L'Anello Infinito
Cresta dell'Infinito e Pareti est di Serra delle Ciavole
Itinerario: Piano Iannace - Mandre del Tarantino - Dolcedorme dal crinale Nord - Manfriana - Timpa del Principe - Fagosa - Versante est di Serra delle Ciavole, cima - Grande Porta - Piano Iannace
"Ardite rocce a strapiombo, quasi minacciose, nubi di tempesta che si accumulano nel cielo, avanzando con lampi e tuoni (...) ecc., riducono il nostro potere di resistere ad una piccolezza insignificante, se si confronta con la loro potenza. Ma se ci troviamo al sicuro, la loro vista diventa tanto più attraente quanto più temibile; e chiamiamo volentieri sublimi questi oggetti, perchè elevano la forza dell'anima al di sopra della sua abituale mediocrità e fanno scoprire in noi un potere di resistere di tutt'altra specie, che ci incoraggia a poterci misurare con l'apparente onnipotenza della natura."
(I. Kant, Critica del giudizio)
foto di Indio e Maurizio Lofiego
L'amico Maurizio mi aveva tempo fa proposto un trekking di due giorni che avesse come meta la Manfriana e una via dal versante est di Serra delle Ciavole. Non me lo son fatto ripetere due volte, il "backpacking" è la forma di escursionismo che preferisco di più, anche se quella più impegnativa e faticosa. Il peso dello zaino è allo stesso tempo una sicurezza e una "tribolazione": sicurezza perchè permette di girovagare in piena libertà e autosufficienza senza preoccuparsi di tornare a casa avendo orari da rispettare; una "tribolazone", perchè su itinerari impegnativi rende ovviamente l'ascesa più faticosa di quanto non sia nelle consuete escursioni giornaliere. Ero già stato sulla "Cresta dell'Infinito" in solitaria due anni fa in un trekking di due giorni e avevo potuto apprezzare alcuni tra gli ambienti più wilderness del Pollino. Il secondo giorno però ero tornato per la Rueping, passando per Pietra Castello, Iannace e tornando a piedi fino a casa. Il giro ideato da Maurizio comprendeva un secondo giorno molto più impegnativo, con la scalata di un settore del versante est di Serra delle Ciavole, tra i più selvaggi e impervi - e quindi più sublimi - del Massiccio Pollino.
Primo giorno
Dopo essere arrivati a Iannace, ci dirigiamo verso le Mandre del Tarantino, ammirando i bei laghetti di questa zona, con le numerose foglie cadute che vi galleggiano e le alghe.
Arrivati ai Piani decidiamo di scalare il Dolcedorme dal versante nord, da Passo delle Ciavole. I Piani di Pollino sono di un verde brillante, mentre la faggeta sta già assumendo il suo aspetto invernale. Su alcuni faggi ancora persistono i colori accesi delle foglie d'autunno, che colorano il paesaggio. Arriviamo sulla cima direttamente dai pendii del versante esposto a nord. D'inverno qui fa particolarmente freddo e l'abbondante neve vi si trova spesso compatta e giacciata. Adesso proseguiremo scendendo dalla cresta est fino al Passo del Vascello. La nebbia si alza dalle valli incontra la barriera montuosa e sale fino alla linea di cresta, non riuscendo però ad oltrepassarla, anche a causa del vento. Sul Dolcedorme si trova spesso la nebbia, anche in condizioni di tempo stabile e soleggiato.
Poi cominciamo ad ascendere lungo la cresta della Manfriana. La presenza del pino loricato si fa sempre più rada man mano che saliamo, anche se con monumentali esemplari, contorti dalla forza degli elementi. Il terreno è accidentato, spesso bisogna arrampicarsi o saltare da un masso all'altro; in alcuni punti sono evidenti le stratificazioni calcaree a forma di "mattoncino". La nebbia si è fatta più insistente via via che abbiamo proseguito nell'escursione. Finalmente si staglia davanti a noi la vetta della Manfriana: per arrivarci abbandoniamo la cresta e ci buttiamo nel bosco, per giungere alla bella valletta ai suoi piedi, in modo da accorciare e risparmiare tempo. La cresta dell'Infinito ha una denominazione quanto mai appropriata, visto il tempo che ci vuole a percorrerla. Arrivando alla cima possiamo ammirare i bei massi scolpiti che ancora rappresentato un mistero archeologico. Si pensa che siano stati i greci a scolpirli e poi ad abbandonarli sulla vetta.
Si approssima il tramonto e ad un certo punto, mentre fotografo lo spettacolo della nebbia, la mia macchina fotografica si inceppa senza che riesca a sbloccarla. Capisco a malincuore che probabilmente domani non potrò fotografare nulla... Entro le sei e mezza dobbiamo trovare un'area adatta a montare le tende e il primo posto utile che ricordo si trova in una zona di Timpa del Principe. Sui tratti di cresta affilata non è possibile montare alcunchè. Arriviamo in tempo al posto prestabilito, un cocuzzolo in piano contornato da giovani faggi. L'erba è alta e soffice, non sarà necessario gonfiare il materassino. Con il fornello a gas ci prepariamo un risotto alla milanese e per secondo non poteva mancare una bella soppressata autoprodotta accompagnata con delle piadine realizzate per lo scopo da mia madre (sono più leggere e meno ingombranti del pane). Dalla linea di cresta possiamo ammirare le luci di Castrovillari, che sta proprio sotto di noi. Andiamo a dormire presto, domattina dobbiamo alzarci alle sei perchè ci aspetta una giornata ancora più impegnativa...
Secondo Giorno
Verso le quattro di mattina comincia a soffiare il vento, che scuote la tenda. Fa freddo, c'è molta umidità, la temperatura interna della tenda è di otto gradi. Metto le cose a posto e comincio a smontare la tenda ancor prima che il sole abbia iniziato ad alzarsi. Dopo una veloce colazione ci dirigiamo verso la cima di Timpa del Principe, poi scendiamo dal sentiero che porta a Piano di Ratto per prendere la strada della Fagosa. Qui l'acqua è abbondante e ciò è un problema in meno, perchè altrimenti il carico d'acqua per il giorno successivo avrebbe aggiunto altro peso a quello già notevole dello zaino. Il prossimo obiettivo è il sentiero per Piano di Fossa. Da lì dovremo puntare verso il settore che ci interessa delle pareti est di Serra delle Ciavole, per ascendere alla cima. Non sarà un'mpresa facile, stimiamo di arrivare alla base delle pareti non prima dell'una. Lungo la strada che attraversa l'estesa (e un po' monotona) faggeta, osserviamo le impronte sul fango di un animale: mi sembrano proprio quelle del gatto selvatico (perchè non si vedono le unghia, perchè son troppo grosse per essere di gatto domestico, perchè in queste zone non esistono gatti domestici).
Arrivati alla strada per Piano di Fossa, troviamo una pista forestale in evidente stato di abbandono, non segnata neppure sulle cartine, che va verso la direzione che interessa a noi e che ho anche calcolato con la bussola. La pista poi si perde in un tratto di faggeta davvero spettacolare, dove si respira il senso di quela wilderness che ancora al giorno d'oggi il Pollino sa regalarci. Troviamo un'area popolata da numerose piantine di geranio di San Roberto e non mi era mai capitato di vederne così tante concentrate in una stessa area.
Procedendo faticosamente lungo i ripidi pendii della faggeta giungiamo finalmente alla base del versante est, nei pressi di un tratto di faggeta devastato da una slavina. Le alte pareti a picco ci sovrastano, con pini loricati irraggiungibili, canaloni di pietre e dirupi spaventosi. Una visione che ricorda il "sublime" di kantiana memoria, una bellezza tanto più attraente quanto più respinge, ma che evoca anche la forza dell'individuo che vuole confrontarsi con la natura e mettere alla prova se stesso e i propri limiti. Intanto ci accorgiamo che la nebbia calando ha avvolto la sommità della montagna; vogliamo sperare che non si infittisca rendendo più difficile la visuale della strada da seguire. Ci tocca adesso costeggiare le impraticabili pareti di roccia, ora attraversando le enormi pietraie, ora dei tratti di faggeta, fino a trovare (se ci riusciamo) l'imbocco prescelto alla via (alpinistica, anche se non tecnicamente difficile) che ci consentirà di arrivare in cima. Il tempo corre e dobbiamo muoverci, entro le sei dobbiamo arrivare a destinazione. Perlustriamo la base degli aspri e a volte lisci costoni rocciosi fino a che incontriamo finalmente una zona praticabile per arrampicare, un lungo canalone che sempra portare in alto, verso gli scoscesi ma sicuri pendii erbosi.
Ci troviamo così ad arrampicare su un ripido canalino eroso dalle acque.
Il problema qui non è la pendenza ma il fatto che il terreno cede facilmente sotto i piedi. Bisogna considerare inoltre che abbiamo sulle spalle oltre agli zaini pesanti anche la Cresta dell'Infinito percorsa ieri, condizioni non proprio ideali per intraprendere una scalata del genere. Maurizio sta dietro di me e devo stare attento a non far cadere le pietre; sono obbligato anche a tastare ogni masso che ho deciso di usare come appiglio. Qualche pietra inevitabilmente scivola e cade, non posso farci niente, ma fortunatamente senza nessun danno per il mio compagno di escursione, che pensa bene ad un certo punto di ripararsi dietro una roccia aspettando che io raggiunga finalmente la sommità. Sbuchiamo così in alto e capiamo che ci aspetta un altro passaggio delicato su roccia, di traverso, parecchio esposto.
Va avanti Maurizio e passa. Lo seguo stando attento a non scivolare. I rami di alcuni contorti pini loricati sono d'aiuto, mi tengo ad essi e supero il punto più critico del passaggio. Ora la via pare più tranquilla e la roccia finalmente più compatta e solida, ma bisogna sempre stare attenti a dove si mettono i piedi, perchè ci sono pur sempre dei tratti da affrontare arrampicando. Superiamo dei piloni di roccia, tenendoci ai rametti della macchie di ginepro che li avvolgono e ai ciuffi d'erba. Persino l'erba in tali condizioni dà una certa sicurezza. Notiamo finalmente i ripidi pendii erbosi che ci condurranno verso la cresta sommitale di Serra delle Ciavole. Un pino loricato monumentale e probabilmente ultrasecolare domina la scena. Ancora c'è molto da salire e la pendenza è notevole. Costeggiamo le pareti rocciose di destra e poi ci troviamo un accumulo di massi giganteschi: notiamo anche una piccola grotta formatasi dalla sovrapposizione dei blocchi della frana. La cresta è vicina, da lontano si nota il bastone che indica la cima.
Sono le cinque di pomeriggio e dopo una faticaccia del genere, tornare dalla cima al Santuario ci sembra adesso, nonostante la stanchezza, poco più che una passeggiata.