolcedorme non l'ho toccato, perchè la Cresta Est l'avevo fatta già molte altre volte e volevo vedere subito cose nuove... praticamente costeggiato la cima del Dolcedorme dal Piano di Acquafredda a Passo del Vascello...A presto.
    Indio

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