giovedì 3 giugno 2010

Diario - 30 maggio 2010




Montagne della Duchessa - Lago della Duchessa - Monte Morrone

 
Il Lago della Duchessa - foto by Indio. sotto: 1. mucche al pascolo sulle rive del lago; 2. una curiosa foto: sembra in bianco e nero, perchè riflette gli elementi caratteristici di questa aspra montagna: pareti rocciose verticali, con alla base accumuli di detriti e qualche rada macchia di ginepro come vegetazione; 3. Vincenzo A. mentre saliamo al Monte Morrone; 4. lo scenario delle Montagne della Duchessa, dal Monte Morrone: un paesaggio desolato che ricorda vagamente gli altipiani del Tibet...





“Perché là dove è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” 
(dal Vangelo secondo Matteo)

Ad un'ora di macchina dalla capitale e a pochi chilometri dall'autostrada Roma L'Aquila, ai confini con l’Abruzzo,  si ergono probabilmente le più belle e selvagge montagne del Lazio, le Montagne della Duchessa. Sono inserite in una riserva naturale integrale che conserva un'eccezionale ricchezza di paesaggi e di biodiversità (a quanto pare sono anche territorio dell’orso bruno marsicano). A differenza che in tanti parchi (dove si tende a mettere di tutto e di più) i confini della riserva sono stati individuati con criterio, comprendendo solo le aree più selvagge.  Il tesoro più bello di queste montagne è indubbiamente il Lago della Duchessa, che si estende in una conca tra le montagne. Avevamo già percorso questa bella montagna tre anni fa, da un altro versante (percorrendo la selvaggia Valle Amara) e con metri e metri di neve che coprivano le estese praterie di alta quota. All’epoca non riuscimmo a trovare il lago.  Oggi siamo in due, io e Vincenzo A., l’inseparabile e instancabile compagno di tanti trekking sul Pollino e altrove. La nostra escursione  comincia nell'antico borgo rurale di Cartore. Il borgo  si erge su un esteso pianoro alla base delle montagne, oggi è destinato ad uso turistico ma ha un'antichissima storia, perchè risale al XIII secolo. Abbandonato nei decenni passati e oggi è stato ricostituito con un accurato ed esemplare intervento di recupero. E' un vero gioiello architettoni co e paesaggistico, isolato dalle strade asfaltate (vi si arriva per una strada forestale). Da lì prendiamo il sentiero che sale seguendo il valico del Vallone del Cieco, una profonda forra incastonata tra pareti strapiombanti e selvagge. Il sentiero è abbastanza ripido e in alcuni tratti è scavato nella roccia. Una pecca è rappresentata da alcune brutte segnalazioni giallo-rosse sulle rocce (forse son state fatte da romanisti?). Qualcuno poi ha pensato bene, in due tratti che pericolosi non mi sembrano proprio, di impiantare nella roccia con dei chiodi di ferro delle inutili e deturpanti catene (al limite non si poteva mettere una semplice corda?). Esprimo il mio disappunto e per coerenza non usufruisco dell’aiuto delle catene! Questo è proprio uno di quei classici sentieri che piacciono a me, di quelli scavati a tratti nella roccia, a volte ripidi e che attraversano angoli incantati di foresta. Ci ricorda vagamente la nostra Scala di Gaudolino. La vegetazione cambia mentre saliamo… Nell’ultimo tratto del sentiero comincia a prevalere la faggeta. Usciamo dal bosco sulle praterie d’alta quota. Ci accoglie la luce del sole che fa brillare le fioriture primaverili e il verde dei prati. A destra  le propaggini del Murolungo, ricoperte da una rada faggeta. Salendo incontriamo un tipico ambiente agropastorale: antichi recinti di pastori costruiti a secco con le bianche pietre della montagna. Si ergono alcune piccole baracche. Una di esse è destinata a rifugio. Sono in genere contrario ai rifugi d’alta quota ma in questo caso il rifugio oltre ad essere piccolo e molto rustico  si armonizza bene con le umili dimore dei pastori, vecchie e nuove. Entriamo nella piccola costruzione  e subito ci balena un’idea: venire qui in inverno quando questa montagna sarà sommersa dalla neve e usare il rifugio come campo base per escursioni su neve ghiacciata, con tanto di ramponi e picozza per raggiungere le vette dei monti!  Si procede nell’ampio pianoro che comincia ad estendersi alla nostra vista. Cerchiamo il lago… Esisterà? Oppure è una proiezione metafisica, un’allucinazione collettiva? Altura dopo altura, con gli occhi fissi a cosa di volta in volta si dipana alla nostra vista, finalmente il lago ci appare, e in tutta la sua bellezza. Il lago è incastonato ai piedi del Monte Morrone, alla cui cima siamo diretti. Occupa una conca glaciale ed è alimentato solo da acque piovane. Siamo a quota 1788 metri.  Sulla sua riva opposta alcune mucche ci osservano. Hanno il colore dei massi , un biancore cupo…  appaiono quasi come una razza selvaggia che da sempre abbia popolato  queste lande  brulle e desolate.

Costeggiamo il lago e ci portiamo sul sentiero che ci condurrà  al monte Morrone, del quale osserviamo il versante roccioso e selvaggio: terrazzi primordiali di roccia, quasi dei ripari naturali, spuntano dalla montagna… un grande rapace si leva in volo. Pensiamo si tratti di un’aquila reale, per come è grande. Ma poi capiremo, leggendo la tabella escursionistica a Cartore, che in realtà abbiamo avvistato il grifone, che qui è stato reintrodotto negli anni 90 ed è facile da vedere librarsi in volo. Bell’incontro questo. E’ la prima volta che avvisto questo maestoso dominatore dei cieli… Il sentiero percorre tratti di pietraia e ci porta sulla cresta del Monte Morrone. Curiose segnalazioni “giamaicane” (ovvero con i colori della relativa bandiera) ci indicano la strada. Salendo la visuale si amplia: queste montagne spoglie e desolate mi ricordano vagamente gli altipiani del Tibet. Il Monte Murolungo domina la scena con le sue verticali pareti rocciose; più in fondo un’altra austera montagna ancora quasi del tutto innevata (Monte Rozza). E poi, come centro e motivo del tutto, come segno distintivo in cui converge l’identità di queste montagne, il lago, uno specchio d’acqua che riflette la mutevolezza del cielo,  incastonato in una conca. Procediamo salendo la dorsale rocciosa che si fa più ripida. Alcuni tratti di facile arrampicata e siamo sulla sommità della montagna, a cica 2200 metri.  Da qui possiamo notare la foresta che attraversammo tre anni fa… la foresta circonda solo i fianchi delle montagne. Il cuore del massiccio è invece spoglio, un’estensione selvaggia di creste rocciose e praterie d’alta quota. E’ da un po’ che osservo Murolungo: quelle pareti così ripide e selvagge rappresentano un’attrazione irresistibile: mi immagino là, mentre arranco sull’accumulo di detriti alla base delle rocce o mentre  cerco una via tra le rocce verticali, lottando contro la montagna che mi vuole respingere.
Davvero una montagna appetibile per gli alpinisti! Notiamo lontani sotto di noi dei curiosi segni geometrici di pietra, che ribatteziamo le “linee Nazca”. No, non c’entra la civiltà d’Atlantide né gli Ufo: sono antichi resti di recinti di pastori, espressione di una civiltà ben più umile. Si torna indietro e lo sguardo si volge verso il lago, attrazione viva e quasi ipnotizzante di queste montagne. Raggiungiamo lesue rive e ci riposiamo nell’erba. La riva del lago è un microcosmo popolato da erbe e piante grasse fiorite a me ignote. Quali esseri possono vivere in un lago d’alta quota come questo? Guardo quell’acqua limpida cercando di scovare qualche piccola rana o insetto, ma non vedo nulla. Il lago sembra un ambiente spoglio di vita; ma in realtà è solo apparenza perché qui vive una rara specie anfibia: il tritone crestato. Mi sdraio anch’io come Vincenzo ma non smetto di osservare il lago e di fotografarlo da varie prospettive. Mi alzo e ne costeggio la riva. Avverto la sensazione piacevole di una calma e di una serenità rassicurante, tanto che sono sicuro che potrei restar e qui per ancora molto tempo, avvolto  e rapito dalla mistica purezza di questo semplice laghetto montano. Il paragone col Marasarovar del Tibet (il grande Messner, fece un trekking attorno al Kailash e al lago Marasarovar che, nel rispetto delle tradizioni spirituali di quei popoli, che quindi assunse quasi il significato di un pellegrinaggio) è un’assurda forzatura certo, ma penso al carattere di sacralità che i popoli del Tibet gli hanno conferito. Forse perché quest’acqua rimanda agli elementi primordiali della natura ed anche alla vita. Dall’acqua nacque la vita e forse da questa inconscia consapevolezza il lago diventa  uno specchio del nostro essere… Ma bando al misticismo bisogna ritornare al sentiero e poi al borgo di Cartore… e quindi alla civiltà rappresentata dalla metropoli più estesa d’Italia. Ripercorriamo i nostri passi gustandoci la discesa lungo il sentiero che serpeggia lungo la forra del Vallone del Cieco…

4 commenti:

  1. Vincenzo A.:
    Bellissimo Diario di viaggio! Questa Montagna continua ad appassionarci a sorprenderci...
    ed a divertirci con le sue sgargianti sengnalazioni colorate... Inevitabile il soggiorno invernale stile jack London. Si farà.

    RispondiElimina
  2. Anche tu sei andato a cercare il corpo di A.Moro ?

    RispondiElimina
  3. mah.. seria proprio non direi... non è stata tanto difficile, ma ci ha ricompensati per i bei paesaggi e l'ambiente intatto.
    Ciao Aa!
    Indio

    RispondiElimina